FUMATTA
MATTIA PIANI
Mattia Piani _ batteria _ piatti _ woodblock _ campanaccio _ piastra metallica _ max msp _ microfoni _ live electronics
Mattia Piani è un giovane e avventuroso batterista friulano, qui al suo primo lavoro solista. Ricerca, improvvisazione e organizzazione sono le parole chiave di questo album. Registrato da Claudio Banelli, mastering di Tommaso Marletta.
"(...) C’è stato un salto di qualità in merito alla trattazione del ritmo nella teoria musicale degli ultimi settanta anni della nostra storia, un cambiamento di rotta che è stato influenzato dalla filosofia: ad Harvard il professore Christopher Hasty si è posto in sintonia con quanto pensato da autori come William James, Henry Bergson o Gilles Deleuze, i quali avevano sposato un approccio fenomenologico del tempo e del ritmo; conscio della presa in carico dei nuovi sistemi di partitura (grafica, interpretativa, multimediale, etc.), Hasty vede il ritmo come una concezione dinamica, un mettere in relazione degli eventi con la conoscenza pregressa dei musicisti o compositori: gli eventi si rivelano in un flusso, non sono totalmente prevedibili e possono far assumere al parametro ritmo valori asincroni o continuativamente irregolari. Snaturare il tempo, fargli perdere le sue caratteristiche di riconoscibilità, è consequenzialmente stato l’atto di nascita di una nuova funzione attribuita agli strumenti musicali ed in particolare a quello che più di tutti è stato incanalato per secoli in esperienze ritmiche catalizzatrici: rullanti, grancasse e in generale i set percussivi hanno sviluppato nuove poliritmie come indizi di una libertà di intenti mai verificata prima. Per molti batteristi e percussionisti questo progresso non ha significato l’abbandono della mansione primordiale degli strumenti percussivi, quella che storicamente ha proiettato il rito, le antichità e i primi livelli di comunicazione sociale e il jazz è certamente pieno di questi esempi; per altri però la libertà d’azione si è coniugata anche con gli sviluppi sempre più sofisticati della tecnologia: qualcuno potrebbe avanzare la pretesa di essere per metà percussionista e per altra metà musicista di elettronica! Lo penso molto anche nei confronti del giovanissimo Mattia Piani (1993) al suo primo lavoro discografico per Setola di Maiale dal titolo Fumatta.
Di Piani va innanzitutto rimarcato il suo diploma specialistico in Multimedialità, Arti Interattive e Performative al dipartimento di Musica e Nuove Tecnologie del Conservatorio di Trieste ottenuto a pieni voti, perché è un ceppo palese della sua musica e del suo pensiero; la figura di musicista interessato all’elettronica non deve però essere confusa con le operazioni che massicciamente si propongono a vari livelli nell’elettronica odierna e Fumatta dimostra ampiamente che Piani ha un suo specifico percorso, lontano da sistemi elettroacustici automatizzati e rispettosi di una significatività delle parti in causa: le sue improvvisazioni prevedono quella concezione dinamica di cui parlavo all’inizio, sono eventi che relazionano la texture batteristica con il live electronics, conciliano la creatività con le provvidenze dei programmi Max/Mps e alla fine sono tracce che non hanno bisogno nemmeno di un riferimento nominale perché autoproponenti, sono indulgenze che segnano solo il tempo di percorrenza della musica.
Nella seconda traccia (9’15”), per esempio, i connubi tra acustica ed elettronica tendono ad una sorta di stato allucinatorio ottenuto con stadi di saturazione e modificazione timbrica proiettati nell’ossatura del drumming di Piani, una sincope serrata di free jazz batteristico che lavora anche sotto forma cosmetica su bacchette e telai; in alcuni punti le strozzature o le esaltazioni dell’elettronica sembrano prefigurare le gesta di un sax baritono o basso, mentre in altri le granulazioni si confondono con una sorta di tam tam subdolo, primordiale ed appena accennato; i plugged sonori sostengono il gioco poliritmico delle azioni delle bacchette. E’ musica veramente ai confini quella di Piani, anche di quelli fisici (si suona sui bordi degli elementi), che riceve spinte differenziate dall’elettronica: nella terza traccia (6’42”) l’attenzione vira sugli echi, le duplicazioni dei suoni e su una certa alienazione dei soundscapes relativi, così come la quarta traccia (10’54”) mette diligentemente in evidenza almeno un tris di sonorità sintetico/acustiche, l’equivalente sonico di quello che a me sembra un inchiodatacchi di un calzolaio, le esalazioni di un piatto sfregato al bordo con un archetto e una voce dal tenore didattico (forse Stockhausen?); la seconda parte prosegue con tonfi e sottigliezze acustiche ricercate che portano versano un percorso stranissimo, un magma metallico/percussivo con enigma incorporato. La batteria resta comunque centrale anche nell’ingorgo della quinta traccia (13’26”), dove i tempi sono continuamente messi sotto pressione; varie velocità ed intensità si susseguono e ad un certo punto potremmo dire di stare dentro le provvidenze soniche di un cantiere ferroviario sito all’interno di una cavità.
Tutto collima con una visione equilibrata e modernissima dello strumento, scevra da sovradimensionamenti o reagenti a mò di pozzi insulsi di elettronica e pur non essendoci nessun studio quantico sotto, Fumatta rende benissimo l’idea che oggi trattare la batteria significa soprattutto cercare di trovare nuovi piani dimensionali, tentare di rendere fluidificabili i suoi percorsi nella consapevolezza che esiste ormai un interlocutore delicatissimo da trattare, ossia l’interazione intermediale; non è un caso che Piani, fuori dalla zona di competenza di Fumatta, abbia composto Василий (Vasilij), un pezzo per pianoforte ed elettronica ispirato ad una possibile associazione fonetica dei dipinti di Kandinsky, quelli che tipicamente propongono la significatività pluri-artistica di punti, cerchi, segmenti, così come sia stato interessato alla sonificazione dei dati sismici di alcuni comuni del Friuli Venezia Giulia attraverso l’installazione di Gea. In Piani c’è l’embrione di una nuova disponibilità delle capacità del batterista- improvvisatore." Ettore Garzia, Percorsi Musicali, 2022.
01 _ I 15:02
02 _ II 09:15
03 _ III 06:42
04 _ IV 10:54
05 _ V 13:26
(C) + (P) 2021
Mattia Piani _ drums _ cymbals _ woodblock _ cowbell _ metal plate _ max msp _ microphones _ live electronics
Mattia Piani is a young and adventurous drummer from Friuli (North-East Italy), here at his first solo work. Research, improvisation and organization are the keywords of this album. Recorded by Claudio Banelli, mastering by Tommaso Marletta.
"(...) C’è stato un salto di qualità in merito alla trattazione del ritmo nella teoria musicale degli ultimi settanta anni della nostra storia, un cambiamento di rotta che è stato influenzato dalla filosofia: ad Harvard il professore Christopher Hasty si è posto in sintonia con quanto pensato da autori come William James, Henry Bergson o Gilles Deleuze, i quali avevano sposato un approccio fenomenologico del tempo e del ritmo; conscio della presa in carico dei nuovi sistemi di partitura (grafica, interpretativa, multimediale, etc.), Hasty vede il ritmo come una concezione dinamica, un mettere in relazione degli eventi con la conoscenza pregressa dei musicisti o compositori: gli eventi si rivelano in un flusso, non sono totalmente prevedibili e possono far assumere al parametro ritmo valori asincroni o continuativamente irregolari. Snaturare il tempo, fargli perdere le sue caratteristiche di riconoscibilità, è consequenzialmente stato l’atto di nascita di una nuova funzione attribuita agli strumenti musicali ed in particolare a quello che più di tutti è stato incanalato per secoli in esperienze ritmiche catalizzatrici: rullanti, grancasse e in generale i set percussivi hanno sviluppato nuove poliritmie come indizi di una libertà di intenti mai verificata prima. Per molti batteristi e percussionisti questo progresso non ha significato l’abbandono della mansione primordiale degli strumenti percussivi, quella che storicamente ha proiettato il rito, le antichità e i primi livelli di comunicazione sociale e il jazz è certamente pieno di questi esempi; per altri però la libertà d’azione si è coniugata anche con gli sviluppi sempre più sofisticati della tecnologia: qualcuno potrebbe avanzare la pretesa di essere per metà percussionista e per altra metà musicista di elettronica! Lo penso molto anche nei confronti del giovanissimo Mattia Piani (1993) al suo primo lavoro discografico per Setola di Maiale dal titolo Fumatta.
Di Piani va innanzitutto rimarcato il suo diploma specialistico in Multimedialità, Arti Interattive e Performative al dipartimento di Musica e Nuove Tecnologie del Conservatorio di Trieste ottenuto a pieni voti, perché è un ceppo palese della sua musica e del suo pensiero; la figura di musicista interessato all’elettronica non deve però essere confusa con le operazioni che massicciamente si propongono a vari livelli nell’elettronica odierna e Fumatta dimostra ampiamente che Piani ha un suo specifico percorso, lontano da sistemi elettroacustici automatizzati e rispettosi di una significatività delle parti in causa: le sue improvvisazioni prevedono quella concezione dinamica di cui parlavo all’inizio, sono eventi che relazionano la texture batteristica con il live electronics, conciliano la creatività con le provvidenze dei programmi Max/Mps e alla fine sono tracce che non hanno bisogno nemmeno di un riferimento nominale perché autoproponenti, sono indulgenze che segnano solo il tempo di percorrenza della musica.
Nella seconda traccia (9’15”), per esempio, i connubi tra acustica ed elettronica tendono ad una sorta di stato allucinatorio ottenuto con stadi di saturazione e modificazione timbrica proiettati nell’ossatura del drumming di Piani, una sincope serrata di free jazz batteristico che lavora anche sotto forma cosmetica su bacchette e telai; in alcuni punti le strozzature o le esaltazioni dell’elettronica sembrano prefigurare le gesta di un sax baritono o basso, mentre in altri le granulazioni si confondono con una sorta di tam tam subdolo, primordiale ed appena accennato; i plugged sonori sostengono il gioco poliritmico delle azioni delle bacchette. E’ musica veramente ai confini quella di Piani, anche di quelli fisici (si suona sui bordi degli elementi), che riceve spinte differenziate dall’elettronica: nella terza traccia (6’42”) l’attenzione vira sugli echi, le duplicazioni dei suoni e su una certa alienazione dei soundscapes relativi, così come la quarta traccia (10’54”) mette diligentemente in evidenza almeno un tris di sonorità sintetico/acustiche, l’equivalente sonico di quello che a me sembra un inchiodatacchi di un calzolaio, le esalazioni di un piatto sfregato al bordo con un archetto e una voce dal tenore didattico (forse Stockhausen?); la seconda parte prosegue con tonfi e sottigliezze acustiche ricercate che portano versano un percorso stranissimo, un magma metallico/percussivo con enigma incorporato. La batteria resta comunque centrale anche nell’ingorgo della quinta traccia (13’26”), dove i tempi sono continuamente messi sotto pressione; varie velocità ed intensità si susseguono e ad un certo punto potremmo dire di stare dentro le provvidenze soniche di un cantiere ferroviario sito all’interno di una cavità.
Tutto collima con una visione equilibrata e modernissima dello strumento, scevra da sovradimensionamenti o reagenti a mò di pozzi insulsi di elettronica e pur non essendoci nessun studio quantico sotto, Fumatta rende benissimo l’idea che oggi trattare la batteria significa soprattutto cercare di trovare nuovi piani dimensionali, tentare di rendere fluidificabili i suoi percorsi nella consapevolezza che esiste ormai un interlocutore delicatissimo da trattare, ossia l’interazione intermediale; non è un caso che Piani, fuori dalla zona di competenza di Fumatta, abbia composto Василий (Vasilij), un pezzo per pianoforte ed elettronica ispirato ad una possibile associazione fonetica dei dipinti di Kandinsky, quelli che tipicamente propongono la significatività pluri-artistica di punti, cerchi, segmenti, così come sia stato interessato alla sonificazione dei dati sismici di alcuni comuni del Friuli Venezia Giulia attraverso l’installazione di Gea. In Piani c’è l’embrione di una nuova disponibilità delle capacità del batterista- improvvisatore." Ettore Garzia, Percorsi Musicali, 2022.
01 _ I 15:02
02 _ II 09:15
03 _ III 06:42
04 _ IV 10:54
05 _ V 13:26
(C) + (P) 2021