SAXA PETRA
GUY-FRANK PELLERIN / MATHIEU BEC
SOLD OUT
Guy-Frank Pellerin _ sax soprano _ sax tenore _ sax alto
Mathieu Bec _ pietre _ percussioni
Musica improvvisata registrata il 27 febbraio 2018 a Puéchabon, nella chiesa di St. Sylvestre des Brousses in Francia. Mastering di Marco Carvelli, Pisa (Italia).
Il multi-sassofonista franco canadese Guy-Frank Pellerin ha debuttato negli anni settanta, non smettendo mai da quel momento di dedicarsi all'improvvisazione. Negli anni ottanta ha suonato nell'orchestra di Alan Silva "Celestrial Communication Orchestra". Ha suonato molto in formazioni sperimentali, con improvvisatori e musicisti jazz, ma anche attori, ballerini, pittori, per le strade, le sale, i festival, le scene nazionali e internazionali. Per maggiori informazioni: https://soundcloud.com/guy-frank-pellerin-1
Il percussionista Mathieu Bec (classe 1973, di Montpellier, Francia) combina musica improvvisata, rumore e accelerazione jazz. Il suo tamburo diventa un pretesto per strofinare oggetti che raccontano una storia. Scultura di suono. Percussionista atipico, usa vari oggetti e interroga il momento rompendo i codici delle nostre percezioni. Sviluppa un assolo che va dal bisbiglio più leggero a una tempesta tellurica. Prende suoni da ogni parte per costruire stati d'animo tra rumori e silenzi e vibrazioni contemporanee. Ha suonato con Dubovnik, Michel Doneda, Wade Matthews, Xavier Charles, Goh Lee Kwang, Sebastien Bouhana, Pierre Diaz, Guillermo Torres, Noorg, L'Instant Donné, Marc Siffert, Laurent Avizou, Jean-Louis Costes, Jean-Marc Foussat, Cesario Fa, Makoto Sato, Julien Palomo, Henry Herteman, Naoto Yamagishi, Gilles Dalbis, David Kiledjian, Sébastien Job, Henry Koek, Christophe Meulien, Duncan Pinhas, Lauren Rodz, Emmanuelle Stimbre, Vanessa Pettendorfer, Bruno Gussoni, Fujimoto Takami ed il filmmaker Stephane Clovis. Per maggiori informazioni: https://matbec.simdif.com
"(...) Questo disco è stato inserito tra i 'migliori' dischi del 2018, secondo Ettore Garzia di Percorsi Musicali.
"(...) Ci sono musicisti che portano avanti il loro lavoro (il loro destino ?) lontani dalle luci abbaglianti della ribalta, delle grandi manifestazioni che sempre più spesso affidano i loro successi alle proposte risapute, ripetitive e talvolta noiose, per nulla autenticamente creative.
Pellerin è uno di questi musicisti. Il suo nome non dirà alcunchè al grande pubblico. Eppure questo interessantissimo polistrumentista franco-canadese è attivo dagli anni '70, allorchè abbracciò la causa della musica improvvisata nelle sue diverse forme espressive. Ricco e nutrito con cura, è l'elenco delle sue collaborazioni: fra i tanti con cui ha avuto modo di suonare figurano i nomi di Alan Silva, Frank Wright, Steve Lacy, Sunny Murrey, Bobby Few, Bernard Vitet, Carlos Zingaro, Jouk Minor, Eugenio Sanna, Maresuke Okamoto... Era evidentemente maturo il tempo di regalarci un disco a suo nome, un disco appassionante; un disco, lo dico subito, molto bello, ricco com'è di atmosfere, suggestioni, sviluppi imprevedibili e soluzioni che, pur non perdendo di vista i contributi offerti nel tempo dalle variegate anime dell'avanguardia d'oltreoceano ed europee, rifugge da certi manierismi, per affermare una cifra stilistica assolutamente personale. Gli fa da prezioso compagno in questo viaggio nell'intricato labirinto dell'anima, Mathieu Bec, musicista a 360 gradi: sarebbe riduttivo etichettarlo semplicemente come batterista e percussionista. In effetti oltre ad essere anche questo, Bec è uno straordinario ricercatore di suoni per ottenere i quali non esita ricorrere a tutti gli oggetti in grado di produrli: l'uso che egli fa delle pietre, ad esempio, ha un che di animistico che recupera ancestrali rituali evocanti forze oscure, magiche, il cui valore premonitore viene accentuato da un magistrale impiego musicale dei silenzi.
E' sempre banalizzante pretendere di indicare in modo sintetico il contenuto di un disco, perché ogni tentativo di riduzione inevitabilmente non può rendere conto di quanto in esso si può ascoltare nel tralasciare le molteplici sfaccettature dell'insieme. Io corro il rischio nel sostenere che nel nostro caso l'elemento cardine su cui il tutto poggia, è l'indagine di quell'elemento impalpabile ma fondamentale in ogni creazione artistica che è il profondo dell'anima coi suoi istinti, i suoi lati oscuri e quelli più luminosi; un'interiorità in conflitto che si esprime attraverso il travaglio creativo che si sviluppa attraverso un processo ininterrotto di aggregazioni e sovrapposizioni sapientemente dosate. In fin dei conti, sopratutto di fronte a proposte musicali come questa, l'unico modo per comprenderne il contenuto, consiste nell'ascoltare attentamente per farsene coinvolgere emotivamente in modo totale.
Per questo ritengo inutile e disviante tracciare un'analisi dei singoli brani, sopratutto perchè la loro divisione sembra più a ragioni di produzione del cd che a quelle reali della creazione durante la registrazione. In effetti ci troviamo di fronte ad una sorta di suite senza interruzioni nel corso della quale gli elementi naturali (pietre, pelli, legni etc...) si intrecciano con i fiati creando una serie di situazioni sospese nel tempo e nello spazio, con improvvisi silenzi seguiti da improvvise aperture in spazi luminosi. Giochi di luce e ombre emergono quando la forza della percussione esalta la levità del sax soprano. Climi misteriosi si creano e si ricreano allorchè l'arte di trarre dagli oggetti sonorità inusuali viene messa in correlazione emotiva coi suoni emessi dagli strumenti a fiato: è qui che la pratica dell'improvvisazione totale tocca vertici molto alti. Continuo è il dialogo serrato tra i due che danno vita a notevoli momenti di creazione istantanea il cui scopo fondamentale è la ricerca del suono, della sua essenza intima e della sua onnipresenza.
Un gran bel cd, vibrante e avvolgente. Assolutamente da ascoltare." Stefano Arcangeli, Stefano Arcangeli (Musica Jazz, Pisa Jazz, CRIM-Centro per la Ricerca sull’Improvvisazione Musicale), 2018.
"(...) Comincio da Saxa Petra del duo francese Guy-Frank Pellerin/Mathieu Bec (rispettivamente a sassofoni e percussioni). Il titolo non inganna: questo è un incontro sonoro tra particolarità sonore del sax e di un selezionato parco percussivo, impostato sulla ricerca della qualità sonora; non è ormai un tabù pensare che molti improvvisatori dovrebbero performare in luoghi opportuni, diversi dai soliti disponibili, poiché quello che è utile per far scattare le sensazioni non è il suono in sé per sé, quanto la sua qualità, la sua capacità di offrire dettagli. Tutto il lavoro prende beneficio dallo sfruttamento delle risonanze della chiesa di St. Sylvestre des Brousses di Puéchabon, è teso alla costruzione di finzione acustica e ricerca di similitudini, e la lunga introduzione di La pierre, l'arbre et la source è sintomatica del lavoro effettuato da Pellerin sugli armonici in comunione con i sibili e il suono della materia grezza della pietra ottenuto da Bec.
In Language secret l'intro combina due soffi sovrapposti, uno reale (quello ricavato attraverso l'indotto del sax) ed uno artificiale (quello dello strofinamento percussivo): sono messaggi in codice, sbuffi, lamenti misteriosi, scenari pragmatici, quelli si aprono all'udito.
Il riferimento in Litophages è quello di animali che riescono a scavare nella roccia e abitano nella pietra stessa; è possibile immaginare un suono per essi? Pellerin e Bec lo affrontano con sax armonico e profondo (un suono che buca) e un gioco percussivo di pietre che probabilmente scandisce il processo di erosione: una splendida rappresentazione che tiene conto dei momenti biologici temporalmente differenziati.
Una strana conturbazione apre Le tumul est magnifique, un pezzo che vive in sordina, come qualcosa che cova, con gli strumenti tappati, mentre un turbine di evoluzioni regge Les voix du dedans; Ascension celeste agisce su degli oggetti che risuonano come porcellana e il sax emette un filo d'aria che può aderire ad un vento di scarsa intensità, mentre in Un charme dans la gorge, Pellerin riesce a darci l'illusione di un sospiro umano, con i metalli che inducono ad un procedimento fisico.
Si arriva alla fine del cd molto soddisfatti, con un'esperienza esauriente, una delle migliori che io abbia mai provato sui cds di Setola e che mostra un sentimento molto contemporaneo nonché un'affinità molto forte tra i due musicisti. Il consiglio è di ascoltarlo a volume sostenuto ed occhi chiusi." Ettore Garzia, Percorsi Musicali, 2018.
"(...) Guy-Franck Pellerin started playing saxophone some 40 years ago. He started with a Canterbury-influenced group in Paris, then studied at the IACP with Alan Silva, playing with this ensemble famous Celestial Communication Orchestra. Many collaborations followed. In later years for example he played with Bruno Griard (Bratsch), Marcello Magliocchi, Massimo Falascone, a.o. It is also in those ‘later years’ that Pellerin started to release his work. Of his early work not much is documented as far as I know. This is compensated a bit now by three new releases by Setola di Maiale.
On ‘Saxa Petra’ Pellerin plays soprano, alto and tenor sax in a duo with Mathieu Bec who plays stones and percussion. Recorded early 2018 in a church somewhere in France. Bec is a drummer and percussionist from Montpellier who started playing hardcore in the 90s inspired by John Zorn and Nomeansno. With Sébastien Job he released two albums in 2014 and 2016 as the electroacoustic duo Dubrovnik. His collaboration with Pellerin illustrates his latest musical activitiy as a free improviser. Both are engaged in subtle and colourful improvisations, creating intimate and textures. Ten intense and concentrated dialogues with nice phrasing by Pellerin and Bec using a diversity of objects and stones. In a nice recording reflecting the spatial qualities of the church.
For ‘It doesn’t work in a car’ Pellerin works with a musician with a totally different background. Siringo is a gifted, classically trained pianist who worked as a soloist as well as member of chamber music ensembles. Since 2003 he also chose to work in the fields of contemporary and improvised music. His collaboration with Pellerin is a satisfying example of his development as this recording from November 2015 shows. He is a dynamic and versatile pianist. Abstract sound textures like ‘Deep the See behind you’ and ‘Breath’ make a nice contrast with exuberant and playful improvisations like ‘No Traffic Lights’. Again Pellerin (saxophones, bone flute) is engaged in a balanced and communicative interaction with his companion.
Finally there is a trio work of Pellerin (baritone, tenor and soprano sax and gong) with Eugenio Sanna (amplified guitar, metal sheets, balloons, red cellophane, voice) and Maresuke Okamoto (cello and voice). Maresuke Okamoto is a contrabass and cello player from Tokyo where he entered the improv scene in the early 80s. In more recent years he worked with people like Carlos Zingaro, Frantz Loriot, Hugues Vincent, Hui-Chun Lin, Terry Day, Paulo Chagas, Tristan Honsinger, etc. Guitarist Eugenio Sanna was co-founder of CRIM (Centro per la Ricerca sull'Improvvisazione Musicale) in Pisa, Italy in 1976, playing improvised music ever since. It may become boring, but this is again a very worthwhile exercise in abstract and dynamic soundsculpting.
All three are equally participating in inspired and intertwined movements. Great work!
And compliments to Setola di Maiale making more work of Pellerin available at last." DM, Vital Weekly, 2019.
"(...) Pierres, ustensiles et percussions & souffle, bec et colonne d’air. Une approche sonore fascinante du duo phare de la free-music: saxophone et batterie. Mathieu Bec et Guy-Frank Pellerin. Travail et jeux dans la marge de l’instrument et une identité sonore particulière et originale qui se distinguent par leurs sonorités de leurs meilleurs confrères sans qu’on songe à établir une comparaison. On songe à Lê Quan Ninh et Michel Doneda, Roger Turner et Urs Leimgruber, John Butcher et Gino Robair ou Mark Sanders. Enregistré le 27 février 2018 dans la froideur de l’Église St Sylvestre de Puéchabon (Hérault) avec la résonance réverbérante des murs de pierres, des voûtes et des dalles du sol… Frottements, grattages, crissements, vibrations des objets sur les surfaces, multiplicité des frappes en cycles croisés sur peaux et pierres (lithophones - Lithophages), harmoniques perçantes, jeu infra, effets de souffle dans le tube, étirement du son, fluctuation des fréquences, vocalisations, doigtés croisés, multiphoniques, saturation dans le bec, chant de la peau sous le grattoir, pulsations sauvages, bruit/musique, interpénétration des timbres et agrégats sonores volatiles, au bord du silence. On n’en finit pas de dénombrer et d’identifier les occurrences du son, du lyrisme et de l’émotion sous-jacente, sentir la réflexion profonde enchaînée au geste spontané. De légers chocs des cailloux résonnants et cristallins font mugir la peau du tambour comme une voix de l’au-delà. L’intimité des sons est toute proche. Musique du corps qui veille sur le qui-vive, mouvements induits par l’écoute immédiate. Petit à petit, d’une des dix pièces – poèmes à l’autre, se construit un dialogue qui précise la qualité et le détail de leurs interactions après que leurs premières improvisations aient mis au jour les strates de leurs sons multiples respectifs. On plonge ici dans le mystère de l’improvisation. Comme certains albums de Phil Minton, d’Urs Leimgruber, de Günter Christmann, de Christiane Bopp, de Jacques Demierre, etc. nous nous situons au cœur de la fabrique de la musique libre retournée à l’état de nature indomptée. Cela fonctionne plus loin qu’un duo. Ces deux-là font esprit et corps l’un à l’autre. À écouter d’urgence. Je l’ai fait aujourd’hui via https://mathieubec.bandcamp.com/album/s-a-x-a-p-e-t-r-aet une paire d’écouteurs baladeurs faute d’avoir une copie compact. Une belle merveille!" Jean-Michel Van Schouwburg, Orynx - Improv and Sounds, 2018.
"(...) L’impression d’avoir lu une chronique, belle, très fouillée, de cet album. Des neurones endommagés, sûrement. Peut-être une incitation à surmonter ma paresse et à écrire. Dont acte. Une forme d’art brut. Non que la musique soit agressive ou primitive. Non qu’elle se contenterait de figures répétées: ici, ça furète, ça bifurque, ça prend à contrepied, ça change de couleur en permanence.
Non qu’elle manquerait de sophistication; il suffit d’écouter les murmures, les bruissements, les crépitements, les clair-obscur des frappes, les successions ou combinaisons des matériaux sonores pour mesurer la délicatesse et la maîtrise des percussions; de même que cette science du jeu des saxophones pour nous offrir des matières contrastées, irisées, éraillées ou feutrées, parfois ravageuses, toujours très travaillées, aux paysages imaginaires étendus, puissants ou délicats, bien loin des usages canoniques.
Non c’est de l’impact émotionnel qu'il s'agit, de ce qui fait que l’attention est d’emblée totalement piégée. C’est le choc de l’évidence: ce duo, dont je n’ai pas vu venir la maturation, est parvenu à une forme de climax. La parfaite complémentarité des discours, l’équilibre, la délicatesse alliée à la puissance et à la richesse oniriques. Comme l'invention d'un langage qui leur serait propre. Une heure d’oubli du reste du monde Bandcamp vous propose l’album en téléchargement numérique de qualité pour 8€, mais aussi en libre écoute en ligne. L’album est aussi disponible en CD, chez Setola di Maiale. Album enregistré à Puéchabon, Eglise de Saint Sylvestre des Brousses." Guy Sitruk, Jazz à Paris, 2018.
"(...) Ce crépitement soudain jailli de nulle part et tombant précisément là où on ne l'attendait pas, trop lointain pour fixer le rythme, mais assez proche pour l'ébranler de son urgence, ne pouvait obéir qu'à l'instinct immédiat d'un homme présent à l'instant, imperméable à toute autre suggestion que celles de son partenaire. Cette multitude d'informations, réduite en une seule impulsion à un point donné sur l'abscisse du temps, inscrivait d'emblée son auteur au nombre des artistes réflexes maîtrisant assez leur instrument pour exprimer en temps réel l'idée surgie au seuil de leur conscience. Nous avions bien affaire à un improvisateur, et non des moindres! Son partenaire, Guy-Frank Pellerin, dont j'ignorais également tout, n'est pas non plus tombé de la dernière pluie. Il faut d'ailleurs attendre un moment, que le cuivre résonne de tout son timbre, pour distinguer les deux musiciens, comprendre que ce frottement était en fait un souffle et ce grondement une percussion. Pour autant, les deux hommes ne s'inscrivent dans aucun courant minimaliste. Et si le tempo s'avère le grand absent de leurs échanges, le son lui-même est omniprésent et participe d'une forme paradoxale d'expressionnisme abstrait, marqué de cris métalliques et de frappes sourdes dont l'énergie pourrait s'apparenter à une violence retenue si le propos n'était ouvertement pacifique et fondé sur le partage de sensations uniques. Musique sensitive, donc, où la technique est mise au service de l'écoute et des réactions de chacun à l'expression de l'autre, cette polyphonie bruitiste aux cymbales raclant la peau de la caisse-claire quand la voix se dédouble au fond du saxophone, aux friselis de baguettes évoquant sur les cercles un froissement de tôle, aux silences furtifs, virgules tremplins vers une soudaine explosion de matières inflammables, illustre la fugacité de pensées autonomes et simultanées qui agissent leurs gestes et leurs conséquences. Curieux des moindres vibrations traversant déjà les strates de l'atmosphère, les musiciens concentrent toute leur attention sur ces entités placées dans l'air, à portée de souffle, et qu'ils se doivent de saisir en une fraction de seconde pour mieux en nourrir un discours immédiatement perceptible. Ici, les hommes sont les auteurs d'une traduction instantanée, depuis les possibles d'un espace-temps déterminé jusqu'à l'ultime résonnance au cœur de l'auditeur, et c'est de leur constante interaction que naît le langage même. Des frictions arrachées aux limbes du silence, des cliquetis boisés, des murmures venteux, le roulement d'un tambour épousant l'éclosion d'une note solitaire tranchée en son milieu par la sécheresse d'une claque, le fracas minutieux des aiguilles sur le pourtour des caisses, des aigus chiffonnés, sculptés à même le cuivre jusqu'à n'en dessiner que le mince filet d'un sifflement ténu, le slap urgent du sax auquel répond le choc, au centre de la peau, d'une baguette obstinée réitérant sa frappe et imposant, dès lors, la surdité d'un glas aux réminiscences tragiques. La concrétion des pierres, dont Mathieu Bec s'est fait une spécialité, qui tintent parfois au sommet de la tessiture avant de descendre un à un les degrés successifs de roches tempérées. L'étonnante clarté de ce lithophone s'assombrissant aussi à mesure que le percussionniste s'enfonce dans le mystère et l'obscurité des graves, le calcaire supposé, qui explose soudain en un nuage de poussière annonçant la dangereuse blancheur des carrières. La limpidité du souffle après la raucité du cri, espace transparent, aussitôt partagé, de paix intérieure. C'est dans cette alchimie attentive d'une violence constamment détournée que les deux improvisateurs imposent leur style, mâtiné de douceur et de fulgurances, d'évidence complexe et d'une logique personnelle échappant, dans sa singularité, aux catégories dans lesquelles nous aimerions les enfermer pour mieux les comprendre et les apprivoiser. Pourtant, c'est dans cette incapacité à les appréhender que réside notre fascination et le plaisir renouvelé d'une écoute répétée pour mieux en saisir la subtilité. Si l'immédiateté d'une musique saisie dans l'instant par son enregistrement nous offre ainsi le bonheur de la quête et, par là-même, l'illusion de l'intelligence, ces artisans, tailleurs de pierres, de métaux et de vent, n'auront pas failli à leur tâche et peuvent être fiers de leur ouvrage. Mesdames et Messieurs les programmateurs, c'est de nous que dépend désormais le tour de France de ces compagnons musiciens!" Joël Pagier, Revue & Corrigée, 2019.
01 _ La pierre, l'arbre et la source 8:51
02 _ Language secret 3:58
03 _ Litophages 4:58
04 _ Le tumulte est magnifique 7:39
05 _ Les voix du dedans 5:13
06 _ Pierres soufflées 9:15
07 _ Ascension céleste 8:28
08 _ Balais sorciers 7:52
09 _ Tambour cheval 4:05
10 _ Un charme dans la gorge 3:14
(C) + (P) 2018
SOLD OUT
Guy-Frank Pellerin _ soprano sax _ tenor sax _ alto sax
Mathieu Bec _ stones _ percussions
Improvised music recorded on February 27th, 2018 in Puéchabon, church of St. Sylvestre des Brousses (France). Mastering by Marco Carvelli, Pisa (Italy).
Guy-Frank Pellerin is a Franco Canadian multi-saxophonist who has debuted in the Seventies as an improviser. In the Eighties, he has played in the orchestra of Alan Silva, the "Celestrial Communication Orchestra". He has played a lot in experimental formations, with improvising and jazz musicians but also actors, dancers, painters, in the streets, halls, festivals, national scenes and throughout the world. Improvisation is the driving thread of his artistic career. For more information: https://soundcloud.com/guy-frank-pellerin-1
Percussionist Mathieu Bec ( born 1973, Montpellier, France) mixes improvised music, noise, jazz acceleration. His drum becomes a pretext to rubbed objects that tells a story. Sculpture of sound. Atypical percussionist, he uses various objects and questions the moment by breaking the codes of our perceptions. He develops a solo that goes from the lightest whisper to a telluric storm. Forget traditional technique and listen to the texture and the material. He have played with Dubovnik, Michel Doneda, Wade Matthews, Xavier Charles, Goh Lee Kwang, Sebastien Bouhana, Pierre Diaz, Guillermo Torres, Noorg, L'Instant Donné, Marc Siffert, Laurent Avizou, Jean-Louis Costes, Jean-Marc Foussat, Cesario Fa, Makoto Sato, Julien Palomo, Henry Herteman, Naoto Yamagishi, Gilles Dalbis, David Kiledjian, Sébastien Job, Henry Koek, Christophe Meulien, Duncan Pinhas, Lauren Rodz, Emmanuelle Stimbre, Vanessa Pettendorfer, Bruno Gussoni, Fujimoto Takami and the filmmaker Stephane Clovis. For more information: https://matbec.simdif.com
"(...) One of the best albums of 2018, according to Ettore Garzia, Percorsi Musicali.
"(...) Guy-Franck Pellerin started playing saxophone some 40 years ago. He started with a Canterbury-influenced group in Paris, then studied at the IACP with Alan Silva, playing with this ensemble famous Celestial Communication Orchestra. Many collaborations followed. In later years for example he played with Bruno Griard (Bratsch), Marcello Magliocchi, Massimo Falascone, a.o. It is also in those ‘later years’ that Pellerin started to release his work. Of his early work not much is documented as far as I know. This is compensated a bit now by three new releases by Setola di Maiale.
On ‘Saxa Petra’ Pellerin plays soprano, alto and tenor sax in a duo with Mathieu Bec who plays stones and percussion. Recorded early 2018 in a church somewhere in France. Bec is a drummer and percussionist from Montpellier who started playing hardcore in the 90s inspired by John Zorn and Nomeansno. With Sébastien Job he released two albums in 2014 and 2016 as the electroacoustic duo Dubrovnik. His collaboration with Pellerin illustrates his latest musical activitiy as a free improviser. Both are engaged in subtle and colourful improvisations, creating intimate and textures. Ten intense and concentrated dialogues with nice phrasing by Pellerin and Bec using a diversity of objects and stones. In a nice recording reflecting the spatial qualities of the church.
For ‘It doesn’t work in a car’ Pellerin works with a musician with a totally different background. Siringo is a gifted, classically trained pianist who worked as a soloist as well as member of chamber music ensembles. Since 2003 he also chose to work in the fields of contemporary and improvised music. His collaboration with Pellerin is a satisfying example of his development as this recording from November 2015 shows. He is a dynamic and versatile pianist. Abstract sound textures like ‘Deep the See behind you’ and ‘Breath’ make a nice contrast with exuberant and playful improvisations like ‘No Traffic Lights’. Again Pellerin (saxophones, bone flute) is engaged in a balanced and communicative interaction with his companion.
Finally there is a trio work of Pellerin (baritone, tenor and soprano sax and gong) with Eugenio Sanna (amplified guitar, metal sheets, balloons, red cellophane, voice) and Maresuke Okamoto (cello and voice). Maresuke Okamoto is a contrabass and cello player from Tokyo where he entered the improv scene in the early 80s. In more recent years he worked with people like Carlos Zingaro, Frantz Loriot, Hugues Vincent, Hui-Chun Lin, Terry Day, Paulo Chagas, Tristan Honsinger, etc. Guitarist Eugenio Sanna was co-founder of CRIM (Centro per la Ricerca sull'Improvvisazione Musicale) in Pisa, Italy in 1976, playing improvised music ever since. It may become boring, but this is again a very worthwhile exercise in abstract and dynamic soundsculpting.
All three are equally participating in inspired and intertwined movements. Great work!
And compliments to Setola di Maiale making more work of Pellerin available at last." DM, Vital Weekly, 2019.
"(...) Pierres, ustensiles et percussions & souffle, bec et colonne d’air. Une approche sonore fascinante du duo phare de la free-music: saxophone et batterie. Mathieu Bec et Guy-Frank Pellerin. Travail et jeux dans la marge de l’instrument et une identité sonore particulière et originale qui se distinguent par leurs sonorités de leurs meilleurs confrères sans qu’on songe à établir une comparaison. On songe à Lê Quan Ninh et Michel Doneda, Roger Turner et Urs Leimgruber, John Butcher et Gino Robair ou Mark Sanders. Enregistré le 27 février 2018 dans la froideur de l’Église St Sylvestre de Puéchabon (Hérault) avec la résonance réverbérante des murs de pierres, des voûtes et des dalles du sol… Frottements, grattages, crissements, vibrations des objets sur les surfaces, multiplicité des frappes en cycles croisés sur peaux et pierres (lithophones - Lithophages), harmoniques perçantes, jeu infra, effets de souffle dans le tube, étirement du son, fluctuation des fréquences, vocalisations, doigtés croisés, multiphoniques, saturation dans le bec, chant de la peau sous le grattoir, pulsations sauvages, bruit/musique, interpénétration des timbres et agrégats sonores volatiles, au bord du silence. On n’en finit pas de dénombrer et d’identifier les occurrences du son, du lyrisme et de l’émotion sous-jacente, sentir la réflexion profonde enchaînée au geste spontané. De légers chocs des cailloux résonnants et cristallins font mugir la peau du tambour comme une voix de l’au-delà. L’intimité des sons est toute proche. Musique du corps qui veille sur le qui-vive, mouvements induits par l’écoute immédiate. Petit à petit, d’une des dix pièces – poèmes à l’autre, se construit un dialogue qui précise la qualité et le détail de leurs interactions après que leurs premières improvisations aient mis au jour les strates de leurs sons multiples respectifs. On plonge ici dans le mystère de l’improvisation. Comme certains albums de Phil Minton, d’Urs Leimgruber, de Günter Christmann, de Christiane Bopp, de Jacques Demierre, etc. nous nous situons au cœur de la fabrique de la musique libre retournée à l’état de nature indomptée. Cela fonctionne plus loin qu’un duo. Ces deux-là font esprit et corps l’un à l’autre. À écouter d’urgence. Je l’ai fait aujourd’hui via https://mathieubec.bandcamp.com/album/s-a-x-a-p-e-t-r-aet une paire d’écouteurs baladeurs faute d’avoir une copie compact. Une belle merveille!" Jean-Michel Van Schouwburg, Orynx - Improv and Sounds, 2018.
"(...) L’impression d’avoir lu une chronique, belle, très fouillée, de cet album. Des neurones endommagés, sûrement. Peut-être une incitation à surmonter ma paresse et à écrire. Dont acte. Une forme d’art brut. Non que la musique soit agressive ou primitive. Non qu’elle se contenterait de figures répétées: ici, ça furète, ça bifurque, ça prend à contrepied, ça change de couleur en permanence.
Non qu’elle manquerait de sophistication; il suffit d’écouter les murmures, les bruissements, les crépitements, les clair-obscur des frappes, les successions ou combinaisons des matériaux sonores pour mesurer la délicatesse et la maîtrise des percussions; de même que cette science du jeu des saxophones pour nous offrir des matières contrastées, irisées, éraillées ou feutrées, parfois ravageuses, toujours très travaillées, aux paysages imaginaires étendus, puissants ou délicats, bien loin des usages canoniques.
Non c’est de l’impact émotionnel qu'il s'agit, de ce qui fait que l’attention est d’emblée totalement piégée. C’est le choc de l’évidence: ce duo, dont je n’ai pas vu venir la maturation, est parvenu à une forme de climax. La parfaite complémentarité des discours, l’équilibre, la délicatesse alliée à la puissance et à la richesse oniriques. Comme l'invention d'un langage qui leur serait propre. Une heure d’oubli du reste du monde Bandcamp vous propose l’album en téléchargement numérique de qualité pour 8€, mais aussi en libre écoute en ligne. L’album est aussi disponible en CD, chez Setola di Maiale. Album enregistré à Puéchabon, Eglise de Saint Sylvestre des Brousses." Guy Sitruk, Jazz à Paris, 2018.
"(...) Ce crépitement soudain jailli de nulle part et tombant précisément là où on ne l'attendait pas, trop lointain pour fixer le rythme, mais assez proche pour l'ébranler de son urgence, ne pouvait obéir qu'à l'instinct immédiat d'un homme présent à l'instant, imperméable à toute autre suggestion que celles de son partenaire. Cette multitude d'informations, réduite en une seule impulsion à un point donné sur l'abscisse du temps, inscrivait d'emblée son auteur au nombre des artistes réflexes maîtrisant assez leur instrument pour exprimer en temps réel l'idée surgie au seuil de leur conscience. Nous avions bien affaire à un improvisateur, et non des moindres! Son partenaire, Guy-Frank Pellerin, dont j'ignorais également tout, n'est pas non plus tombé de la dernière pluie. Il faut d'ailleurs attendre un moment, que le cuivre résonne de tout son timbre, pour distinguer les deux musiciens, comprendre que ce frottement était en fait un souffle et ce grondement une percussion. Pour autant, les deux hommes ne s'inscrivent dans aucun courant minimaliste. Et si le tempo s'avère le grand absent de leurs échanges, le son lui-même est omniprésent et participe d'une forme paradoxale d'expressionnisme abstrait, marqué de cris métalliques et de frappes sourdes dont l'énergie pourrait s'apparenter à une violence retenue si le propos n'était ouvertement pacifique et fondé sur le partage de sensations uniques. Musique sensitive, donc, où la technique est mise au service de l'écoute et des réactions de chacun à l'expression de l'autre, cette polyphonie bruitiste aux cymbales raclant la peau de la caisse-claire quand la voix se dédouble au fond du saxophone, aux friselis de baguettes évoquant sur les cercles un froissement de tôle, aux silences furtifs, virgules tremplins vers une soudaine explosion de matières inflammables, illustre la fugacité de pensées autonomes et simultanées qui agissent leurs gestes et leurs conséquences. Curieux des moindres vibrations traversant déjà les strates de l'atmosphère, les musiciens concentrent toute leur attention sur ces entités placées dans l'air, à portée de souffle, et qu'ils se doivent de saisir en une fraction de seconde pour mieux en nourrir un discours immédiatement perceptible. Ici, les hommes sont les auteurs d'une traduction instantanée, depuis les possibles d'un espace-temps déterminé jusqu'à l'ultime résonnance au cœur de l'auditeur, et c'est de leur constante interaction que naît le langage même. Des frictions arrachées aux limbes du silence, des cliquetis boisés, des murmures venteux, le roulement d'un tambour épousant l'éclosion d'une note solitaire tranchée en son milieu par la sécheresse d'une claque, le fracas minutieux des aiguilles sur le pourtour des caisses, des aigus chiffonnés, sculptés à même le cuivre jusqu'à n'en dessiner que le mince filet d'un sifflement ténu, le slap urgent du sax auquel répond le choc, au centre de la peau, d'une baguette obstinée réitérant sa frappe et imposant, dès lors, la surdité d'un glas aux réminiscences tragiques. La concrétion des pierres, dont Mathieu Bec s'est fait une spécialité, qui tintent parfois au sommet de la tessiture avant de descendre un à un les degrés successifs de roches tempérées. L'étonnante clarté de ce lithophone s'assombrissant aussi à mesure que le percussionniste s'enfonce dans le mystère et l'obscurité des graves, le calcaire supposé, qui explose soudain en un nuage de poussière annonçant la dangereuse blancheur des carrières. La limpidité du souffle après la raucité du cri, espace transparent, aussitôt partagé, de paix intérieure. C'est dans cette alchimie attentive d'une violence constamment détournée que les deux improvisateurs imposent leur style, mâtiné de douceur et de fulgurances, d'évidence complexe et d'une logique personnelle échappant, dans sa singularité, aux catégories dans lesquelles nous aimerions les enfermer pour mieux les comprendre et les apprivoiser. Pourtant, c'est dans cette incapacité à les appréhender que réside notre fascination et le plaisir renouvelé d'une écoute répétée pour mieux en saisir la subtilité. Si l'immédiateté d'une musique saisie dans l'instant par son enregistrement nous offre ainsi le bonheur de la quête et, par là-même, l'illusion de l'intelligence, ces artisans, tailleurs de pierres, de métaux et de vent, n'auront pas failli à leur tâche et peuvent être fiers de leur ouvrage. Mesdames et Messieurs les programmateurs, c'est de nous que dépend désormais le tour de France de ces compagnons musiciens!" Joël Pagier, Revue & Corrigée, 2019.
"(...) Comincio da Saxa Petra del duo francese Guy-Frank Pellerin/Mathieu Bec (rispettivamente a sassofoni e percussioni). Il titolo non inganna: questo è un incontro sonoro tra particolarità sonore del sax e di un selezionato parco percussivo, impostato sulla ricerca della qualità sonora; non è ormai un tabù pensare che molti improvvisatori dovrebbero performare in luoghi opportuni, diversi dai soliti disponibili, poiché quello che è utile per far scattare le sensazioni non è il suono in sé per sé, quanto la sua qualità, la sua capacità di offrire dettagli. Tutto il lavoro prende beneficio dallo sfruttamento delle risonanze della chiesa di St. Sylvestre des Brousses di Puéchabon, è teso alla costruzione di finzione acustica e ricerca di similitudini, e la lunga introduzione di La pierre, l'arbre et la source è sintomatica del lavoro effettuato da Pellerin sugli armonici in comunione con i sibili e il suono della materia grezza della pietra ottenuto da Bec.
In Language secret l'intro combina due soffi sovrapposti, uno reale (quello ricavato attraverso l'indotto del sax) ed uno artificiale (quello dello strofinamento percussivo): sono messaggi in codice, sbuffi, lamenti misteriosi, scenari pragmatici, quelli si aprono all'udito.
Il riferimento in Litophages è quello di animali che riescono a scavare nella roccia e abitano nella pietra stessa; è possibile immaginare un suono per essi? Pellerin e Bec lo affrontano con sax armonico e profondo (un suono che buca) e un gioco percussivo di pietre che probabilmente scandisce il processo di erosione: una splendida rappresentazione che tiene conto dei momenti biologici temporalmente differenziati.
Una strana conturbazione apre Le tumul est magnifique, un pezzo che vive in sordina, come qualcosa che cova, con gli strumenti tappati, mentre un turbine di evoluzioni regge Les voix du dedans; Ascension celeste agisce su degli oggetti che risuonano come porcellana e il sax emette un filo d'aria che può aderire ad un vento di scarsa intensità, mentre in Un charme dans la gorge, Pellerin riesce a darci l'illusione di un sospiro umano, con i metalli che inducono ad un procedimento fisico.
Si arriva alla fine del cd molto soddisfatti, con un'esperienza esauriente, una delle migliori che io abbia mai provato sui cds di Setola e che mostra un sentimento molto contemporaneo nonché un'affinità molto forte tra i due musicisti. Il consiglio è di ascoltarlo a volume sostenuto ed occhi chiusi." Ettore Garzia, Percorsi Musicali, 2018.
"(...) Ci sono musicisti che portano avanti il loro lavoro (il loro destino ?) lontani dalle luci abbaglianti della ribalta, delle grandi manifestazioni che sempre più spesso affidano i loro successi alle proposte risapute, ripetitive e talvolta noiose, per nulla autenticamente creative.
Pellerin è uno di questi musicisti. Il suo nome non dirà alcunchè al grande pubblico. Eppure questo interessantissimo polistrumentista franco-canadese è attivo dagli anni '70, allorchè abbracciò la causa della musica improvvisata nelle sue diverse forme espressive. Ricco e nutrito con cura, è l'elenco delle sue collaborazioni: fra i tanti con cui ha avuto modo di suonare figurano i nomi di Alan Silva, Frank Wright, Steve Lacy, Sunny Murrey, Bobby Few, Bernard Vitet, Carlos Zingaro, Jouk Minor, Eugenio Sanna, Maresuke Okamoto... Era evidentemente maturo il tempo di regalarci un disco a suo nome, un disco appassionante; un disco, lo dico subito, molto bello, ricco com'è di atmosfere, suggestioni, sviluppi imprevedibili e soluzioni che, pur non perdendo di vista i contributi offerti nel tempo dalle variegate anime dell'avanguardia d'oltreoceano ed europee, rifugge da certi manierismi, per affermare una cifra stilistica assolutamente personale. Gli fa da prezioso compagno in questo viaggio nell'intricato labirinto dell'anima, Mathieu Bec, musicista a 360 gradi: sarebbe riduttivo etichettarlo semplicemente come batterista e percussionista. In effetti oltre ad essere anche questo, Bec è uno straordinario ricercatore di suoni per ottenere i quali non esita ricorrere a tutti gli oggetti in grado di produrli: l'uso che egli fa delle pietre, ad esempio, ha un che di animistico che recupera ancestrali rituali evocanti forze oscure, magiche, il cui valore premonitore viene accentuato da un magistrale impiego musicale dei silenzi.
E' sempre banalizzante pretendere di indicare in modo sintetico il contenuto di un disco, perché ogni tentativo di riduzione inevitabilmente non può rendere conto di quanto in esso si può ascoltare nel tralasciare le molteplici sfaccettature dell'insieme. Io corro il rischio nel sostenere che nel nostro caso l'elemento cardine su cui il tutto poggia, è l'indagine di quell'elemento impalpabile ma fondamentale in ogni creazione artistica che è il profondo dell'anima coi suoi istinti, i suoi lati oscuri e quelli più luminosi; un'interiorità in conflitto che si esprime attraverso il travaglio creativo che si sviluppa attraverso un processo ininterrotto di aggregazioni e sovrapposizioni sapientemente dosate. In fin dei conti, sopratutto di fronte a proposte musicali come questa, l'unico modo per comprenderne il contenuto, consiste nell'ascoltare attentamente per farsene coinvolgere emotivamente in modo totale.
Per questo ritengo inutile e disviante tracciare un'analisi dei singoli brani, sopratutto perchè la loro divisione sembra più a ragioni di produzione del cd che a quelle reali della creazione durante la registrazione. In effetti ci troviamo di fronte ad una sorta di suite senza interruzioni nel corso della quale gli elementi naturali (pietre, pelli, legni etc...) si intrecciano con i fiati creando una serie di situazioni sospese nel tempo e nello spazio, con improvvisi silenzi seguiti da improvvise aperture in spazi luminosi. Giochi di luce e ombre emergono quando la forza della percussione esalta la levità del sax soprano. Climi misteriosi si creano e si ricreano allorchè l'arte di trarre dagli oggetti sonorità inusuali viene messa in correlazione emotiva coi suoni emessi dagli strumenti a fiato: è qui che la pratica dell'improvvisazione totale tocca vertici molto alti. Continuo è il dialogo serrato tra i due che danno vita a notevoli momenti di creazione istantanea il cui scopo fondamentale è la ricerca del suono, della sua essenza intima e della sua onnipresenza.
Un gran bel cd, vibrante e avvolgente. Assolutamente da ascoltare." Stefano Arcangeli, Stefano Arcangeli (Musica Jazz, Pisa Jazz, CRIM-Centro per la Ricerca sull’Improvvisazione Musicale), 2018.
01 _ La pierre, l'arbre et la source 8:51
02 _ Language secret 3:58
03 _ Litophages 4:58
04 _ Le tumulte est magnifique 7:39
05 _ Les voix du dedans 5:13
06 _ Pierres soufflées 9:15
07 _ Ascension céleste 8:28
08 _ Balais sorciers 7:52
09 _ Tambour cheval 4:05
10 _ Un charme dans la gorge 3:14
(C) + (P) 2018