TAI FEST #1 (VOL. 2)
TAI NO-ORCHESTRA (Roberto Del Piano, Massimo Falascone, Roberto Masotti, Alessandra Novaga, Paolo Botti, Mario Arcari, Giancarlo Locatelli, Silvia Bolognesi, Angelo Contini, Pat Moonchy, Edoardo Ricci, Robin Neko, Gianluca Lo Presti)
SOLD OUT
Alessandra Novaga _ chitarra elettrica
Massimo Falascone _ sax sopranino_ sax alto _ crackle box
Paolo Botti _ viola
Mario Arcari _ oboe
Giancarlo Locatelli _ clarinetto basso
Roberto Del Piano _ basso elettrico
Silvia Bolognesi _ contrabbasso
Angelo Contini _ trombone
Pat Moonchy _ voce _ elettronica
Edoardo Ricci _ sax alto
Robin Neko _ crackle synth _ acting
Roberto Masotti _ sounding visual _ crackle box
Gianluca Lo Presti _ sounding visual
“Per chi ama andare in ‘terra incognita’ armato di percezione, conoscenza e voglia di dissodare i sentieri non riconosciuti o quelli volutamente trascurati”. Questo disco, disponibile singolarmente, è in realtà la metà di un doppio [vedi TAI Fest#1 (Vol.1)]. Entrambi i volumi sono la documentazione del primo TAI Fest organizzato al Moonshine di Milano dal 12 al 16 maggio 2014; rappresentano quindi una compilation ben editata dei gruppi TAI che in quelle giornate si sono formati secondo la logica della TAI No-Orchestra. Inutile aggiungere una descrizione sulla qualità delle proposte, i nomi coinvolti parlano di una musica sopraffina... In questa edizione, i musicisti TAI presenti erano in particolare i milanesi (città in cui nasce il progetto) e alcuni musicisti della 'scena' toscana. Un particolare che ha fatto la felicità di questa etichetta, sono le copertine dei due volumi: entrambe sono progettate con le immagini del grandissimo fotografo Roberto Masotti che negli anni ha creato cover, tra le altre, per FMP, ECM, Cramps Records oltre ad essere stato, insieme alla moglie Silvia Lelli, direttore della fotografia del Teatro alla Scala di Milano, per 20 anni. Dalle note di copertina: "TAI No-Orchestra (Terra Australis Incognita) nasce nella primavera del 2013 da un’idea di Roberto Del Piano, Massimo Falascone e Roberto Masotti. TAI No-Orchestra diviene in poche battute e spontaneamente uno straordinario corpo “orchestrale” di musicisti e video-makers, un collettivo di artisti che si esibiscono facendo interagire l’improvvisazione musicale con la performance video, non estranee al possibile incrocio con le parole e gesti di danza-movimento. TAI inizia a proporsi con progetti speciali, invadendo spazi, componendosi e scomponendosi a piacere a seconda dei luoghi e delle circostanze. TAI vuole cogliere ogni occasione per approfondire e sviluppare il pensiero sull’improvvisa- zione nel modo più aperto e variegato possibile, senza preclusioni o blocchi, rapportandosi necessariamente a storiche esperienze che in quest’ambito si sono espresse nei passati decenni e mantenendo attivala componente visuale, caratteristica peculiare del progetto. TAI opera soprattutto gesti, azioni, installazioni, sonorizzazioni ambientali, esplorazioni sonore, opta per residenze, rassegne ma non, o meglio, non solo in forma di concerto “tradizionale”. Ama muoversi all’insegna della complicità, della varietà, assecondando uno spirito esplorativo, possibilmente innovativo, che elabori una propria cognizione di tempo, silenzio, timbro, rumore. Se Cage ha utilizzato un atlante delle stelle per comporre il suo Atlas Elipticalis, noi ci accontenteremo di far galleggiare su immaginarie mappe musicali i nostri oggetti, strumenti dai suoni acustici ed elettronici, le nostre visioni, i colori, dispositivi sonori e visivi di varia natura. Raccogliendo, accostando, incollando, sovrapponendo tutti quei frammenti che compongono e disegnano il nostro Atlante sonoro e lo rinnovano di continuo. Sempre esplorando lungo un viaggio eterno e perennemente curioso."
Per maggiori informazioni: www.orchestratai.com
"(...) Un name, un programma. Tai No-Orchestra, dove I'acronimo sta per Terra Australis lncognita, come venivano indicate ancora ai primi del Novecento Ie terre sconosciute, non ancora esplorate, non di/segnate sulle carte geogra?che. E' lì che Ia Tai No—Orchestra si dirige programmaticamente ed é giunta ormai al terzo anno di viaggio ininterrotto. L’equipaggio conta circa trenta membri, più o meno ?ssi, oltre a una ventina di collaborazioni estemporanee a tutt'oggi, dopo tre approdi sulla terra ?rma, ovvero il Tai Fest. Approdi istantanei, dove i musicanti di tumo passano all'azione, rinverdendo Ie esperienze storiche dell’improvvisazione, soprattutto quella delle Company Weeks di cui fu gran cerimoniere Derek Bailey. Erano incontri che nascevano sotto il segno dell’aleatorietà, quelli della Company, e altrettanto lo sono questi della Tai No-Orchestra; essendo esperienze uniche, irripetibili, Ie similitudini, ca va sans dire, ?niscono qui. ll progetto, ideato nel 2013 da Massimo Falascone, Roberto Del Piano e Roberto Masotti, ha una propria identità e prova ne sono questi dischi che documentano il primo Tai Fest, svoltosi a Milano dal 12 al 16 maggio 2014. Le improvvisazioni non hanno titoli ma vengono indicati iI giorno dell’esibizione e gli artisti coinvolti nell’occasione, fungendo in un certo senso da coordinate. Tra Ie varie rotte tracciate, quelle che sembrano includere maggiore libertà, sconcerto, mano sicura, poca zavorra e trama avventurosa sono iI vibrante quartetto in azione il 15 maggio che si ascolta su Tai Fest #1 (Vol. 2), ovvero Silvia Bolognesi al contrabbasso, Paolo Botti al banjo, Giancarlo Locatelli al clarinetto basso e Falascone al baritone, capaci di mantenere sempre alta la tensione senza mai smarrirsi; il duo composto da Walter Prati al violoncello e, sempre dallo stesso disco, Mario Arcari (clarinetto, arpa
e ocarina), all’opera il 12 maggio, abili nel tessere una trama di grande elasticità; il duo impegnato in una intensa conversazione in lingua selenita, costituito da Alessandra Novaga alla chitarra
e Falascone al soprano e al contralto, registrato sempre il 12 maggio, ma presente su Tai Fest #1 (Vol. 2)". Fucile, Musica Jazz, 2016.
"(...) Tai No Orchestra: Terra Australis Incognita o Terra promessa? Sembra che i locali milanesi siano particolarmente ispirativi per i progetti importanti dei musicisti: ricordo che Giorgio Gaslini diceva, in un'intervista a Ielmini, che fu un adeguato locale della città che gli consentì la stesura del manifesto sulla musica totale; allo stesso modo, l'esperienza della Tai No-Orchestra, è venuta fuori oggettivamente nell'incontro di tre musicisti che hanno formalizzato ufficialmente le loro idee (Massimo Falascone, Roberto Del Piano e Roberto Masotti) nell'area di ristoro del piano seminterrato dell'Upim di Piazzale Corvetto nel maggio del 2013. Naturalmente non estranei a progetti alternativi di musica improvvisata, in quella sede i tre decisero di organizzare un palco nutrito di artisti senza concezioni idiomatiche, con la volontà di renderlo adeguato ai tempi. Si usa ancora il concetto di orchestra, ma di orchestra intesa nel senso comune del termine vi è poco e va interpretato. Il riferimento all'orchestra nasceva probabilmente dalle sollecitazioni culturali provate dai tre musicisti negli anni settanta, un periodo in cui il concetto tradizionale di orchestra nel jazz e nelle relazioni libere di esso, aveva un significato più stringente e non teso a determinate caratteristiche (se si pensa alle esperienze delle orchestre improvvisative inglesi, tedesche o italiane stesse è indubbio che l'ilarità di una prosa o di un atteggiamento alla Zappa erano elementi praticamente assenti). Tuttavia ripetere le esperienze già vissute dall'avanguardia milanese o toscana di quegli anni (un pedigree di certificazione umana riconosciuto ai tre fondatori) avrebbe alimentato l'anacronismo: c'è una nuova situazione dell'improvvisazione libera che va studiata, un progetto che per interessare deve fornire punti di congiunzione del pensiero in un'ottica rinnovata; un'orchestra "alternativa" oggi non può prescindere da un suo variabile comporsi, deve sottolineare individualità e al tempo stesso trovare un accordo nel complesso delle relazioni che legano i suoi elementi; deve far spazio alla poesia, al divertimento e alla recitazione suscitando un'enfasi quasi riduttiva da leggersi nelle righe degli eventi; deve dar posto all'improvvisazione "guidata" da immagini, proiezioni video o elettronica, che siano in grado di stimolare anche quelle nuove generazioni di musicisti cresciute anche con mezzi non strettamente acustici; sostituire i retaggi jazz di un'orchestra concentrandosi sulle proprietà del suono, incrociando le singole e variabili personalità dei partecipanti e per questa via, rendendole attraenti agli occhi del pubblico; uno spettacolo totale in cui trovare la giusta collocazione della musica in un'area di totale assenza di pregiudizi, dove mai come prima sono fondamentali le qualità professionali ed emotive degli artisti, gli spazi della rappresentazione e persino una super-matura tipologia di ascoltatore. Un progetto esplorativo, che necessità di musicisti preparati e di luoghi adeguati, senz'altro suscettibile di ulteriori perfezionamenti che forse non è solo teso alle sensazioni di un viaggio; è un monito indiretto a coloro che sono irrimediabilmente legati alle concezioni jazzistiche, un silenzioso avvertimento a puristi e mediatori circa il fatto che il futuro dell'improvvisazione passa attraverso altri parametri, una sorta di terra promessa in cui riconoscere il valore del proprio lavoro. Il primo Tai Fest organizzato al Moonshine è stato immortalato in una doppia registrazione su Setola di Maiale con una serie di partecipanti che vi riporto in nota*: è qualcosa che si apre a molteplici prospettive, anche di coordinata geografica, così come si percepisce sin dalle prime note tenute a battesimo nel primo volume dal trio Falascone (sax alto), Monico (percussioni) e Tacchini (tastiera) o negli interludi classicheggianti tenuti dai fiati di Arcari (clarinetto, ocarina ed oboe) e da Prati al violoncello; richiama astrusità che sono solo vittime di sincopi jazz (il trio Lugo/Del Piano/Monico); riaccende il lugubre e la psichedelia ante-litteram con la presenza della Moonchy oppure calca la mano su una modalità del tutto anticonvenzionale del banjo grazie a Botti. Il secondo volume è ancora meglio: Falascone e la Novaga si impongono in una suite gigantesca di circa 18 minuti, in cui il sassofonista si ritaglia lo spazio del portatore d'immagini, impostando il suo sax frammentato, al limite del gemito o del crepitio, su una fornace ardente di suoni elettrificati, distorti ed imperiosi che provengono dalla chitarrista milanese; un pò di subdola "malattia" contemporanea emerge nelle cameratistiche visioni del quartetto Botti/Locatelli/Bolognesi/Arcari (impossibile non pensare allo Zorn della produzione classica), così come pressante è l'empasse dell'elettronica che si subisce grazie alle tastiere e al crackle box che si presenta come una componente curata da Masotti (di cui si apprezza anche il lavoro fotografico) e Lo Presti, anche verificabile sul versante che lega il potere associativo dei suoni alle immagini video. Finale dedicato alla "demenza buona" e alla lettura decontestualizzata di alcune poesie, nell'ottica di un'integrazione con la parte musicale." Ettore Garzia, Percorsi Musicali, 2016.
"(...) Due CD per portare allo scoperto il più magmatico, sorprendente e maturo collettivo di improvvisatori (a geometria d'organico variabile) che la Penisola abbia conosciuto: con un'interazione paritetica tra musicisti, artisti visuali, specialisti di elettronica, danzatori, nel caso, e uno slancio verso il futuro che sa far tesoro della storia. Una festa liberatoria per la musica libera che davvero non ha alcun sentore di accademia, ma il gusto di intelligenze motivate, reattive, empatiche." Guido Festinese, Alias/Il Manifesto, 2016.
"(...) Il progetto, ideato nel 2013 da Massimo Falascone, Roberto Del Piano e Roberto Masotti, ha una propria identità e prova ne sono questi dischi che documentano il primo TAI Fest, svoltosi a Milano dal 12 al 16 maggio 2016." Fucile, Musica Jazz, 2016
"(...) In Il Pellegrino delle Stelle – avventuroso graphic novel argentino degli anni Settanta – la visionaria sceneggiatura di Carlos Trillo raccontava (mirabilmente accompagnata dalle tavole di Enrique Breccia, specie nell’edizione in bianco e nero) dell’inarrestabile precipitare di un vecchio brigantino inglese entro una voragine apparsa misteriosamente nell’oceano, dopo un’estenuante bonaccia. L’avido equipaggio, già sull’orlo dell’ammutinamento, decide di consegnarsi a una morte inesorabile, fuggendo vanamente – su scialuppe gravide d’oro – dall’orrido maelstrom verso cui volge la nave. Il capitano Harris Conrad resta invece sul bastimento, insieme al vecchio lupo di mare Jonah e al giovane mozzo O’Flagherty, preferendo, piuttosto, gettarsi verso l’ignoto.
Ingoiati dal baratro, trasportati in una parallela galassia misteriosa, i protagonisti scopriranno che il Pellegrino può volare nello spazio stellare, grazie a un flauto magico, ed esploreranno l’ignoto: quello dello spazio esterno e quello celato entro se stessi.
La spirale vertiginosa che attrae verso l’oscuro, così ben evocata nel fumetto, ha del resto precursori letterari di stirpe analoga, ma blasone maggiore, se è vero che Jorge Luis Borges amava sottolineare che la letteratura ha natura “sempre segreta e mutevole, in ogni riga che ricevo o che scrivo”. Sicché, pur avendole consacrato la vita, negava la certezza di conoscerla e rifiutava di offrirne definizione, perché “il lavoro creativo è sospeso tra la memoria e l’oblio”.
La musica improvvisata esprime con pari forza e dignità l’essenza più intima del viaggio iniziatico (del musicista) verso l’ignoto, celebrata nel noto paradosso enunciato da Ralph Ellison, secondo cui l’improvvisatore (il jazzista) deve perdere la sua identità nello stesso ineffabile momento in cui la afferma, in un processo creativo nel quale, come osservava pure Steve Lacy, “dimenticare non è meno importante che apprendere”.
La T(erra) A(ustralis) I(ncognita) No-Orchestra, impone già per mezzo del nome prescelto una forte identità estetica, che comprende, illustra e spiega lo spirito con il quale viene praticata l’improvvisazione: il coraggio e il gusto di gettarsi verso l’ignoto.
La “non orchestra” (che nega di sé anche la natura di collettivo, affermando piuttosto la propria peculiare essenza di “censimento” o di “chiamata”), nasce dall’incontro, nel maggio del 2013, fra le idee (fisse?) di tre sodali di lunga frequentazione: Massimo Falascone (cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 48), Roberto del Piano e Roberto Masotti. Il primo sassofonista, improvvisatore, compositore (istantaneo e non), manipolatore in tempo reale di suoni elettronici; il secondo, per sua stessa definizione “bassista elettrico di estrazione jazz (storica la sua permanenza nell’Idea Trio di Gaetano Liguori, assieme a Filippo Monico) da sempre incapace di seguire le regole”; il terzo fotografo di rinomanza internazionale assoluta, nonché non-musicista, “mescolatore” di suoni e immagini.
Il Clockstop Fest 2016, tenutosi a Noci nei giorni dal 13 al 15 maggio, ha offerto l’occasione privilegiata per un piacevolissimo incontro con i tre fondatori, anche a margine (e in occasione) della prima fatica discografica della non-orchestra: i due album – rigorosamente separati – editi da Setola di maiale, che riportano la cronaca del Festival TAI tenutosi al Moonshine di Milano giusto due anni fa, dal 12 al 16 maggio del 2014.
Roberto Del Piano ha sottolineato come l’idea iniziale sia presto sfociata nella proposta fatta ad altri musicisti di rispondere alla “vocazione”:
“Si era pensato inizialmente a una lista di persone da invitare, alla quale però hanno aderito tutti, e anzi di più! E questo è stato il primo problema che ci siamo trovati ad affrontare. Il primo incontro alla Casa del Popolo di Lodi si è rivelato, in termini operativi, un vero e proprio disastro. Per questo l’espressione no-orchestra ha assunto in seguito un significato specifico e una funzione propria”.
I due dischi ne offrono conferma, con l’insieme dei chiamati all’impresa a scomporsi e ricomporsi tra loro, in incontri per formazioni ridotte, dal duo al sestetto.
La cifra caratteristica del progetto è nella coesistenza tra forme espressive musicali improvvisate (assai diversificate tra loro) e spunti di visual art: essa assume importanza decisiva nell’economia complessiva del progetto.
È estremamente stimolante riflettere sul fatto che, in una società che vede accentuate le proprie naturali inclinazioni video-centriche (per effetto di una rivoluzione digitale che l’ha ormai sovvertita dalle radici), il progetto TAI (che è fusione di aspetti musicali, performance e stimoli visivi) riesca a valorizzare in massimo grado l’improvvisazione e il suono, sfuggendo al rischio di affermazione unica dell’“egemonia culturale del vedere”, riportando quella che è stata definita “l’ontologia della vista” (Sparti, 2007) all’interno di un flusso che trova il proprio bilanciamento, in una compiuta mescolanza, comprensiva anche di azioni umane e non soltanto quelle strettamente connesse all’evento performativo di tipo musicale-improvvisato. Questo è in fondo l’obiettivo più ampio dell’improvvisazione, come ricerca di un suono e di una essenza artistica comuni. Il punto è stato chiarito da Massimo Falascone nel corso della conversazione:
“È necessario avere con sé tutta la propria esperienza di esseri umani e di musicisti, perché quando ci si pone in viaggio verso terre sconosciute si deve avere un bagaglio con sé, ma non utilizzarlo per mettersi in evidenza. È essenziale l’abbinamento tra improvvisazione come fatto umano, musica e strumenti di interazione elettronica, rispetto ai quali si può interagire in tempo reale, manipolando immagini e suoni e realizzandone la commistione”.
La predominante umana ha un ruolo essenziale, anche rispetto all’uso dell’elettronica. Roberto Masotti ha sottolineato il rischio che, in epoca digitale, possa esserne fatto un utilizzo troppo “facile”:
“Mi riferisco a un uso generico, non consapevole. Il rischio è connaturato a sviluppi dell’elettronica di tipo hi-fi, che tuttavia possono rivelarsi insoddisfacenti, mentre un uso consapevole della stessa può risultare pienamente riuscito, anche se è low-fi. In questo senso l’uso ottimale è quello di una tecnologia che sai e non d’una che hai”.
L’improvvisazione del resto non ha forme e significati univoci, i percorsi sono molteplici e personali ed essa può essere anche soltanto una parte del modo di esprimersi del singolo musicista. Non è necessariamente detto che si raggiunga un momento di sintesi, di certo c’è una fase di scomposizione, con i materiali utilizzati che possono fondersi, ma anche rimanere come fonti distinte, parti di un sistema creativo multi-livello.
Questo e molto altro ancora è nei due album, che si segnalano intanto per l’organico tanto variegato quanto straordinario, che comprende, oltre ai tre “fondatori”: Mario Arcari (oboe, clarinetto, ocarina, armonica), Stefano Bartolini (tenore), (Silvia Bolognesi (contrabbasso), Paolo Botti (viola, banjo), Angelo Contini (trombone), Giancarlo Locatelli (clarinetto basso), Gianluca Lo Presti (sounding visuals), Claudio Lugo (soprano), Riccardo Luppi (tenore), Filippo Monico (batteria), Pat Moonchy (voce, elettronica), Robin Neko (elettronica, acting), Alessandra Novaga (chitarra), Edoardo Ricci (contralto), Eugenio Sanna (chitarra), Alberto Tacchini (tastiere).
È evidente che una sfida nella sfida è stata quella di far coesistere personalità cresciute in ambiti completamente diversi (classico, jazz, free, addirittura krautrock).
Ciò che immediatamente colpisce nell’ascolto dei due album è il notevole livello di omogeneità (e di coesione d’insieme) della musica, che non soltanto risponde a delle coordinate estetiche evidentemente condivise dagli Artisti, ma riesce in gran parte a proporsi come vera e propria composizione istantanea, garantendo la tenuta di un forte aspetto di struttura.
Ciò del resto è parte essenziale e funzione dell’idea di base, che prende corpo nel rifiuto di atti performativi che si risolvano nell’erigere una barriera contro l’ascoltatore.
Tra i momenti più riusciti dei due dischi (comunque di livello altissimo e in grado di garantire, senza cadute di tensione, la tenuta di un mélange sonoro originalissimo che comprende squarci classici, psichedelica, momenti informali, torride divagazioni elettriche), vanno segnalati, nel primo disco, il trio di apertura Monico-Tacchini-Falascone (set del 12.5.14); quello Monico-Lugo-Del Piano (set del 13.5.14) e il rarefatto duo Luppi-Sanna (set del 15.5.14). Nel secondo disco, menzione obbligata per il visionario duetto Falascone-Novaga (set del 12.5.14) e per la suite Botti-Arcari-Locatelli-Bolognesi, “classica” eppure insieme ribollente.
Un prezioso viatico, dunque, per continuare l’inesausto viaggio verso le terre incognite e garantirsi l’auspicato approdo all’agglutinazione orchestrale definitiva" Sandro Cerini, Quaderni D'altri Tempi, 2016.
"(...) TAI pour Terra Australis Incognita, terme qui se réfère à l’Atlas Ellipticalis de John Cage, soit de nouvelles terres à explorer. No-Orchestra sans doute par ce qu’il s’agit d’un groupe à géométrie variable plutôt qu’un orchestre, variante italienne de la Company de Derek Bailey, célébrant l’acte d’improviser tout azimuth en interaction éventuelle avec la vidéo, la danse, des installations ou toute autre intervention visuelle, théâtrale, littéraire, le mouvement corporel etc. donc pas vraiment un orchestre. Fondé par le photographe Roberto Masotti, le bassiste électrique Roberto Del Piano et le saxophoniste Massimo Falascone, le TAI-NO réunit des musiciens improvisateurs de toute l’Italie autour du noyau dur milanais actif dans l’improvisation et le jazz libre depuis les années 70 auxquels se sont greffés au fil des décennies des musiciens plus jeunes. Le bassiste Roberto Del Piano et le batteur Filippo Monico furent les inséparables piliers des groupes du pianiste Gaetano Liguori et du trompettiste Guido Mazzon dès 1971. Roberto Masotti était à cette époque un des deux ou trois photographes européens les plus impliqués dans les nouvelles musiques. Ses portraits de Braxton, Lacy, Bailey, Evan Parker etc…. firent le tour de la jazzosphère internationale. La chanteuse Pat Moonchy fait partie du clan familial Liguori et était la muse du Moonshine, où furent réalisés ces enregistrements lors du TAI – NO Fest # 1. Ce lieu milanais providentiel est aujourd’hui fermé et fut sans doute l’endroit le plus propice qu’il m’a été donné de fréquenter. Massimo Falascone est un saxophoniste hors pair et le souffleur de référence de cette fratrie et avec quelques autres musiciens milanais dont ses camarades Del Piano, Monico, Masotti, forment vraiment une véritable fraternité unie par la musique collective et animée par une curieuse bonne volonté. Le guitariste Eugenio Sanna vient de Pise, le tromboniste Angelo Contini de Piacenza, le saxophoniste Edoardo Ricci de Florence, tous étant des acteurs de premier plan dans leurs villes respectives. Aux vieux briscards milanais de la révolution free se sont joints des artistes nettement plus jeunes comme la chanteuse Pat Moonchy, la guitariste Alessandra Novaga, la contrebassiste Silvia Bolognesi ou l’artiste visuel Gianluca Lo Presti qui forme Impro WYSIWYG avec Masotti. Comme on le voit, avec trois filles impliquées, on jugera que les vieux tontons ne sont pas machos. Tout cela rend très sympathique ce collectif qui ne déclare pas son nom parce qu’il s’agit avant tout d’une fraternité agissante et ouverte. L’électronicien Walter Prati y joue du violoncelle, l’hauboïste Mario Arcari déballe son ocarina et son harmonica et le violoniste alto Paolo Botti gratte un banjo dans un curieux quartet avec Falascone au baryton. Aussi une Crackle Box Legacy lunatique en trio, sans doute en hommage à son inventeur, Michel Waiszwisz. D’une manière générale, on trouve des duos, trios et quartets atypiques avec un référentiel free – jazz (les sax sont en nombre) et une volonté affichée de chercher et d’explorer. Plutôt que chercher à recruter les participants du projet TAI NO Fest sur base de différents instruments en vue d’assurer la variété timbrale et sonore, on a visiblement fait appel aux collègues – amis sur base de l’estime réciproque et des relations de compagnonnage musical. C’est pourquoi on trouve sept souffleurs d’anche, dont cinq saxophones (Falascone, Luppi, Lugo, Bartolini, Ricci), un clarinettiste basse, Giancarlo Locatelli, et un hautboïste, Mario Arcari, face à une contrebasse, une basse électrique, une guitare électrique, un alto, un violoncelle, un trombone, une voix, un clavier électronique (Alberto Tacchini) et les percussions de Monico. Il résulte de ce déséquilibre vers les anches qu’il y a du saxophone quasiment dans tous les morceaux et cela crée une certaine récurrence sonore. Néanmoins et cela dit, quand on écoute, on est frappé par le timbre et le son exceptionnel de Massimo Falascone au sax alto (duo final d’improWYSIWYG avec Del Piano) et l’atavisme free de l’inénarrable Edoardo Ricci. L’expression sensible, voire lyrique péninsulaire y a plus cours que le radicalisme per se comme on le trouve dans les formes en France, Grande Bretagne ou en Allemagne. D’un point de vue social et relationnel et parmi leurs nombreuses qualités, il y a chez la plupart de ces artistes, un profond fair-play digne de la communauté londonienne et une absence de cet individualisme prononcé, caractéristique sous d’autres cieux, qui pourrait rendre ce genre de projet difficile à manœuvrer avec pas moins de vingt-deux participants. Quant à la basse électrique de Roberto Del Piano, si c’est bien un instrument honni dans la scène de l’improvisation, vous n’en voudriez pas d’autre après l’avoir entendu de visu. Avec un index et un majeur soudés à la main gauche lui interdisant l’usage de la contrebasse, RDP a inventé ses propres doigtés avec un jeu sur le manche sans frette qui n’appartient qu’à lui. Alessandra Novaga a une vision pointue de la guitare électrique avec un univers sonore très personnel. Roberto Masotti et Gianluca Lo Presti projettent des images abstraites, des vidéos - montages bruissantes avec lesquelles leurs camarades improvisent. Quand vous aurez vu le subversif percussionniste Filippo Monico, jouer avec des fleurs et des objets en tout genre, étalant sa délirante brocante percussive et déconstruisant les gestes du batteur, vous aurez le sentiment de naviguer dans la nef des fous où beaucoup de choses sont possibles sans restriction (le batteur parfait pour jouer avec Hugh Metcalfe himself). A tout prendre, s’impose ici un réel plaisir, un goût de l’utopie, un espace de découverte. Depuis mai 2014, le TAI NO Fest s’est renouvelé en 2015 et 2016 en avançant ses dates pour coïncider avec le festival ClockStop de Noci où je pus rencontrer cette année Falascone, Monico, Del Piano, Lo Presti, Masotti, Sanna, ainsi que Del Piano et Pat Moonchy l’année précédente. PS: Dans une sphère musicale improvisée radicale où les valeurs humaines revendiquées s’expriment au travers de la musique collective dans une tentative d’incarnation utopique d’une société égalitaire et respectueuse (etc… référez vous à mon texte : ) et dans un pays où les relations interpersonnelles dans la vie publique peuvent atteindre un niveau de mauvaise foi et de vulgarité qui fait dire aux transalpins « C’est l’Italie ! » , la qualité des relations et des affects de la très grande majorité des improvisateurs libres italiens qu’il m’a été donné de rencontrer me font dire qu’ils méritent largement que les afficionados s’y rendent. En effet, l’esprit fraternel et les sentiments d’amitié inconditionnelle des Milanais transpirent visiblement et transcendent la musique au point que cela frappe les sens." Jean-Michel Van Schouwburg, Orynx-improvandsounds, 2016.
"(...) TAI No-Orchestra is a multi-disciplinary project comprising some of the best improvisers of the Italian scene, both historical figures like Filippo Monico or Roberto Del Piano and new talents like Silvia Bolognesi and Paolo Botti. The main originators for this project are musicians Del Piano, Massimo Falascone and photographer Roberto Masotti; the name "TAI" refers to "Terra Australis Incognita," an imaginary southern continent which appeared on early maps of the world, later symbolizing unknown or unexplored territories. These starting points perfectly illustrate the collective's aesthetics—merging different creative activities in a form of performance where musical improvisation and visuals, but also dance and spoken word, are equally important in exploring the possible intersections of the different voices that comprise the ensemble. These two records document the first edition of TAI Fest, held in Milan in May 2014, an annual meeting that serves as the main showcase for TAI No-Orchestra's activities.
The festival offered various ensemble combinations and the records keep that division, the tracks often comprising different improvisations by the same group, providing a sample of the possibilities offered by the diverse instruments and approaches, exploring the language of free jazz as well as the most abstract fringes of free improvisation or the alien soundscapes of electroacoustic experimentation.
The various tracks are so different in nature, and the artistic quality so consistently excellent, that it would be difficult to choose any absolute highlights. Particularly successful are the folk-tinged ruminations by Prati on cello and Arcari on clarinet, harp and ocarina (track 2 on vol.1); the intricate free jazz evolutions by Bolognesi on double bass, Botti on banjo, Locatelli on bass clarinet and Falascone on baritone sax (track 6 on vol.1); the austere experimental dialogue between Falascone on alto and sopranino sax and Novaga on electric guitar (track 1 on vol.2); the frenzied electronic exchanges by Masotti, Falascone and Neko on crackle boxes and synth (track 4 of vol.2).
Unfortunately, the visual dimension is totally absent, so the listener can only imagine the full experience of the live event. What remains though is a comprehensive portrait of an astonishing creative ensemble, showcasing the multiple talents, past and present, that animate the Italian free improvisation scene." Nicola Negri, All About Jazz USA, 2017.
01 _ 03 Novaga/Falascone 17:55
02 _ 11 Botti/Arcari/Locatelli/Bolognesi 14:41
03 _ 12 Contini/Moonchy/Ricci 16:17
04 _ 21 The Crackle Legacy 13:51
05 _ 24 improWYSIWYG/Falascone/Del Piano/Moonchy/Neko 16:52
(C) + (P) 2016
SOLD OUT
Alessandra Novaga _ electric guitar
Massimo Falascone _ sopranino sax _ alto sax _ crackle box
Paolo Botti _ viola
Mario Arcari _ oboe
Giancarlo Locatelli _ bass clarinet
Roberto Del Piano _ electric bass
Silvia Bolognesi _ double bass
Angelo Contini _ trombone
Pat Moonchy _ vocals _ electronic devices
Edoardo Ricci _ alto sax
Robin Neko _ crackle synth _ acting
Roberto Masotti _ sounding visual _ crackle box
Gianluca Lo Presti _ sounding visual
"For those who wish to explore the terra incognita of perception, their knowledge and desire to blaze the trails is seldom recognized and, at times, deliberately neglected". This album is actually half of a double compilation [see TAI Fest #1 (Vol.1)]. Both volumes are the documentation of the first TAI Fest organized at Moonshine (Milan) from 12nd to 16th May 2014; they are therefore a well-edited compilation of TAI groups that in those days were formed. Needless to add a description of the quality of proposals, the names involved speak themselves of a superfine music. In this edition, the TAI musicians were in particular from Milan (the city where the project is born) and others from the Tuscan scene. A detail that has made the happiness of this label, is the cover of the two volumes: both are designed with images of the great photographer Roberto Masotti, who over the years has created fantastic covers, among others, for FMP, ECM, Cramps Records, etc.
For more info: www.orchestratai.com
"(...) TAI No-Orchestra is a multi-disciplinary project comprising some of the best improvisers of the Italian scene, both historical figures like Filippo Monico or Roberto Del Piano and new talents like Silvia Bolognesi and Paolo Botti. The main originators for this project are musicians Del Piano, Massimo Falascone and photographer Roberto Masotti; the name "TAI" refers to "Terra Australis Incognita," an imaginary southern continent which appeared on early maps of the world, later symbolizing unknown or unexplored territories. These starting points perfectly illustrate the collective's aesthetics—merging different creative activities in a form of performance where musical improvisation and visuals, but also dance and spoken word, are equally important in exploring the possible intersections of the different voices that comprise the ensemble. These two records document the first edition of TAI Fest, held in Milan in May 2014, an annual meeting that serves as the main showcase for TAI No-Orchestra's activities.
The festival offered various ensemble combinations and the records keep that division, the tracks often comprising different improvisations by the same group, providing a sample of the possibilities offered by the diverse instruments and approaches, exploring the language of free jazz as well as the most abstract fringes of free improvisation or the alien soundscapes of electroacoustic experimentation.
The various tracks are so different in nature, and the artistic quality so consistently excellent, that it would be difficult to choose any absolute highlights. Particularly successful are the folk-tinged ruminations by Prati on cello and Arcari on clarinet, harp and ocarina (track 2 on vol.1); the intricate free jazz evolutions by Bolognesi on double bass, Botti on banjo, Locatelli on bass clarinet and Falascone on baritone sax (track 6 on vol.1); the austere experimental dialogue between Falascone on alto and sopranino sax and Novaga on electric guitar (track 1 on vol.2); the frenzied electronic exchanges by Masotti, Falascone and Neko on crackle boxes and synth (track 4 of vol.2).
Unfortunately, the visual dimension is totally absent, so the listener can only imagine the full experience of the live event. What remains though is a comprehensive portrait of an astonishing creative ensemble, showcasing the multiple talents, past and present, that animate the Italian free improvisation scene." Nicola Negri, All About Jazz USA, 2017.
"(...) TAI pour Terra Australis Incognita, terme qui se réfère à l’Atlas Ellipticalis de John Cage, soit de nouvelles terres à explorer. No-Orchestra sans doute par ce qu’il s’agit d’un groupe à géométrie variable plutôt qu’un orchestre, variante italienne de la Company de Derek Bailey, célébrant l’acte d’improviser tout azimuth en interaction éventuelle avec la vidéo, la danse, des installations ou toute autre intervention visuelle, théâtrale, littéraire, le mouvement corporel etc. donc pas vraiment un orchestre. Fondé par le photographe Roberto Masotti, le bassiste électrique Roberto Del Piano et le saxophoniste Massimo Falascone, le TAI-NO réunit des musiciens improvisateurs de toute l’Italie autour du noyau dur milanais actif dans l’improvisation et le jazz libre depuis les années 70 auxquels se sont greffés au fil des décennies des musiciens plus jeunes. Le bassiste Roberto Del Piano et le batteur Filippo Monico furent les inséparables piliers des groupes du pianiste Gaetano Liguori et du trompettiste Guido Mazzon dès 1971. Roberto Masotti était à cette époque un des deux ou trois photographes européens les plus impliqués dans les nouvelles musiques. Ses portraits de Braxton, Lacy, Bailey, Evan Parker etc…. firent le tour de la jazzosphère internationale. La chanteuse Pat Moonchy fait partie du clan familial Liguori et était la muse du Moonshine, où furent réalisés ces enregistrements lors du TAI – NO Fest # 1. Ce lieu milanais providentiel est aujourd’hui fermé et fut sans doute l’endroit le plus propice qu’il m’a été donné de fréquenter. Massimo Falascone est un saxophoniste hors pair et le souffleur de référence de cette fratrie et avec quelques autres musiciens milanais dont ses camarades Del Piano, Monico, Masotti, forment vraiment une véritable fraternité unie par la musique collective et animée par une curieuse bonne volonté. Le guitariste Eugenio Sanna vient de Pise, le tromboniste Angelo Contini de Piacenza, le saxophoniste Edoardo Ricci de Florence, tous étant des acteurs de premier plan dans leurs villes respectives. Aux vieux briscards milanais de la révolution free se sont joints des artistes nettement plus jeunes comme la chanteuse Pat Moonchy, la guitariste Alessandra Novaga, la contrebassiste Silvia Bolognesi ou l’artiste visuel Gianluca Lo Presti qui forme Impro WYSIWYG avec Masotti. Comme on le voit, avec trois filles impliquées, on jugera que les vieux tontons ne sont pas machos. Tout cela rend très sympathique ce collectif qui ne déclare pas son nom parce qu’il s’agit avant tout d’une fraternité agissante et ouverte. L’électronicien Walter Prati y joue du violoncelle, l’hauboïste Mario Arcari déballe son ocarina et son harmonica et le violoniste alto Paolo Botti gratte un banjo dans un curieux quartet avec Falascone au baryton. Aussi une Crackle Box Legacy lunatique en trio, sans doute en hommage à son inventeur, Michel Waiszwisz. D’une manière générale, on trouve des duos, trios et quartets atypiques avec un référentiel free – jazz (les sax sont en nombre) et une volonté affichée de chercher et d’explorer. Plutôt que chercher à recruter les participants du projet TAI NO Fest sur base de différents instruments en vue d’assurer la variété timbrale et sonore, on a visiblement fait appel aux collègues – amis sur base de l’estime réciproque et des relations de compagnonnage musical. C’est pourquoi on trouve sept souffleurs d’anche, dont cinq saxophones (Falascone, Luppi, Lugo, Bartolini, Ricci), un clarinettiste basse, Giancarlo Locatelli, et un hautboïste, Mario Arcari, face à une contrebasse, une basse électrique, une guitare électrique, un alto, un violoncelle, un trombone, une voix, un clavier électronique (Alberto Tacchini) et les percussions de Monico. Il résulte de ce déséquilibre vers les anches qu’il y a du saxophone quasiment dans tous les morceaux et cela crée une certaine récurrence sonore. Néanmoins et cela dit, quand on écoute, on est frappé par le timbre et le son exceptionnel de Massimo Falascone au sax alto (duo final d’improWYSIWYG avec Del Piano) et l’atavisme free de l’inénarrable Edoardo Ricci. L’expression sensible, voire lyrique péninsulaire y a plus cours que le radicalisme per se comme on le trouve dans les formes en France, Grande Bretagne ou en Allemagne. D’un point de vue social et relationnel et parmi leurs nombreuses qualités, il y a chez la plupart de ces artistes, un profond fair-play digne de la communauté londonienne et une absence de cet individualisme prononcé, caractéristique sous d’autres cieux, qui pourrait rendre ce genre de projet difficile à manœuvrer avec pas moins de vingt-deux participants. Quant à la basse électrique de Roberto Del Piano, si c’est bien un instrument honni dans la scène de l’improvisation, vous n’en voudriez pas d’autre après l’avoir entendu de visu. Avec un index et un majeur soudés à la main gauche lui interdisant l’usage de la contrebasse, RDP a inventé ses propres doigtés avec un jeu sur le manche sans frette qui n’appartient qu’à lui. Alessandra Novaga a une vision pointue de la guitare électrique avec un univers sonore très personnel. Roberto Masotti et Gianluca Lo Presti projettent des images abstraites, des vidéos - montages bruissantes avec lesquelles leurs camarades improvisent. Quand vous aurez vu le subversif percussionniste Filippo Monico, jouer avec des fleurs et des objets en tout genre, étalant sa délirante brocante percussive et déconstruisant les gestes du batteur, vous aurez le sentiment de naviguer dans la nef des fous où beaucoup de choses sont possibles sans restriction (le batteur parfait pour jouer avec Hugh Metcalfe himself). A tout prendre, s’impose ici un réel plaisir, un goût de l’utopie, un espace de découverte. Depuis mai 2014, le TAI NO Fest s’est renouvelé en 2015 et 2016 en avançant ses dates pour coïncider avec le festival ClockStop de Noci où je pus rencontrer cette année Falascone, Monico, Del Piano, Lo Presti, Masotti, Sanna, ainsi que Del Piano et Pat Moonchy l’année précédente. PS: Dans une sphère musicale improvisée radicale où les valeurs humaines revendiquées s’expriment au travers de la musique collective dans une tentative d’incarnation utopique d’une société égalitaire et respectueuse (etc… référez vous à mon texte : ) et dans un pays où les relations interpersonnelles dans la vie publique peuvent atteindre un niveau de mauvaise foi et de vulgarité qui fait dire aux transalpins « C’est l’Italie ! » , la qualité des relations et des affects de la très grande majorité des improvisateurs libres italiens qu’il m’a été donné de rencontrer me font dire qu’ils méritent largement que les afficionados s’y rendent. En effet, l’esprit fraternel et les sentiments d’amitié inconditionnelle des Milanais transpirent visiblement et transcendent la musique au point que cela frappe les sens." Jean-Michel Van Schouwburg, Orynx-improvandsounds, 2016.
"(...) Il progetto, ideato nel 2013 da Massimo Falascone, Roberto Del Piano e Roberto Masotti, ha una propria identità e prova ne sono questi dischi che documentano il primo TAI Fest, svoltosi a Milano dal 12 al 16 maggio 2016." Fucile, Musica Jazz, 2016
"(...) Tai No Orchestra: Terra Australis Incognita o Terra promessa? Sembra che i locali milanesi siano particolarmente ispirativi per i progetti importanti dei musicisti: ricordo che Giorgio Gaslini diceva, in un'intervista a Ielmini, che fu un adeguato locale della città che gli consentì la stesura del manifesto sulla musica totale; allo stesso modo, l'esperienza della Tai No-Orchestra, è venuta fuori oggettivamente nell'incontro di tre musicisti che hanno formalizzato ufficialmente le loro idee (Massimo Falascone, Roberto Del Piano e Roberto Masotti) nell'area di ristoro del piano seminterrato dell'Upim di Piazzale Corvetto nel maggio del 2013. Naturalmente non estranei a progetti alternativi di musica improvvisata, in quella sede i tre decisero di organizzare un palco nutrito di artisti senza concezioni idiomatiche, con la volontà di renderlo adeguato ai tempi. Si usa ancora il concetto di orchestra, ma di orchestra intesa nel senso comune del termine vi è poco e va interpretato. Il riferimento all'orchestra nasceva probabilmente dalle sollecitazioni culturali provate dai tre musicisti negli anni settanta, un periodo in cui il concetto tradizionale di orchestra nel jazz e nelle relazioni libere di esso, aveva un significato più stringente e non teso a determinate caratteristiche (se si pensa alle esperienze delle orchestre improvvisative inglesi, tedesche o italiane stesse è indubbio che l'ilarità di una prosa o di un atteggiamento alla Zappa erano elementi praticamente assenti). Tuttavia ripetere le esperienze già vissute dall'avanguardia milanese o toscana di quegli anni (un pedigree di certificazione umana riconosciuto ai tre fondatori) avrebbe alimentato l'anacronismo: c'è una nuova situazione dell'improvvisazione libera che va studiata, un progetto che per interessare deve fornire punti di congiunzione del pensiero in un'ottica rinnovata; un'orchestra "alternativa" oggi non può prescindere da un suo variabile comporsi, deve sottolineare individualità e al tempo stesso trovare un accordo nel complesso delle relazioni che legano i suoi elementi; deve far spazio alla poesia, al divertimento e alla recitazione suscitando un'enfasi quasi riduttiva da leggersi nelle righe degli eventi; deve dar posto all'improvvisazione "guidata" da immagini, proiezioni video o elettronica, che siano in grado di stimolare anche quelle nuove generazioni di musicisti cresciute anche con mezzi non strettamente acustici; sostituire i retaggi jazz di un'orchestra concentrandosi sulle proprietà del suono, incrociando le singole e variabili personalità dei partecipanti e per questa via, rendendole attraenti agli occhi del pubblico; uno spettacolo totale in cui trovare la giusta collocazione della musica in un'area di totale assenza di pregiudizi, dove mai come prima sono fondamentali le qualità professionali ed emotive degli artisti, gli spazi della rappresentazione e persino una super-matura tipologia di ascoltatore. Un progetto esplorativo, che necessità di musicisti preparati e di luoghi adeguati, senz'altro suscettibile di ulteriori perfezionamenti che forse non è solo teso alle sensazioni di un viaggio; è un monito indiretto a coloro che sono irrimediabilmente legati alle concezioni jazzistiche, un silenzioso avvertimento a puristi e mediatori circa il fatto che il futuro dell'improvvisazione passa attraverso altri parametri, una sorta di terra promessa in cui riconoscere il valore del proprio lavoro. Il primo Tai Fest organizzato al Moonshine è stato immortalato in una doppia registrazione su Setola di Maiale con una serie di partecipanti che vi riporto in nota*: è qualcosa che si apre a molteplici prospettive, anche di coordinata geografica, così come si percepisce sin dalle prime note tenute a battesimo nel primo volume dal trio Falascone (sax alto), Monico (percussioni) e Tacchini (tastiera) o negli interludi classicheggianti tenuti dai fiati di Arcari (clarinetto, ocarina ed oboe) e da Prati al violoncello; richiama astrusità che sono solo vittime di sincopi jazz (il trio Lugo/Del Piano/Monico); riaccende il lugubre e la psichedelia ante-litteram con la presenza della Moonchy oppure calca la mano su una modalità del tutto anticonvenzionale del banjo grazie a Botti. Il secondo volume è ancora meglio: Falascone e la Novaga si impongono in una suite gigantesca di circa 18 minuti, in cui il sassofonista si ritaglia lo spazio del portatore d'immagini, impostando il suo sax frammentato, al limite del gemito o del crepitio, su una fornace ardente di suoni elettrificati, distorti ed imperiosi che provengono dalla chitarrista milanese; un pò di subdola "malattia" contemporanea emerge nelle cameratistiche visioni del quartetto Botti/Locatelli/Bolognesi/Arcari (impossibile non pensare allo Zorn della produzione classica), così come pressante è l'empasse dell'elettronica che si subisce grazie alle tastiere e al crackle box che si presenta come una componente curata da Masotti (di cui si apprezza anche il lavoro fotografico) e Lo Presti, anche verificabile sul versante che lega il potere associativo dei suoni alle immagini video. Finale dedicato alla "demenza buona" e alla lettura decontestualizzata di alcune poesie, nell'ottica di un'integrazione con la parte musicale." Ettore Garzia, Percorsi Musicali, 2016.
"(...) Due CD per portare allo scoperto il più magmatico, sorprendente e maturo collettivo di improvvisatori (a geometria d'organico variabile) che la Penisola abbia conosciuto: con un'interazione paritetica tra musicisti, artisti visuali, specialisti di elettronica, danzatori, nel caso, e uno slancio verso il futuro che sa far tesoro della storia. Una festa liberatoria per la musica libera che davvero non ha alcun sentore di accademia, ma il gusto di intelligenze motivate, reattive, empatiche." Guido Festinese, Alias/Il Manifesto, 2016.
"(...) In Il Pellegrino delle Stelle – avventuroso graphic novel argentino degli anni Settanta – la visionaria sceneggiatura di Carlos Trillo raccontava (mirabilmente accompagnata dalle tavole di Enrique Breccia, specie nell’edizione in bianco e nero) dell’inarrestabile precipitare di un vecchio brigantino inglese entro una voragine apparsa misteriosamente nell’oceano, dopo un’estenuante bonaccia. L’avido equipaggio, già sull’orlo dell’ammutinamento, decide di consegnarsi a una morte inesorabile, fuggendo vanamente – su scialuppe gravide d’oro – dall’orrido maelstrom verso cui volge la nave. Il capitano Harris Conrad resta invece sul bastimento, insieme al vecchio lupo di mare Jonah e al giovane mozzo O’Flagherty, preferendo, piuttosto, gettarsi verso l’ignoto.
Ingoiati dal baratro, trasportati in una parallela galassia misteriosa, i protagonisti scopriranno che il Pellegrino può volare nello spazio stellare, grazie a un flauto magico, ed esploreranno l’ignoto: quello dello spazio esterno e quello celato entro se stessi.
La spirale vertiginosa che attrae verso l’oscuro, così ben evocata nel fumetto, ha del resto precursori letterari di stirpe analoga, ma blasone maggiore, se è vero che Jorge Luis Borges amava sottolineare che la letteratura ha natura “sempre segreta e mutevole, in ogni riga che ricevo o che scrivo”. Sicché, pur avendole consacrato la vita, negava la certezza di conoscerla e rifiutava di offrirne definizione, perché “il lavoro creativo è sospeso tra la memoria e l’oblio”.
La musica improvvisata esprime con pari forza e dignità l’essenza più intima del viaggio iniziatico (del musicista) verso l’ignoto, celebrata nel noto paradosso enunciato da Ralph Ellison, secondo cui l’improvvisatore (il jazzista) deve perdere la sua identità nello stesso ineffabile momento in cui la afferma, in un processo creativo nel quale, come osservava pure Steve Lacy, “dimenticare non è meno importante che apprendere”.
La T(erra) A(ustralis) I(ncognita) No-Orchestra, impone già per mezzo del nome prescelto una forte identità estetica, che comprende, illustra e spiega lo spirito con il quale viene praticata l’improvvisazione: il coraggio e il gusto di gettarsi verso l’ignoto.
La “non orchestra” (che nega di sé anche la natura di collettivo, affermando piuttosto la propria peculiare essenza di “censimento” o di “chiamata”), nasce dall’incontro, nel maggio del 2013, fra le idee (fisse?) di tre sodali di lunga frequentazione: Massimo Falascone (cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 48), Roberto del Piano e Roberto Masotti. Il primo sassofonista, improvvisatore, compositore (istantaneo e non), manipolatore in tempo reale di suoni elettronici; il secondo, per sua stessa definizione “bassista elettrico di estrazione jazz (storica la sua permanenza nell’Idea Trio di Gaetano Liguori, assieme a Filippo Monico) da sempre incapace di seguire le regole”; il terzo fotografo di rinomanza internazionale assoluta, nonché non-musicista, “mescolatore” di suoni e immagini.
Il Clockstop Fest 2016, tenutosi a Noci nei giorni dal 13 al 15 maggio, ha offerto l’occasione privilegiata per un piacevolissimo incontro con i tre fondatori, anche a margine (e in occasione) della prima fatica discografica della non-orchestra: i due album – rigorosamente separati – editi da Setola di maiale, che riportano la cronaca del Festival TAI tenutosi al Moonshine di Milano giusto due anni fa, dal 12 al 16 maggio del 2014.
Roberto Del Piano ha sottolineato come l’idea iniziale sia presto sfociata nella proposta fatta ad altri musicisti di rispondere alla “vocazione”:
“Si era pensato inizialmente a una lista di persone da invitare, alla quale però hanno aderito tutti, e anzi di più! E questo è stato il primo problema che ci siamo trovati ad affrontare. Il primo incontro alla Casa del Popolo di Lodi si è rivelato, in termini operativi, un vero e proprio disastro. Per questo l’espressione no-orchestra ha assunto in seguito un significato specifico e una funzione propria”.
I due dischi ne offrono conferma, con l’insieme dei chiamati all’impresa a scomporsi e ricomporsi tra loro, in incontri per formazioni ridotte, dal duo al sestetto.
La cifra caratteristica del progetto è nella coesistenza tra forme espressive musicali improvvisate (assai diversificate tra loro) e spunti di visual art: essa assume importanza decisiva nell’economia complessiva del progetto.
È estremamente stimolante riflettere sul fatto che, in una società che vede accentuate le proprie naturali inclinazioni video-centriche (per effetto di una rivoluzione digitale che l’ha ormai sovvertita dalle radici), il progetto TAI (che è fusione di aspetti musicali, performance e stimoli visivi) riesca a valorizzare in massimo grado l’improvvisazione e il suono, sfuggendo al rischio di affermazione unica dell’“egemonia culturale del vedere”, riportando quella che è stata definita “l’ontologia della vista” (Sparti, 2007) all’interno di un flusso che trova il proprio bilanciamento, in una compiuta mescolanza, comprensiva anche di azioni umane e non soltanto quelle strettamente connesse all’evento performativo di tipo musicale-improvvisato. Questo è in fondo l’obiettivo più ampio dell’improvvisazione, come ricerca di un suono e di una essenza artistica comuni. Il punto è stato chiarito da Massimo Falascone nel corso della conversazione:
“È necessario avere con sé tutta la propria esperienza di esseri umani e di musicisti, perché quando ci si pone in viaggio verso terre sconosciute si deve avere un bagaglio con sé, ma non utilizzarlo per mettersi in evidenza. È essenziale l’abbinamento tra improvvisazione come fatto umano, musica e strumenti di interazione elettronica, rispetto ai quali si può interagire in tempo reale, manipolando immagini e suoni e realizzandone la commistione”.
La predominante umana ha un ruolo essenziale, anche rispetto all’uso dell’elettronica. Roberto Masotti ha sottolineato il rischio che, in epoca digitale, possa esserne fatto un utilizzo troppo “facile”:
“Mi riferisco a un uso generico, non consapevole. Il rischio è connaturato a sviluppi dell’elettronica di tipo hi-fi, che tuttavia possono rivelarsi insoddisfacenti, mentre un uso consapevole della stessa può risultare pienamente riuscito, anche se è low-fi. In questo senso l’uso ottimale è quello di una tecnologia che sai e non d’una che hai”.
L’improvvisazione del resto non ha forme e significati univoci, i percorsi sono molteplici e personali ed essa può essere anche soltanto una parte del modo di esprimersi del singolo musicista. Non è necessariamente detto che si raggiunga un momento di sintesi, di certo c’è una fase di scomposizione, con i materiali utilizzati che possono fondersi, ma anche rimanere come fonti distinte, parti di un sistema creativo multi-livello.
Questo e molto altro ancora è nei due album, che si segnalano intanto per l’organico tanto variegato quanto straordinario, che comprende, oltre ai tre “fondatori”: Mario Arcari (oboe, clarinetto, ocarina, armonica), Stefano Bartolini (tenore), (Silvia Bolognesi (contrabbasso), Paolo Botti (viola, banjo), Angelo Contini (trombone), Giancarlo Locatelli (clarinetto basso), Gianluca Lo Presti (sounding visuals), Claudio Lugo (soprano), Riccardo Luppi (tenore), Filippo Monico (batteria), Pat Moonchy (voce, elettronica), Robin Neko (elettronica, acting), Alessandra Novaga (chitarra), Edoardo Ricci (contralto), Eugenio Sanna (chitarra), Alberto Tacchini (tastiere).
È evidente che una sfida nella sfida è stata quella di far coesistere personalità cresciute in ambiti completamente diversi (classico, jazz, free, addirittura krautrock).
Ciò che immediatamente colpisce nell’ascolto dei due album è il notevole livello di omogeneità (e di coesione d’insieme) della musica, che non soltanto risponde a delle coordinate estetiche evidentemente condivise dagli Artisti, ma riesce in gran parte a proporsi come vera e propria composizione istantanea, garantendo la tenuta di un forte aspetto di struttura.
Ciò del resto è parte essenziale e funzione dell’idea di base, che prende corpo nel rifiuto di atti performativi che si risolvano nell’erigere una barriera contro l’ascoltatore.
Tra i momenti più riusciti dei due dischi (comunque di livello altissimo e in grado di garantire, senza cadute di tensione, la tenuta di un mélange sonoro originalissimo che comprende squarci classici, psichedelica, momenti informali, torride divagazioni elettriche), vanno segnalati, nel primo disco, il trio di apertura Monico-Tacchini-Falascone (set del 12.5.14); quello Monico-Lugo-Del Piano (set del 13.5.14) e il rarefatto duo Luppi-Sanna (set del 15.5.14). Nel secondo disco, menzione obbligata per il visionario duetto Falascone-Novaga (set del 12.5.14) e per la suite Botti-Arcari-Locatelli-Bolognesi, “classica” eppure insieme ribollente.
Un prezioso viatico, dunque, per continuare l’inesausto viaggio verso le terre incognite e garantirsi l’auspicato approdo all’agglutinazione orchestrale definitiva" Sandro Cerini, Quaderni D'altri Tempi, 2016.
"(...) Un name, un programma. Tai No-Orchestra, dove I'acronimo sta per Terra Australis lncognita, come venivano indicate ancora ai primi del Novecento Ie terre sconosciute, non ancora esplorate, non di/segnate sulle carte geogra?che. E' lì che Ia Tai No—Orchestra si dirige programmaticamente ed é giunta ormai al terzo anno di viaggio ininterrotto. L’equipaggio conta circa trenta membri, più o meno ?ssi, oltre a una ventina di collaborazioni estemporanee a tutt'oggi, dopo tre approdi sulla terra ?rma, ovvero il Tai Fest. Approdi istantanei, dove i musicanti di tumo passano all'azione, rinverdendo Ie esperienze storiche dell’improvvisazione, soprattutto quella delle Company Weeks di cui fu gran cerimoniere Derek Bailey. Erano incontri che nascevano sotto il segno dell’aleatorietà, quelli della Company, e altrettanto lo sono questi della Tai No-Orchestra; essendo esperienze uniche, irripetibili, Ie similitudini, ca va sans dire, ?niscono qui. ll progetto, ideato nel 2013 da Massimo Falascone, Roberto Del Piano e Roberto Masotti, ha una propria identità e prova ne sono questi dischi che documentano il primo Tai Fest, svoltosi a Milano dal 12 al 16 maggio 2014. Le improvvisazioni non hanno titoli ma vengono indicati iI giorno dell’esibizione e gli artisti coinvolti nell’occasione, fungendo in un certo senso da coordinate. Tra Ie varie rotte tracciate, quelle che sembrano includere maggiore libertà, sconcerto, mano sicura, poca zavorra e trama avventurosa sono iI vibrante quartetto in azione il 15 maggio che si ascolta su Tai Fest #1 (Vol. 2), ovvero Silvia Bolognesi al contrabbasso, Paolo Botti al banjo, Giancarlo Locatelli al clarinetto basso e Falascone al baritone, capaci di mantenere sempre alta la tensione senza mai smarrirsi; il duo composto da Walter Prati al violoncello e, sempre dallo stesso disco, Mario Arcari (clarinetto, arpa
e ocarina), all’opera il 12 maggio, abili nel tessere una trama di grande elasticità; il duo impegnato in una intensa conversazione in lingua selenita, costituito da Alessandra Novaga alla chitarra
e Falascone al soprano e al contralto, registrato sempre il 12 maggio, ma presente su Tai Fest #1 (Vol. 2)". Fucile, Musica Jazz, 2016.
01 _ 03 Novaga/Falascone 17:55
02 _ 11 Botti/Arcari/Locatelli/Bolognesi 14:41
03 _ 12 Contini/Moonchy/Ricci 16:17
04 _ 21 The Crackle Legacy 13:51
05 _ 24 improWYSIWYG/Falascone/Del Piano/Moonchy/Neko 16:52
(C) + (P) 2016