LA MAIN QUI CHERCHE LA LUMIERE
ROBERTO DEL PIANO (Roberto del Piano, Silvia Bolognesi, Marco Colonna, Massimo Falascone, Paolo Falascone, Roberto Masotti, Stefano Giust, Pat Moonchy, Robin Neko)
(Setola di Maiale non opera come distributore. Il titolo che segue include alcuni musicisti presenti nel catalogo setolare: è questa l'unica ragione per cui lo trovate qui)
2xCD jewel box
Roberto Del Piano _ basso elettrico
Silvia Bolognesi _ contrabbasso
Marco Colonna _ clarinetti
Massimo Falascone _ sax
Paolo Falascone _ contrabbasso
Roberto Masotti _ crackle box
Stefano Giust _ batteria
Pat Moonchy _ voce
Robin Neko _ crackle synth
Registrato al Mu.Rec. Studio di Milano il 26 ottobre 2013 e il 14 gennaio 2016. Il doppio album è pubblicato dalla stupenda label francese Improvising Beings di Palomo Julien.
"(...) Nel titolo e nell’artwork di questa nuova realizzazione di Roberto Del Piano dopo un suo lungo ritiro, sembrano già espressi efficacemente una coppia di concetti: protensione, non solo corporale e, quindi, anche uno spirito di fiducia, largamente accordata alla imprevedibilità della fonosfera, che possa questa sempre illuminare nuove opportunità espressive individuali e collettive. La Main Qui Cherche La LumièreNel titolo e nell’artwork di questa nuova realizzazione di Roberto Del Piano dopo un suo lungo ritiro, sembrano già espressi efficacemente una coppia di concetti: 1) protensione, non solo corporale e, quindi, anche uno spirito di 2) fiducia, largamente accordata alla imprevedibilità della fonosfera, che possa questa sempre illuminare nuove opportunità espressive individuali e collettive, a partire da una generale e ricercata condizione di ‘oscurità', dell’esito dell’esplorazione se non addirittura dell’origine dell’Intenzione. Una misteriosa corrente di “doppio” è sembrata circolare dappertutto. A cominciare dalla differenza fra suoni “esterni” e “interni” che, però, come accade nelle più soddisfacenti sintesi psicofisiche, si avverte così assottigliata da restituire una subliminale ma sensibile organicità. Nella prima sessione, quella in prevalenza elettroacustica e in quartetto, l’evidenza di quella sensazione si fa già notare nella prima delle 10 improvvisazioni collettive qui incluse, la più concisa ma di quelle ad alta densità. Né cane, né gatto si mostra appunto come una imprecisata unità bifronte di una doppia negazione, originata da una scala arpeggiata collettivamente e nel cui processo si “compongono” due forze: da una parte i vocalizzi affilati di Pat Moonchy e il fondale di Silvia Bolognesi al contrabbasso con l’archetto distendono la campitura, dall’altra i gorgoglii di Massimo Falascone e Del Piano la vanno a macchiare, ma entrambe si allineano ad una complessiva, pesante “gravità” del piano sonoro, rendendo la drammaturgia del presentimento di un minaccioso e inesorabile smottamento. Waisvisz può rappresentarne il possibile antipodo, laddove la direzione generale del movimento risulta invece essere condotta più in senso ascensionale suggerito dal passo turgido, fermo e costante imposto dalla Bolognesi da metà percorso in poi; è anche la più lunga delle improvvisazioni e l’organico impegnato è aumentato apportando con l’elettronica portatile digitale crackle dei multimediali Roberto Masotti e Robin Neko un’ulteriore espansione dell'interconnessione umano-tecnologica riunita sotto l’insegna della tattilità spontanea, insieme alla disponibilità tout court. Fra questi poli vi è tutta una sana bio-varietà (anche ironica) di strategie, interferenze e soluzioni foniche combinatorie - fra le altre, l’interessante confronto tra i due bassi (elettrico) di Del Piano e (acustico) della Bolognesi. Le altre 10 improvvisazioni della seconda sessione acustica si basano invece sulla coppia Del Piano e Marco Colonna, cui si aggiungono Stefano Giust per 2 trii e ancora Massimo Falascone per 3 quartetti. Le considerazioni generali prima esposte sono naturalmente qui estendibili, mentre, nello specifico, si vuol far presente soprattutto la piena rivelazione della sorprendente ricchezza delle possibilità espressive e creative di Marco Colonna. In Circular Worm, un trafficato duo con Del Piano, è impressionante la tensione e complicità che si genera tra la lunga, frastagliata, rapida ma estremamente sorvegliata corrente vibratoria in legato del clarinetto basso e le fantasiose interpolazioni ritmiche e timbriche del basso elettrico. Il guizzante trio di Scratch (con Giust in un pulviscolare percussionismo “sordinato”) si distingue invece per la spontanea chiarezza formale che assume, considerato che si poggia sulla pietra angolare di un minimale spasmo o brivido che regge elasticamente ogni tipo di urto e “stop and go”. In altri climi, come quello più intimo e circospetto di Ahm, si apprezza lo sviluppo lineare melodico tanto quanto nella drammatica Mirrors, anche luogo di un appassionante intervento solistico di Massimo Falascone. Roberto Del Piano è un eminente depositario delle vicende storiche della modalità espressiva in libera improvvisazione /composizione spontanea, com’è noto connotata da misteriose mappe per viaggi sonori poco o nient’affatto ‘organizzati’, dunque da una continua e resistente dedizione alla formulazione di avvincenti ipotesi, richiesta anche nell’attività della fruizione. E per consuetudine è una modalità sempre orientata verso un radicale scavo (e ripensamento) strumentale per ampliare lo spettro sonoro e quindi rendere più complesso e ricco l’intreccio di una suprema sintesi creativa. Insomma, un’attitudine che si direbbe quasi di “scienza alchemica” che, come tale, richiede un alto profilo delle personalità partecipanti per poter padroneggiare l’accentuata necessità di centratura, bilanciamento e chimica delle sue mobilissime componenti. Del Piano ha perciò riunito in questa notevole produzione due illustri formazioni, in altrettante sessioni cronologicamente distanti quasi 3 anni, entrambe registrate da Paolo Falascone nello storico studio Mu. Rec di Milano per la casa di produzione parigina di Julien Palomo. La maggior parte dei musicisti qui coinvolti sono inoltre compartecipanti in due recentissime esperienze collettive 'aperte' - quelle della TAI Orchestra e delle prime due edizioni del Clockstop Fest tenutesi a Noci (BA) in maggio 2015 e in maggio 2016 - a cui si può guardare con quello spirito di protensione e fiducia che si diceva all'inizio." Donatello Tateo, Tracce Di Jazz, 2016.
"(...) Molti ritengono che la musica stia attraversando un momento travagliato: non è solo un problema di novità o di possibilità espressive, quanto piuttosto sono le direzioni che preoccupano: "giudei" della musica o falsi profeti sono all'ordine del giorno. In questa festa regale delle apparenze, una ristretta cerchia di artisti se ne distacca amaramente per l'impegno nel rimarcare un concetto oltre la musica, che sia in grado di reggere i tempi attuali e prefigurarne alcuni futuri. Vi basterebbe una sola mezz'ora di ascolto di un concerto fatta assieme a Roberto Del Piano per capire la competenza del musicista e l'esattezza nel delineare le realtà musicali a suo dinanzi, come è capitato a me. Di fronte al suo primo cd da solista, arrivato in un momento inatteso della sua carriera, tocca confrontarsi proprio per delineare prospettive: di Del Piano non devo certo esplicitare l'importanza che ha rivestito nel jazz italiano, quando negli anni settanta sorgevano compagini come il Gruppo Contemporaneo o l'Idea Trio di Gaetano Liguori, formazioni in cui Roberto ha calcato il ruolo del bassista impegnato e militante (si pensi a Aspettando i dinosauri e ai due LP Pdu Cile Libero, Cile Rosso e I signori della guerra); così nondimeno la sua figura è stata sempre presente nell'improvvisazione che conta, soprattutto quella attuata tramite progetti interdisciplinari ed ironicamente avant-garde nei combo sperimentali o tendenti alle arti perfomative (qui il riferimento è al teatro musicale dei Neem e al Musimprop), sebbene non si possa enucleare in maniera netta un contributo a lui solo ascrivibile data la natura collettiva delle esperienze. Mi limito a queste segnalazioni perché soggettivamente le considero più importanti, ma l'elenco "spatafiata" che ho ricevuto e che avrei dovuto pubblicare, penso serva solo per dimostrare quanto sia apprezzato come musicista e come uomo. Una raggiante modestia si comprende da sola! La prolungata fase di insoddisfazione degli ambienti musicali lo ha portato ad abbandonare il mondo musicale per molto tempo finché, stimolato da alcuni suoi colleghi e da una rinnovata vitalità dei modelli improvvisativi, sono ritornate le esibizioni in pubblico (il Fonosextant, i Five Roosters, gli 876+, uno splendido duo con Mazzon e la condivisione/creazione del modello Tai Orchestra). Non so quanto ci sia di vero nell'annuncio di un nuovo ritiro, ma il dato di fatto è che questo succede in concomitanza di un evento eccezionale dell'artista: la sua prima concezione discografica totalmente riferibile alla sua visuale artistica così come è aggiornata oggi. "La main qui cherche la lumiére" imposta due sets con alcuni dei suoi musicisti preferiti ed adatti al suo tipo di interazione: nel primo troviamo Massimo Falascone (con tanto di sassofoni ed live electronics), Pat Moonchy (voce e Tai Machine), Silvia Bolognesi (contrabbasso) ed alcuni manipolatori del suono e del crackle (Neko, P. Falascone, Masotti), mentre il secondo è dominato dai clarinetti di Marco Colonna, con la batteria saltuaria di Stefano Giust e, in tre brani, l'alto o il baritono di Falascone. La divisione appena accennata non è solo informativa ma corrisponde anche ad una bio-diversità emotiva dei contenuti: se c'è una mano che tenta di afferrare la verità questa circostanza può essere raggiunta in differenti modalità. Del Piano la fa sviluppare mettendo in contrapposizione il diavolo (nel primo cd una musica terribilmente aggressiva, piena di volute asperità sonore) e l'acqua santa (nel secondo cd una musica più eterea, leggiadra contaminazione genetica del jazz); in poche parole una parte esprime un vulcanico espressionismo astratto, l'altra un improbabile impressionismo da camera. La configurazione di Né cane né gatto ci introduce immediatamente in un ambiente dogmatico, che trova compimento nella parte centrale della prima parte della raccolta quando il clima generale si chiarisce in Scarliga Merlùss, che richiama in maniera subliminale uno stato pagano dell'improvvisazione, ciò che potrebbe serpeggiare in Apocalypse Now se esso fosse immerso nei panni dell'improvvisazione libera; è un'idea di atonalità completa quella proiettata dal basso di Del Piano che lavora sulle condizioni umorali dei brani e si contorce sullo strumento con veloci frammentazioni o pulsazioni del tutto anti-convenzionali, frutto della tecnica sviluppata dopo l'infortunio alla mano sinistra; fondamentale il supporto di Falascone, che indovina tutte le modificazioni di un'elettronica che va oltre la riflessività (suoni e tagli disomogenei sono al servizio di una rinnovata trasversalità dei contenuti), della Moonchy, che imposta la sua eclettica vocalità nelle terre dei pentimenti e delle preghiere, e della Bolognesi, che dividendosi tra pizzicati ed archetti contribuisce alla parte cupa ed assediata dell'esibizione; sono messaggi dell'inconscio quelli di Del Piano, che emergono trasparenti anche in Four hands double bass o nelle due stranianti dediche a Michel Waisvisz (Michel e Waisvisz appunto), che in mezzo ad effetti di elettronica brulicanti di impertinenza e autoironia, ricalcano un'interpretazione viscerale dell'elettronica applicata all'improvvisazione. E' un puntellamento del basso che simula l'azione del metter chiodi su un muro o che vuota lo stomaco grazie al collegamento degli ausili elettronici come succede in Swami katabanda, un avanzato ripensamento dell'azione del basso in un happening da epopea futuristica. Un'intermittenza sonora introduce invece la seconda parte e la collaborazione con Marco Colonna e Stefano Giust in Meeting in Milan; qui il free jazz si configura come approdo alla realtà urbana. Una forma libera che comunque fa percepire insofferenza e costruisce una voce di riflesso (il basso snocciola note senza priorità) in connessione a quelle bellissime degli altri partecipanti: in For strings and reeds le astrazioni e compulsioni di Del Piano si scontrano con le articolazioni da camera di Colonna: si entra in un compendio improvvisativo le cui caratteristiche lo evolvono in stato compositivo, quasi scrittura contemporanea che raggiunge il suo completamento nella successiva Polyphonic organization, dove si crea per magia un subdolo canone medievale; si cercano anche porti sicuri come in Quiet place o Tired blues, con basso pensoso e profondo contro clarinetto (e nel secondo caso batteria sfavillante di Giust) che riporta il jazz nel territorio del dialogo puro. Colonna, poi, sale in alto in Mirrors, ipnotica rappresentazione del flusso continuo determinato dalle tecniche di respirazione, ma anche Eyeliner scruta ottimamente i suoni reconditi del basso in un ambiente sonicamente impostato allo scopo. La main qui cherche la lumiére è un prodotto sentito in ogni sua nota, dove anche un'unghia appoggiata sullo strumento ha una sua giustificazione. Nonostante ci siano dei flashback che ricordano la free improvisation europea dei settanta (gli scorpori di elementi dell'Instant Composers Pool o delle orchestre di improvvisatori inglesi), il tutto vive di luce propria, dominato dal senso atipico creato dal basso di Del Piano, a cui non si possono nemmeno attaccare delle costanti di stile (di Pastorius c'è molto poco, per Swallow si viaggia su altri binari). Lavorato di fino, non vuole solo evidenziare le potenzialità sonore del basso elettrico in strutture alternative della musica (una ricerca che di per sé è una rarità) ma anche uno stato progettuale dell'umanità, il suo sentirsi ancora in grado di macinare arricchimenti espressivi e di guardare senza remore ai vantaggi che l'arte astratta può ancora fornire." Ettore Garzia, Percorsi Musicali, 2016.
"(...) Roberto Del Piano è un bassista jazz di grande spessore (non solo fisico), con alle spalle una storia musicale variegata e un'attività discografica cospicua, soprattutto negli anni '70 e '80, mai a proprio nome, ma con gruppi ormai storici come l'Idea Trio di Gaetano Liguori, il Gruppo Contemporaneo di Guido Mazzon, il Jazz Quatter Quartet con il fratello Enrico, ottimo batterista e il trombettista Mario Fragiacomo, per citarne solo alcuni. Dopo una lunga parentesi di eremitaggio musicale durata una decina d'anni e una graduale ripresa dell'attività, superata abbondantemente la sessantina ha finalmente pubblicato un disco a proprio nome, un doppio CD dal poetico titolo La Main Qui Cherche La Lumière. I due CD sono stati registrati a tre anni di distanza l'uno dall'altro - con la coppia Roberto Del Piano e Massimo Falascone (vecchio compagno di tante avventure musicali) sempre presente, tranne alcuni brani del secondo CD - e sono abbastanza diversi fra loro. Il primo è più radicale, sperimentale, aggressivo mentre il secondo è più intimistico, più fluido. Hanno contribuito alla realizzazione del primo disco anche Silvia Bolognesi al double bass, Pat Moonchy vocalist, Roberto Masotti e Robin Niko strumenti elettronici, tutti compagni d'avventura dei suddetti nel gruppo sperimentale TAI No-Orchestra. I dieci brani ivi contenuti sono molto vari e spaziano fra assonanze e dissonanze, combinazioni di sonorità che sembrano uscire da una "scatola dei rumori", effetti elettronici, guizzanti sberleffi di tipo futurista, un insieme di sperimentazioni che richiamano, per diversi spunti voluti o meno, opere classiche di musicisti come Luigi Nono, Luciano Berio, Edgard Varese, ecc.. Nei vocalizzi della bravissima Pat Moonchy ho trovato una certa assonanza, fatte le debite proporzioni, con Cathy Berberian nei Circles di Luciano Berio. Il secondo CD si avvale della collaborazione di Marco Colonna, romano classe 1978, talentuoso poli-strumentista con la predilezione per la famiglia dei clarini in versione free-jazz e avanguardia, secondo alcuni critici "uno dei migliori creatori di musica della sua generazione". In cinque brani è presente anche la batteria di Stefano Giust, altro membro della citata TAI No-Orchestra e creatore dell'etichetta molto "indipendente" Setola di maiale, che si dedica a "il suono delle minoranze rumorose". Questo disco si differenzia dal primo per un diverso approccio all'improvvisazione: più introspettiva, meno caotica (nel senso di caos creativo), con spazi di atmosfere oniriche e con elaborati dialoghi ance-basso che denotano un affiatamento anche nell'estemporaneità dell'improvvisazione. In sintesi un disco coraggioso, un po' ostico, adatto agli appassionati del genere. Una testimonianza preziosa degli sforzi di un artista di percorrere strade nuove o poco battute, in un panorama jazzistico italiano abbastanza asfittico. Mi aspetto già i quesito: ma questo è ancora jazz? In una situazione come quella odierna in cui "tutti voglion fare jazz" come i gatti di Walt Disney, in cui l'etichetta jazz viene spesso appiccicata a prodotti commerciali per cercare di nobilitarli, una domanda del genere non ha senso. Il problema eventuale è quello della fruibilità, in quanto l'ascolto non può che essere riservato a un pubblico ristretto, scelto, attento, preparato in grado di apprezzare lo sforzo creativo e di percepire l'atmosfera che circonda i musicisti talvolta in preda ad una specie di trance collettiva. Come ogni artista che cerca con la propria opera di lasciare una traccia del suo percorso di ricerca, Roberto Del Piano ha voluto imprimere su disco la sua concezione di essere musicista jazz oggi e gliene va reso merito." Gerovijazz, 2016.
"(...) Roberto Del Piano has been a stalwart of the Italian free jazz scene of the 1970s, with stints in some of the most significant ensembles of the period, from Gaetano Liguori’s Idea Trio to Guido Mazzon’s Gruppo Contemporaneo. After a period of voluntary retirement, in recent years he resumed playing in both jazz and free improvisation, and this double CD is actually the first release credited solely to him. The first disc gathers a series of collective improvisations by a group consisting of Del Piano on electric bass, Silvia Bolognesi on acoustic bass, Massimo Falascone on saxophones and Pat Moonchy on vocals. Live electronics, handled by Falascone, Moonchy and a few guests, have and important role in defining the general mood of the album, combining old-fashioned sounds with a forward-thinking attitude that give the record a dark, intriguing cinematic atmosphere. "Scarlinga Merlùss" exemplifies the complex character of the album, with Bolognesi and Del Piano's probing bass lines contrasted by Falascone’s pungent sax excursions and Moonchy’s eerie vocalizing, over an electronic backdrop complete with sampled voice readings and shifting noise modulations. The research for a more readable dimension comes to fruition on a couple of later pieces: in “Waisvisz”, after a long introduction of high-pitched exchanges between voice, saxophone and electronics, Bolognesi launches a bouncing ostinato that provides the musicians a springboard for a busy exchange of melodic ideas. The synth of the following “Swami Takabanda” wouldn’t be out of place in the soundtrack for an Italian sci-fi movie from the Sixties, but it eventually leaves space for the basses to build a throbbing pulse over which Falascone builds an agile, continually inventive solo. The second disc features a more familiar concept and instrumentation, focused on distinct free jazz traits and tighter instrumental exchanges, but the results are far from predictable. The record is organized in different instrumental combinations, with a series of duets by Del Piano with Marco Colonna on clarinets, trios with Stefano Giust on drums, and quartets with Falascone on alto and baritone saxes. The opening “Meeting in Milan” features clarinet and baritone at their most aggressive, screaming over a thunderous base of bass and drums – a declaration of intents, establishing an uncompromising space of action for the following tracks. But soon the atmosphere changes, with the musicians free to follow their diverse attitudes. “Quiet Place” highlights Colonna’s passion for melodic explorations; “Mirrors” his mastery of circular breathing technique, complemented by Falascone’s concise delivery. Giust’s taste for unusual timbres and broken rhythms is evident in pieces like “Scratch” or “Polyphonic Organization”, while Del Piano participates in the performance without indicating any particular direction, sometimes suggesting clear-cut rhythmic lines (“Tired Blues”), but mostly using the electric bass as a pure improvising voice. Combining an unusual free improvisation session and an equally engaging free jazz meeting in the same package, La Main Qui Cherche La Lumière is not only an effective overview of Del Piano’s distinctive style and different activities, but it also offers a precious occasion to discover some of the excellent voices that animate today’s Italian free music scene." Nicola Negri, Free Jazz Blog, 2016.
"(...) Le label Improvising Beings s'est assigné une noble tâche, celle de la fidélité. C'est le cas avec le saxophoniste Sonny Simmons, avec le contrebassiste Alan Silva, avec le pianiste François Tusques, avec la chanteuse Linda Sharrock ou encore avec le trompettiste Itaru Oki. Bref, avec bon nombre d'esprits libres et frappeurs qui farouchement libre qui ont nourri nos musiques et les nourrissent toujours. Ils sont parfois oubliés, en marge. Des fois, ils sont de lointains souvenirs de l'époque dorée, d'une scène, d'une ville. Parfois ils ont fait des pauses, ils reviennent, on les retrouve. Tout ceci, c'est un peu le cas du bassiste électrique Roberto Del Piano, un bassiste électrique de Milan qui dans les années 70 participait à la palpitation ambiante du Free italien. On a pu le voir, plus récemment, dans le Tai-No Orchestra qui a des allures de collectif informel, où l'on dénombre beaucoup de musiciens présent dans le disque qui nous concerne aujourd'hui. Ce n'est pas la première fois que Julien Palomo, l'âme d'Improvising Beings invite l'italien: on l'avait déjà vu dans le Trio 876 avec le chanteur Jean-Michel Von Shouwburg et Paolo Falascone au piano. On retrouve ce dernier sur le double album La main qui cherche la lumière, mais il ne joue pas de piano préparé; il joue la seconde main sur la basse de Del Piano sur le premier album, notamment sur l'explicite « Four Hands Double Bass ». La main cherche la lumière: sur le premier album, avec la chanteuse italienne Pat Moonchy et le multianchiste Massimo Falascone, la lumière est irisée, mouvante, opiacée presque. C'est la raison pour laquelle on songe beaucoup à Alan Silva, notamment sur l'étonnant « Musimprop » et ses sons étranges, vintage, où la voix est un véritable instrument. On passe dans divers univers où l'on peut parfois être rétif. La main cherche la lumière, et elle a le droit d'y aller à tâtons. D'autant que dans le second disque, qui se résume en un duo explosif avec le clarinettiste Marco Colonna, où viennent se joindre de manière épisodique les saxophones de Massimo Falascone et la batterie de Stefano Giust. Et là, à cet instant, la lumière est crue, violente, elle découpe les ombres avec un véritable contraste. La main a trouvé, et de quelle façon, un chaos salvateur. Etonnant double album, avec ses deux ambiances, enregistrées à 1 an d'intervalle. Le bassiste joue avec le son tout autant qu'il porte le fer au milieu du choeur des graves dans le magnifique "Meeting in Milan". La clarinette basse et sax baryton s'affronte au milieu de la sècheresse de la basse. On avait rencontré Colona dans le trio (In)Obediens sur le label Rudi Records, il est ici le véritable détonateur d'un album où l'improvisation collective prend tout son sens. Il ne faut pas cependant croire que tout est virulence: le très clair "Quiet Place" est un instant de douceur, de concorde, par des musiciens en liberté. Celle que seul un label comme Improvising Beings peut offrir. Bel Eventail. Et une photo qui n'a strictement rien à voir..." Franpi, Sun Ship, 2016.
"(...) Enregistré dans le légendaire studio Mu-Rec de Milan (ex-Barigozzi) par Paolo Falascone les 26 octobre 2013 et le 14 janvier 2016, La main qui cherche la lumière est un état des lieux singulier des amours musicales du bassiste Roberto Del Piano avec et à travers ses meilleurs compagnons et compagnes faut-il écrire. Quoi de plus curieux qu’un album où un bassiste électrique (!) et une contrebassiste acoustique rencontrent une vocaliste éthérée et fragile et un saxophoniste exquis acquis à la fée électronique dans une tentative de mise en commun de leurs appétits musicaux qui se révèle aussi pure qu’hybride, sincère et insituable (CD1). Vous saviez déjà qu’il n’y a pas que Steve Swallow: Roberto Del Piano a un véritable pedigree en matière d’improvisation. Ce milanais à moitié suisse évoluait déjà très jeune dans la scène free-jazz et improvisation italienne des années 70: bassiste des groupes du pianiste Gaetano Liguori et du trompettiste Guido Mazzon, il côtoya sur scène les regrettés Massimo Urbani (sax alto d’exception et jazzman italien n°1 des années 70/80) et Demetrio Stratos, le génial vocaliste qui initia l’improvisation vocale masculine. Les deux pontes de Jazzmag, Philippe Carles et Daniel Soutif considéraient les trio et quintet de Liguori comme une des valeurs sûres de la scène italienne au même titre que Rava ou Gaslini. A bord Roberto Del Piano ! Roberto joua quelque temps dans le groupe Area quand Urbani y soufflait et devint le comparse précieux de Massimo Falascone et d'Edoardo Ricci, deux soufflants peu communs. Il y eut ensuite d’excellents groupes comme le Jazz Quatter Quartet et Musimprop... A la demande d‘Improvising Beings, Roberto fit un deuxième enregistrement avec le superbe clarinettiste romain Marco Colonna, considéré aujourd’hui comme un des meilleurs improvisateurs de la péninsule. Se joignent à eux le saxophoniste Massimo Falascone et le batteur Stefano Giust sur plusieurs plages (CD2). Dans le cd1, la voix de Pat Moonchy plane, tend des filets de voix aux notes hautes en léger glissando alors que les doigtés des deux bassistes s’écartent et se croisent. Le saxophone alto de Falascone (à la sonorité aussi somptueuse qu’un Art Pepper) suit et commente la vocalise éthérée et surréelle. Sur quelques pièces, son électronique ingénieuse et raffinée se répand, suspendue au-dessus des vibrations sinueuses des basses. Question basse électrique, Del Piano est un curieux oiseau : il aurait aimé pouvoir jouer de la contrebasse. Mais un handicap à la main gauche l’a contraint à la basse électrique pour laquelle il s’est inventé des doigtés et des positions sur la touche sans frette collée sur le manche de sa Fender Jazz Bass. Mais il a invité une contrebassiste prometteuse, Silvia Bolognesi, elle aussi active dans la scène milanaise à le joindre, tout comme Massimo Falascone, son pote soufflant favori. Libres à chacun d’apporter les couleurs, les idées et les sons de leur univers personnels presqu’au gré de leur fantaisie, sans se restreindre à un seul instrument ni se focaliser sur une champ délimité / voie étroite qu’il faut développer avec intensité en étendant les possibilités au maximum des interactions entre deux ou trois mono-instrumentistes explorant le champ sonore en favorisant l’abstraction dans le sens donné dans les arts plastiques (Klee – Pollock). Cette dernière option est bien celle de nombreux improvisateurs britanniques et allemands qu’on regroupe sous le vocable musique improvisée libre non idiomatique. Dans la session de Roberto, le propos est d’intégrer plusieurs pratiques et attitudes qui tiennent à cœur à chacun et d’assumer les changements de perspective au fil des morceaux. Par exemple, qui croirait qu’il s’agit de la même personne qui joue du saxophone alto ou de l’électronique – brillante? Falascone est non seulement un des tout meilleurs souffleurs de la péninsule, mais aussi un électronicien à suivre. Bifurquant maintenant ma réflexion sur le contenu de la musique, j’ai découvert son travail digital sur un ou deux morceaux où la fluidité et l’inventivité de cette électronique me fait dire qu’il pourrait bien être le parfait collègue improvisateur dans ce domaine «non-idiomatique radical». Pat Moonchy tâte aussi de la TAI machine bruissante quand elle ne chante pas. En quartet, sa voix ajoutée au sax alto et aux ponctuations des basses évoquait le légendaire Spontaneous Music Ensemble avec Julie Tippets, Watts, Stevens et Herman qui se sont fait chahuter lors du premier grand rock stadium festival péninsulaire en 1971 (Palermo Pop Festival) et qu’on retrouve sur les albums Birds of a Feather, 123 Albert Ayler et dans la compile Frameworks (Emanem 4134). Quant au «leader», on l’entend délivrer des instants mystérieux sous ses doigtés furtifs qui étonneront les auditeurs capables de visualiser les positions des mains des guitaristes sur le manche et raviront les autres par son élégance. A noter deux belles divagations aux crackle boxes (inventées par feu Michel Waiszwisz) avec Roberto Masotti et l'acteur Robin Neko. Bref, dans ce qui n’est pas à proprement parler un patchwork mais plutôt un parcours insituable, il nous faut pour en saisir les moments de grâce tout autant travailler l'écoute que pour un disque de John Butcher. Si le quartet qui ouvre le CD 2, avec Falascone au baryton, Colonna à la clarinette basse et Giust aux drums, évoque la brötzmania vandermarkisée par son énergie, la suite des opérations dans une veine plus intériorisée est guidée par le duo de notre compère bassiste avec cet exceptionnel improvisateur qu’est Marco Colonna avec la présence éclairante de la batterie et du sax alto sur quelques plages. Trois morceaux avec Giust et Falascone (1/4/7) en quartet et deux en trio avec le batteur la basse et le clarinettiste. D’abord, il faut souligner le travail remarquable, voire très original de Stefano Giust. Lorsque j’ai découvert ce batteur, il y a une dizaine d’années, je le trouvais un peu trop pesant et appuyé selon ma pratique personnelle de l’improvisation collective: si sur scène nous sommes tous égaux, il n’y a pas de raison que le percussionniste surjoue et impacte le champ sonore par la dureté de son attaque etc. par rapport aux autres instruments ou la voix. C’est avec grand plaisir que je me suis délecté, Stefano ayant acquis cette finesse, cette ductilité rebondissante qui fait songer aux Barry Altschul et Andrew Cyrille de notre jeunesse. Bref le swing et la force dans la légèreté. Il a travaillé son instrument en jouant avec des musiciens exigeants (Thollem McDonas, Edoardo Marraffa) pour parfaire sa pratique. J’en suis vraiment heureux car Stefano Giust est un cas rare: il n’y a pas en Europe un autre improvisateur qui se consacre corps et âme à un label de disques aussi prolifique que le sien, Setola di Maiale. Des centaines d’albums, avec un nombre considérables d’artistes et un panel esthétique diversifié à souhait. Bien sûr, les artistes en paient eux-mêmes les copies en cd’s ou cdr, mais au prix coûtant et de manière transparente. Setola leur propose un choix d’options inégalé au niveau du nombre de copies (de 50, 100, 150, etc… jusque 500) et des caractéristiques techniques. Stefano Giust, graphiste professionnel de haut vol, réalise tout le travail graphique des pochettes gratuitement, assure les envois lui-même et rectifie sur le champ les erreurs d’usine éventuelles avec une conscience professionnelle rare. Il s’adapte aux requêtes des artistes avec une patience d’ange en faisant tout lui-même. Vu le volume de ses publications (si j’ose écrire) et la quantité de travail que cela implique, Stefano Giust est sûrement l’improvisateur européen qui consacre le plus de son temps personnel aux autres musiciens, tout en maintenant de front une activité professionnelle non musicale. Cela fait de lui une personnalité aussi incontournable que John Russell avec son Mopomoso, Eddie Prévost (Matchless) ou Evan Parker et tous ces musiciens qui gèrent des venues et sans qui cette scène improvisée n’existerait pas. C’est aussi par amitié pour son travail que Stefano avait été invité et ces cinq plages de La Main Qui Cherche La Lumière nous le montrent sous son meilleur jour. Le déroulement de la musique traverse quelques zones d’ombres et des champs mystérieux, où l’inspiration lumineuse de Marco Colonna démontre son savoir-faire multiple, et on découvre au fil des plages cette main espérante qui cherche les moindres lueurs, annonciatrices de la lumière, sans laquelle toute vie serait anéantie. La main gauche atrophiée du timonier Roberto, ses doigts boudinés de la main droite animés d’une logique insondable se font jour dans la trame. Colonna est un improvisateur instantané hors-pair dont l’instinct et l’expérience mêlés confortent la construction formelle d’une improvisation collective sur la durée et la spontanéité face au moindre détail/instant du parcours. Il a le chic d’articuler le moindre plop ou Pfff du bec à l’instant le plus propice imprimant ses interventions fugaces durablement dans la mémoire de l’auditeur avide d’appréhender le processus de l’improvisation dans sa globalité et ses infimes détails. Dans cette session, Colonna improvise ad-lib comme un jazzman libre en survolant la trame de la basse. Son souffle dans la clarinette basse se délivre en un son soyeux, capable d’un lyrisme rare, rendu par une qualité sonore optimale, ou d’éclairs jupitériens et de sons aléatoires. Quelle dynamique, quel timbre! A la clarinette droite, il évoque de loin Jimmy Giuffre ou Perry Robinson parce qu’en est venu le moment émotionnel. Une personnalité intelligente, complexe, une musicalité telle que le critique Sandro Cerini, plume avertie et sincère de MusicaJazz, le magazine national, et entièrement dévoué à la cause improvisée, le tient pour le souffleur d’anche numéro 1 en Italie avec son collègue Massimo Falascone, dont le saxophone alto donne du répondant dans les deux autres plages (4 et 7). Massimo, faut-il le répéter, est un saxophoniste de haut vol au niveau technique superlatif, lequel se devine au timbre et à l’articulation plutôt qu’à l’étalage de la virtuosité. Cette personnalité discrète a une sonorité magnifique qui ferait de lui, dans une autre vie, un musicien de studio demandé à NYC ou L.A. Le contenu du CD 2 n’est peut-être pas le manifeste ultime que ces individualités brillantes pourraient réaliser, mais il offre bien des plaisirs secrets et des moments de bonheur. C’est ici, parce qu’il est le seul bassiste, qu’on surprend Roberto Del Piano dans ce qu’il apporte de convainquant à cet instrument décrié dans le jazz contemporain, la basse électrique. En fait, il a compris beaucoup de choses quand à l’usage qu’il peut en faire dans les occurrences imprévues du dialogue et des pulsations avec un souffleur et un batteur. Des virtuoses nous barbent avec des platitudes et des tics. Roberto trouve la formule idoine dans le rapport de force centrifuge. Un sens de la mélodie dans le rythme, la science du mouvement. Une force naturelle. Un jeu inscrutable et des doigtés secrets (comme Django). La Main Qui Cherche La Lumière. En quelque sorte, un innovateur dans le domaine du jazz libéré et totalement improvisé. Des principes de bon sens qu’on retrouve chez Swallow, Pastorius ou Phil Lesh (Grateful Dead : à écouter pour s’éclairer au sujet de l’instrument). Donc l’écoute est vraiment instructive, plaisante, la musique chaleureuse, chercheuse, authentique. Un très bon point à Julien Palomo et à son label uto-atypique, Improvising Beings! La photo de pochette est due à Matthias Boss, violoniste inspiré." Jean-Michel Van Schouwburg, Orynx-improvandsounds, 2016.
"(...) Grabado en el legendario estudio Mu-Rec en Milán (ex-Barigozzi) por Paolo Falascone el 26 de octubre de 2013 y el 14 de enero de 2016, La Main Qui Cherche la Lumière es una relación de los lugares singulares de los amores musicales del contrabajista Roberto Del Piano con y en a través de sus mejores compañeras/os y debe ser escrito. ¿Qué podría ser más curioso que un álbum en el que un bajista eléctrico (!) y un contrabajista acústico se encuentren con un vocalista etéreo y frágil y un saxofonista exquisito partidario de la electrónica en un intento de puesta en común de sus apetitos musicales que resulta ser tan puro como híbrido, sincero e difícil de situar (CD1).
Ya sabías que no se trata de solo Steve Swallow: Roberto Del Piano tiene un verdadero pedigrí en improvisación. Este milanés medio suizo ya estaba evolucionando muy joven en la escena de improvisación italiana y de free jazz de los años 1970: contrabajista de los grupos del pianista Gaetano Liguori y el trompetista Guido Mazzon, se codeó con el fallecido Massimo Urbani (excepcional saxo alto y jazzman italiano n° 1 de los años 1970/1980) y Demetrio Stratos, el brillante vocalista que inició la improvisación vocal masculina. Los dos expertos de Jazzmag, Philippe Carles y Daniel Soutif consideraron el trío y el quinteto de Liguori como uno de los valores seguros de la escena italiana, así como Rava o Gaslini. ¡Junto a Roberto Del Piano! Roberto tocó durante algún tiempo en el grupo Area cuando Urbani estaba allí soplando y se convirtió en el compañero excelente de Massimo Falascone y Edoardo Ricci, dos sopladores insólitos. Luego hubo excelentes bandas como el Jazz Quatter Quartet y Musimprop... A petición de Improvising Beings, Roberto hizo una segunda grabación con el magnífico clarinetista romano Marco Colonna, considerado hoy como uno de los mejores improvisadores de la península. Se unieron a ellos el saxofonista Massimo Falascone y el baterista Stefano Giust en varias pistas (CD2).
En el CD1, la voz de Pat Moonchy flota, tiende hilos de voz con notas altas en ligero glissando mientras las digitaciones de los dos bajistas se apartan y se cruzan. El saxofón alto de Falascone (con la sonoridad tan suntuoso como un Art Pepper) sigue y comenta la vocalización etérea y surrealista. En algunas piezas, su electrónica ingeniosa y refinada se extiende, suspendida por encima de las sinuosas vibraciones de los bajos. Cuestión de bajo eléctrico, Del Piano es un pájaro curioso: le hubiera gustado poder tocar el contrabajo. Pero una desventaja en la mano izquierda lo obligó a usar el bajo eléctrico para el que inventó digitación y posiciones en el diapasón sin trastes pegado al mástil de su Fender Jazz Bass. Pero invitó a una prometedora contrabajista, Silvia Bolognesi, también activa en la escena milanesa, a unirse a él, al igual que Massimo Falascone, su amiguete soplador favorito. Todos son libres de aportar los colores, las ideas y los sonidos de su universo personal casi a su antojo, sin restringirse a un solo instrumento o centrarse en un campo definido / camino estrecho que debe desarrollarse intensamente extendiendo las posibilidades al máximo de interacciones entre dos o tres mono-instrumentistas que exploran el campo sonoro promoviendo la abstracción en el sentido dado en las artes plásticas (Klee - Pollock).
Esta última opción es, de hecho, la de muchos improvisadores británicos y alemanes que agrupamos bajo el término de música improvisada libre no idiomática. En la sesión de Roberto, la idea es integrar varias prácticas y actitudes que son apreciadas por el corazón de todos y asumir los cambios de perspectiva al hilo de las piezas. Por ejemplo, ¿quién pensaría que se trata de la misma persona quien toca el saxo alto o la electrónica ¿productivo? Falascone no es solo uno de los mejores sopladores de la península, sino también un ingeniero electrónico a seguir. Ahora, pensando en el contenido de la música, descubrí su trabajo digital en una o dos piezas donde la fluidez y la inventiva de esta electrónica me hacen decir que él bien podría ser el colega improvisador perfecto en este campo "no idiomático radical". Pat Moonchy también toca la rumorosa TAI machine cuando no está cantando. En cuarteto, su voz se suma al saxo alto y las puntuaciones de los bajos evocaban al legendario Spontaneous Music Ensemble con Julie Tippets, Watts, Stevens y Herman, quienes fueron interrumpidos en el primer gran festival peninsular del estadio de rock en 1971 (Palermo Pop Festival) y encontrado en los álbumes Birds of A Feather, 123 Albert Ayler y en la compilación Frameworks (Emanem 4134). En cuanto al "líder", lo escuchamos pronunciar momentos misteriosos bajo sus furtivos dedos que sorprenderá a los oyentes capaces de visualizar las posiciones de las manos de los guitarristas en el mástil y deleitará a otros por su elegancia. A destacar dos hermosas divagaciones en las crackle box (inventadas por el fallecido Michel Waisvisz) con Roberto Masotti y el actor Robin Neko. En resumen, esto que no es, estrictamente hablando, un mosaico, sino más bien un recorrido insuperable; necesitamos capturar los momentos de gracia, tanto para trabajar la escucha como para un disco de John Butcher.
Si el cuarteto que abre CD 2, con Falascone al barítono, Colonna en el clarinete bajo y Giust en batería, evoca la brötzmannía vandermarkisada por su energía, la continuación de las operaciones en una vena más interiorizada está guiada por el dúo de nuestro compañero bajista, este improvisador excepcional que es Marco Colonna con la presencia esclarecedora de los tambores y el saxo alto en algunas piezas. Tres piezas con Giust y Falascone (1/4/7) en cuarteto y dos en trío con el baterista, el bajo y el clarinetista. Primero, debemos destacar el notable, incluso muy original, trabajo de Stefano Giust. Cuando descubrí a este baterista, hace diez años, lo encontré demasiado pesado y recalcado de acuerdo con mi práctica personal de improvisación colectiva: si en el escenario todos somos iguales, no hay razón por la cual el percusionista sobrepase e impacte el campo sonoro por la dureza de su ataque, etc., en comparación con los otros instrumentos o la voz. Es con gran placer que estoy encantado, ya que Stefano adquirió esta delicadeza, con esta reaparición maleable que recuerda al Barry Altschul y Andrew Cyrille de nuestra juventud. En resumen, el swing y la fuerza en la ligereza. Trabajó en su instrumento tocando con músicos exigentes (Thollem McDonas, Edoardo Marraffa) para perfeccionar su práctica. Estoy muy contento porque Stefano Giust es un caso raro: no hay en Europa otro improvisador que se dedique en cuerpo y alma a un sello discográfico tan prolífico como el suyo, Setola di Maiale.
Cientos de álbumes, con un número considerable de artistas y un panel estético diverso. Por supuesto, los artistas pagan ellos mismos las copias en CDs o CDrs, pero al precio de costo y de forma transparente. Setola les ofrece una elección incomparable de opciones en términos de cantidad de copias (desde 50, 100, 150, etc. hasta 500) y características técnicas. Stefano Giust, un diseñador gráfico profesional superior, hace todo el trabajo gráfico para las portadas de forma gratuita, se asegura de los envíos él mismo y corrige de inmediato cualquier eventual error de fábrica con una conciencia profesional poco común. Él se adapta a las peticiones de los artistas con inmaculada paciencia haciendo todo él mismo. Dado el volumen de sus publicaciones (si se me permite escribirlo) y la cantidad de trabajo que esto implica, Stefano Giust es seguramente el improvisador europeo que dedica la mayor parte de su tiempo personal a otros músicos, mientras mantiene una actividad profesional no musical. Este hecho le convierte en una figura clave como John Russell con su Mopomoso, Eddie Prévost (Matchless) o Evan Parker y todos esos músicos que manejan venues [eventos], sin los cuales esta escena improvisada no existiría. También es por amistad por su trabajo que Stefano fue invitado y estas cinco piezas de La Main Qui Cherche La Lumière lo muestran con su mejor luz. El despliegue de la música atraviesa algunas áreas sombrías y campos misteriosos, donde la inspiración luminosa de Marco Colonna demuestra sus múltiples conocimientos, y descubrimos al hilo de las piezas esta mano esperanzada que busca los más tenues destellos, anunciandoras de la luz, sin la cual toda la vida sería aniquilada.
La mano izquierda atrofiada del timonel Roberto, sus regordetes dedos de la mano derecha animados por una lógica insondable se ciernen en la trama. Colonna es un excelente improvisador instantáneo cuyo instinto y experiencia se combinan para reforzar la construcción formal de una improvisación colectiva a lo largo del tiempo y la espontaneidad ante cada detalle / instante del recorrido. Tiene la habilidad de articular el más mínimo plop o Pfff de la boquilla en el instante más propicio, imprimiendo sus intervenciones fugaces por mucho tiempo en la memoria del oyente ávido de captar el proceso de improvisación en su totalidad y sus mínimos detalles. En esta sesión, Colonna improvisa ad-lib como un jazzman libre al sobrevolar la trama del bajo. Su soplo en el clarinete bajo se entrega a un sonido sedoso, capaz de un lirismo raro, reproducido en una calidad sonora óptima, o de rasgos jupiterianos y sonidos aleatorios. ¡Qué dinámica, qué timbre! En el clarinete recto, evoca de lejos a Jimmy Giuffre o Perry Robinson porque ha llegado el momento emocional. Una personalidad inteligente, compleja, una musicalidad tal que el crítico Sandro Cerini - una pluma informada y sincera de Musica Jazz, la revista nacional, y totalmente dedicado a la causa improvisada -, lo mantiene como el soplador de lengüeta número 1 en Italia con su colega Massimo Falascone, cuyo saxofón alto da respuesta en las otras dos piezas (4 y 7). Massimo, debe repetirse, es un saxofonista de alto vuelo a un nivel técnico superlativo, donde puede adivinarse el timbre y la articulación en lugar del alarde de virtuosismo. Esta discreta personalidad tiene un sonido magnífico que le convertiría, en otra vida, en un músico de estudio solicitado en Nueva York o Los Ángeles.
El contenido del CD 2 puede no ser el mejor manifiesto que estos individuos brillantes puedan lograr, pero ofrece muchos secretos placeres y momentos de felicidad. Es aquí, porque él es el único bajista, que Roberto Del Piano se sorprende de lo que aporta de manera convincente con este instrumento desprestigiado en el jazz contemporáneo, el bajo eléctrico. De hecho, ha comprendido muchas cosas cuando se trata del uso que él puede hacer en las ocurrencias imprevistas del diálogo y pulsaciones con un soplador y un baterista. Virtuosos nos critican con tópicos y clichés. Roberto encuentra la fórmula adecuada en la relación de potencia centrífuga. Un sentido de la melodía en el ritmo, la ciencia del movimiento. Una fuerza natural. Una forma de tocar inescrutable y secretos de digitación (como Django). En cierto modo, un innovador en el campo del jazz liberado y totalmente improvisado. Principios de sentido común que se pueden encontrar en Swallow, Pastorius o Phil Lesh (Grateful Dead: escuchar para aprender sobre el instrumento). Escuchar es realmente instructivo, agradable, la música cálida, investigadora, auténtica. ¡Un muy buen punto para Julien Palomo y su sello uto-atípico, Improvising Beings!" Jean-Michel Van Schouwburg, traducción de Chema Chacón para Oro Molido #54, 2020.
DISCO UNO
01 _ Né Cane Né Gatto 2:00
02 _ Musimprop 4:37
03 _ Je m'appelle Donatien, je suis né le 2 juin 5:34
04 _ Sophisticated Sergio 2:55
05 _ Scarliga Merluss 7:45
06 _ Four Hands Double Bass 7:32
07 _ Michel 5:54
08 _ Waisviz 9:07
09 _ Swami Takabanda 6:09
10 _ In Memoria Di Riccardo Rovestelli 5:18
DISCO DUE
01 _ Meeting In Milan 3:36
02 _ Scratch 4:07
03 _ For Strings And Reeds 5:01
04 _ Polyphonic Organization 5:46
05 _ Quiet Place 7:04
06 _ Tired Blues 4:03
07 _ Mirrors 6:25
08 _ Ahm 3:39
09 _ Eyeliner 8:49
10 _ Circular Worm 8:46
(C) + (P) 2016
(Setola di Maiale does not operate as an official distributor of recorded materials; some of the following artists are also contained in our music catalogue and that's the reason why you find this title in this section)
2XCD jewel box
Roberto Del Piano _ electric bass
Silvia Bolognesi _ double bass
Marco Colonna _ clarinets
Massimo Falascone _ saxophones
Paolo Falascone _ double bass
Roberto Masotti _ crackle box
Stefano Giust _ drums
Pat Moonchy _ vocals
Robin Neko _ crackle synth
Recorded at Mu.Rec. Studio, Milano, Italy, on October 26th, 2013 and January 14th, 2016. The double album is published by the great label Improvising Beings (France), directed by Palomo Julien.
"(...) Roberto Del Piano has been a stalwart of the Italian free jazz scene of the 1970s, with stints in some of the most significant ensembles of the period, from Gaetano Liguori’s Idea Trio to Guido Mazzon’s Gruppo Contemporaneo. After a period of voluntary retirement, in recent years he resumed playing in both jazz and free improvisation, and this double CD is actually the first release credited solely to him. The first disc gathers a series of collective improvisations by a group consisting of Del Piano on electric bass, Silvia Bolognesi on acoustic bass, Massimo Falascone on saxophones and Pat Moonchy on vocals. Live electronics, handled by Falascone, Moonchy and a few guests, have and important role in defining the general mood of the album, combining old-fashioned sounds with a forward-thinking attitude that give the record a dark, intriguing cinematic atmosphere. "Scarlinga Merlùss" exemplifies the complex character of the album, with Bolognesi and Del Piano's probing bass lines contrasted by Falascone’s pungent sax excursions and Moonchy’s eerie vocalizing, over an electronic backdrop complete with sampled voice readings and shifting noise modulations. The research for a more readable dimension comes to fruition on a couple of later pieces: in “Waisvisz”, after a long introduction of high-pitched exchanges between voice, saxophone and electronics, Bolognesi launches a bouncing ostinato that provides the musicians a springboard for a busy exchange of melodic ideas. The synth of the following “Swami Takabanda” wouldn’t be out of place in the soundtrack for an Italian sci-fi movie from the Sixties, but it eventually leaves space for the basses to build a throbbing pulse over which Falascone builds an agile, continually inventive solo. The second disc features a more familiar concept and instrumentation, focused on distinct free jazz traits and tighter instrumental exchanges, but the results are far from predictable. The record is organized in different instrumental combinations, with a series of duets by Del Piano with Marco Colonna on clarinets, trios with Stefano Giust on drums, and quartets with Falascone on alto and baritone saxes. The opening “Meeting in Milan” features clarinet and baritone at their most aggressive, screaming over a thunderous base of bass and drums – a declaration of intents, establishing an uncompromising space of action for the following tracks. But soon the atmosphere changes, with the musicians free to follow their diverse attitudes. “Quiet Place” highlights Colonna’s passion for melodic explorations; “Mirrors” his mastery of circular breathing technique, complemented by Falascone’s concise delivery. Giust’s taste for unusual timbres and broken rhythms is evident in pieces like “Scratch” or “Polyphonic Organization”, while Del Piano participates in the performance without indicating any particular direction, sometimes suggesting clear-cut rhythmic lines (“Tired Blues”), but mostly using the electric bass as a pure improvising voice. Combining an unusual free improvisation session and an equally engaging free jazz meeting in the same package, La Main Qui Cherche La Lumière is not only an effective overview of Del Piano’s distinctive style and different activities, but it also offers a precious occasion to discover some of the excellent voices that animate today’s Italian free music scene." Nicola Negri, Free Jazz Blog, 2016.
"(...) Enregistré dans le légendaire studio Mu-Rec de Milan (ex-Barigozzi) par Paolo Falascone les 26 octobre 2013 et le 14 janvier 2016, La main qui cherche la lumière est un état des lieux singulier des amours musicales du bassiste Roberto Del Piano avec et à travers ses meilleurs compagnons et compagnes faut-il écrire. Quoi de plus curieux qu’un album où un bassiste électrique (!) et une contrebassiste acoustique rencontrent une vocaliste éthérée et fragile et un saxophoniste exquis acquis à la fée électronique dans une tentative de mise en commun de leurs appétits musicaux qui se révèle aussi pure qu’hybride, sincère et insituable (CD1). Vous saviez déjà qu’il n’y a pas que Steve Swallow: Roberto Del Piano a un véritable pedigree en matière d’improvisation. Ce milanais à moitié suisse évoluait déjà très jeune dans la scène free-jazz et improvisation italienne des années 70: bassiste des groupes du pianiste Gaetano Liguori et du trompettiste Guido Mazzon, il côtoya sur scène les regrettés Massimo Urbani (sax alto d’exception et jazzman italien n°1 des années 70/80) et Demetrio Stratos, le génial vocaliste qui initia l’improvisation vocale masculine. Les deux pontes de Jazzmag, Philippe Carles et Daniel Soutif considéraient les trio et quintet de Liguori comme une des valeurs sûres de la scène italienne au même titre que Rava ou Gaslini. A bord Roberto Del Piano ! Roberto joua quelque temps dans le groupe Area quand Urbani y soufflait et devint le comparse précieux de Massimo Falascone et d'Edoardo Ricci, deux soufflants peu communs. Il y eut ensuite d’excellents groupes comme le Jazz Quatter Quartet et Musimprop... A la demande d‘Improvising Beings, Roberto fit un deuxième enregistrement avec le superbe clarinettiste romain Marco Colonna, considéré aujourd’hui comme un des meilleurs improvisateurs de la péninsule. Se joignent à eux le saxophoniste Massimo Falascone et le batteur Stefano Giust sur plusieurs plages (CD2). Dans le cd1, la voix de Pat Moonchy plane, tend des filets de voix aux notes hautes en léger glissando alors que les doigtés des deux bassistes s’écartent et se croisent. Le saxophone alto de Falascone (à la sonorité aussi somptueuse qu’un Art Pepper) suit et commente la vocalise éthérée et surréelle. Sur quelques pièces, son électronique ingénieuse et raffinée se répand, suspendue au-dessus des vibrations sinueuses des basses. Question basse électrique, Del Piano est un curieux oiseau : il aurait aimé pouvoir jouer de la contrebasse. Mais un handicap à la main gauche l’a contraint à la basse électrique pour laquelle il s’est inventé des doigtés et des positions sur la touche sans frette collée sur le manche de sa Fender Jazz Bass. Mais il a invité une contrebassiste prometteuse, Silvia Bolognesi, elle aussi active dans la scène milanaise à le joindre, tout comme Massimo Falascone, son pote soufflant favori. Libres à chacun d’apporter les couleurs, les idées et les sons de leur univers personnels presqu’au gré de leur fantaisie, sans se restreindre à un seul instrument ni se focaliser sur une champ délimité / voie étroite qu’il faut développer avec intensité en étendant les possibilités au maximum des interactions entre deux ou trois mono-instrumentistes explorant le champ sonore en favorisant l’abstraction dans le sens donné dans les arts plastiques (Klee – Pollock). Cette dernière option est bien celle de nombreux improvisateurs britanniques et allemands qu’on regroupe sous le vocable musique improvisée libre non idiomatique. Dans la session de Roberto, le propos est d’intégrer plusieurs pratiques et attitudes qui tiennent à cœur à chacun et d’assumer les changements de perspective au fil des morceaux. Par exemple, qui croirait qu’il s’agit de la même personne qui joue du saxophone alto ou de l’électronique – brillante? Falascone est non seulement un des tout meilleurs souffleurs de la péninsule, mais aussi un électronicien à suivre. Bifurquant maintenant ma réflexion sur le contenu de la musique, j’ai découvert son travail digital sur un ou deux morceaux où la fluidité et l’inventivité de cette électronique me fait dire qu’il pourrait bien être le parfait collègue improvisateur dans ce domaine «non-idiomatique radical». Pat Moonchy tâte aussi de la TAI machine bruissante quand elle ne chante pas. En quartet, sa voix ajoutée au sax alto et aux ponctuations des basses évoquait le légendaire Spontaneous Music Ensemble avec Julie Tippets, Watts, Stevens et Herman qui se sont fait chahuter lors du premier grand rock stadium festival péninsulaire en 1971 (Palermo Pop Festival) et qu’on retrouve sur les albums Birds of a Feather, 123 Albert Ayler et dans la compile Frameworks (Emanem 4134). Quant au «leader», on l’entend délivrer des instants mystérieux sous ses doigtés furtifs qui étonneront les auditeurs capables de visualiser les positions des mains des guitaristes sur le manche et raviront les autres par son élégance. A noter deux belles divagations aux crackle boxes (inventées par feu Michel Waiszwisz) avec Roberto Masotti et l'acteur Robin Neko. Bref, dans ce qui n’est pas à proprement parler un patchwork mais plutôt un parcours insituable, il nous faut pour en saisir les moments de grâce tout autant travailler l'écoute que pour un disque de John Butcher. Si le quartet qui ouvre le CD 2, avec Falascone au baryton, Colonna à la clarinette basse et Giust aux drums, évoque la brötzmania vandermarkisée par son énergie, la suite des opérations dans une veine plus intériorisée est guidée par le duo de notre compère bassiste avec cet exceptionnel improvisateur qu’est Marco Colonna avec la présence éclairante de la batterie et du sax alto sur quelques plages. Trois morceaux avec Giust et Falascone (1/4/7) en quartet et deux en trio avec le batteur la basse et le clarinettiste. D’abord, il faut souligner le travail remarquable, voire très original de Stefano Giust. Lorsque j’ai découvert ce batteur, il y a une dizaine d’années, je le trouvais un peu trop pesant et appuyé selon ma pratique personnelle de l’improvisation collective: si sur scène nous sommes tous égaux, il n’y a pas de raison que le percussionniste surjoue et impacte le champ sonore par la dureté de son attaque etc. par rapport aux autres instruments ou la voix. C’est avec grand plaisir que je me suis délecté, Stefano ayant acquis cette finesse, cette ductilité rebondissante qui fait songer aux Barry Altschul et Andrew Cyrille de notre jeunesse. Bref le swing et la force dans la légèreté. Il a travaillé son instrument en jouant avec des musiciens exigeants (Thollem McDonas, Edoardo Marraffa) pour parfaire sa pratique. J’en suis vraiment heureux car Stefano Giust est un cas rare: il n’y a pas en Europe un autre improvisateur qui se consacre corps et âme à un label de disques aussi prolifique que le sien, Setola di Maiale. Des centaines d’albums, avec un nombre considérables d’artistes et un panel esthétique diversifié à souhait. Bien sûr, les artistes en paient eux-mêmes les copies en cd’s ou cdr, mais au prix coûtant et de manière transparente. Setola leur propose un choix d’options inégalé au niveau du nombre de copies (de 50, 100, 150, etc… jusque 500) et des caractéristiques techniques. Stefano Giust, graphiste professionnel de haut vol, réalise tout le travail graphique des pochettes gratuitement, assure les envois lui-même et rectifie sur le champ les erreurs d’usine éventuelles avec une conscience professionnelle rare. Il s’adapte aux requêtes des artistes avec une patience d’ange en faisant tout lui-même. Vu le volume de ses publications (si j’ose écrire) et la quantité de travail que cela implique, Stefano Giust est sûrement l’improvisateur européen qui consacre le plus de son temps personnel aux autres musiciens, tout en maintenant de front une activité professionnelle non musicale. Cela fait de lui une personnalité aussi incontournable que John Russell avec son Mopomoso, Eddie Prévost (Matchless) ou Evan Parker et tous ces musiciens qui gèrent des venues et sans qui cette scène improvisée n’existerait pas. C’est aussi par amitié pour son travail que Stefano avait été invité et ces cinq plages de La Main Qui Cherche La Lumière nous le montrent sous son meilleur jour. Le déroulement de la musique traverse quelques zones d’ombres et des champs mystérieux, où l’inspiration lumineuse de Marco Colonna démontre son savoir-faire multiple, et on découvre au fil des plages cette main espérante qui cherche les moindres lueurs, annonciatrices de la lumière, sans laquelle toute vie serait anéantie. La main gauche atrophiée du timonier Roberto, ses doigts boudinés de la main droite animés d’une logique insondable se font jour dans la trame. Colonna est un improvisateur instantané hors-pair dont l’instinct et l’expérience mêlés confortent la construction formelle d’une improvisation collective sur la durée et la spontanéité face au moindre détail/instant du parcours. Il a le chic d’articuler le moindre plop ou Pfff du bec à l’instant le plus propice imprimant ses interventions fugaces durablement dans la mémoire de l’auditeur avide d’appréhender le processus de l’improvisation dans sa globalité et ses infimes détails. Dans cette session, Colonna improvise ad-lib comme un jazzman libre en survolant la trame de la basse. Son souffle dans la clarinette basse se délivre en un son soyeux, capable d’un lyrisme rare, rendu par une qualité sonore optimale, ou d’éclairs jupitériens et de sons aléatoires. Quelle dynamique, quel timbre! A la clarinette droite, il évoque de loin Jimmy Giuffre ou Perry Robinson parce qu’en est venu le moment émotionnel. Une personnalité intelligente, complexe, une musicalité telle que le critique Sandro Cerini, plume avertie et sincère de MusicaJazz, le magazine national, et entièrement dévoué à la cause improvisée, le tient pour le souffleur d’anche numéro 1 en Italie avec son collègue Massimo Falascone, dont le saxophone alto donne du répondant dans les deux autres plages (4 et 7). Massimo, faut-il le répéter, est un saxophoniste de haut vol au niveau technique superlatif, lequel se devine au timbre et à l’articulation plutôt qu’à l’étalage de la virtuosité. Cette personnalité discrète a une sonorité magnifique qui ferait de lui, dans une autre vie, un musicien de studio demandé à NYC ou L.A. Le contenu du CD 2 n’est peut-être pas le manifeste ultime que ces individualités brillantes pourraient réaliser, mais il offre bien des plaisirs secrets et des moments de bonheur. C’est ici, parce qu’il est le seul bassiste, qu’on surprend Roberto Del Piano dans ce qu’il apporte de convainquant à cet instrument décrié dans le jazz contemporain, la basse électrique. En fait, il a compris beaucoup de choses quand à l’usage qu’il peut en faire dans les occurrences imprévues du dialogue et des pulsations avec un souffleur et un batteur. Des virtuoses nous barbent avec des platitudes et des tics. Roberto trouve la formule idoine dans le rapport de force centrifuge. Un sens de la mélodie dans le rythme, la science du mouvement. Une force naturelle. Un jeu inscrutable et des doigtés secrets (comme Django). La Main Qui Cherche La Lumière. En quelque sorte, un innovateur dans le domaine du jazz libéré et totalement improvisé. Des principes de bon sens qu’on retrouve chez Swallow, Pastorius ou Phil Lesh (Grateful Dead : à écouter pour s’éclairer au sujet de l’instrument). Donc l’écoute est vraiment instructive, plaisante, la musique chaleureuse, chercheuse, authentique. Un très bon point à Julien Palomo et à son label uto-atypique, Improvising Beings! La photo de pochette est due à Matthias Boss, violoniste inspiré." Jean-Michel Van Schouwburg, Orynx-improvandsounds, 2016.
"(...) Grabado en el legendario estudio Mu-Rec en Milán (ex-Barigozzi) por Paolo Falascone el 26 de octubre de 2013 y el 14 de enero de 2016, La Main Qui Cherche la Lumière es una relación de los lugares singulares de los amores musicales del contrabajista Roberto Del Piano con y en a través de sus mejores compañeras/os y debe ser escrito. ¿Qué podría ser más curioso que un álbum en el que un bajista eléctrico (!) y un contrabajista acústico se encuentren con un vocalista etéreo y frágil y un saxofonista exquisito partidario de la electrónica en un intento de puesta en común de sus apetitos musicales que resulta ser tan puro como híbrido, sincero e difícil de situar (CD1).
Ya sabías que no se trata de solo Steve Swallow: Roberto Del Piano tiene un verdadero pedigrí en improvisación. Este milanés medio suizo ya estaba evolucionando muy joven en la escena de improvisación italiana y de free jazz de los años 1970: contrabajista de los grupos del pianista Gaetano Liguori y el trompetista Guido Mazzon, se codeó con el fallecido Massimo Urbani (excepcional saxo alto y jazzman italiano n° 1 de los años 1970/1980) y Demetrio Stratos, el brillante vocalista que inició la improvisación vocal masculina. Los dos expertos de Jazzmag, Philippe Carles y Daniel Soutif consideraron el trío y el quinteto de Liguori como uno de los valores seguros de la escena italiana, así como Rava o Gaslini. ¡Junto a Roberto Del Piano! Roberto tocó durante algún tiempo en el grupo Area cuando Urbani estaba allí soplando y se convirtió en el compañero excelente de Massimo Falascone y Edoardo Ricci, dos sopladores insólitos. Luego hubo excelentes bandas como el Jazz Quatter Quartet y Musimprop... A petición de Improvising Beings, Roberto hizo una segunda grabación con el magnífico clarinetista romano Marco Colonna, considerado hoy como uno de los mejores improvisadores de la península. Se unieron a ellos el saxofonista Massimo Falascone y el baterista Stefano Giust en varias pistas (CD2).
En el CD1, la voz de Pat Moonchy flota, tiende hilos de voz con notas altas en ligero glissando mientras las digitaciones de los dos bajistas se apartan y se cruzan. El saxofón alto de Falascone (con la sonoridad tan suntuoso como un Art Pepper) sigue y comenta la vocalización etérea y surrealista. En algunas piezas, su electrónica ingeniosa y refinada se extiende, suspendida por encima de las sinuosas vibraciones de los bajos. Cuestión de bajo eléctrico, Del Piano es un pájaro curioso: le hubiera gustado poder tocar el contrabajo. Pero una desventaja en la mano izquierda lo obligó a usar el bajo eléctrico para el que inventó digitación y posiciones en el diapasón sin trastes pegado al mástil de su Fender Jazz Bass. Pero invitó a una prometedora contrabajista, Silvia Bolognesi, también activa en la escena milanesa, a unirse a él, al igual que Massimo Falascone, su amiguete soplador favorito. Todos son libres de aportar los colores, las ideas y los sonidos de su universo personal casi a su antojo, sin restringirse a un solo instrumento o centrarse en un campo definido / camino estrecho que debe desarrollarse intensamente extendiendo las posibilidades al máximo de interacciones entre dos o tres mono-instrumentistas que exploran el campo sonoro promoviendo la abstracción en el sentido dado en las artes plásticas (Klee - Pollock).
Esta última opción es, de hecho, la de muchos improvisadores británicos y alemanes que agrupamos bajo el término de música improvisada libre no idiomática. En la sesión de Roberto, la idea es integrar varias prácticas y actitudes que son apreciadas por el corazón de todos y asumir los cambios de perspectiva al hilo de las piezas. Por ejemplo, ¿quién pensaría que se trata de la misma persona quien toca el saxo alto o la electrónica ¿productivo? Falascone no es solo uno de los mejores sopladores de la península, sino también un ingeniero electrónico a seguir. Ahora, pensando en el contenido de la música, descubrí su trabajo digital en una o dos piezas donde la fluidez y la inventiva de esta electrónica me hacen decir que él bien podría ser el colega improvisador perfecto en este campo "no idiomático radical". Pat Moonchy también toca la rumorosa TAI machine cuando no está cantando. En cuarteto, su voz se suma al saxo alto y las puntuaciones de los bajos evocaban al legendario Spontaneous Music Ensemble con Julie Tippets, Watts, Stevens y Herman, quienes fueron interrumpidos en el primer gran festival peninsular del estadio de rock en 1971 (Palermo Pop Festival) y encontrado en los álbumes Birds of A Feather, 123 Albert Ayler y en la compilación Frameworks (Emanem 4134). En cuanto al "líder", lo escuchamos pronunciar momentos misteriosos bajo sus furtivos dedos que sorprenderá a los oyentes capaces de visualizar las posiciones de las manos de los guitarristas en el mástil y deleitará a otros por su elegancia. A destacar dos hermosas divagaciones en las crackle box (inventadas por el fallecido Michel Waisvisz) con Roberto Masotti y el actor Robin Neko. En resumen, esto que no es, estrictamente hablando, un mosaico, sino más bien un recorrido insuperable; necesitamos capturar los momentos de gracia, tanto para trabajar la escucha como para un disco de John Butcher.
Si el cuarteto que abre CD 2, con Falascone al barítono, Colonna en el clarinete bajo y Giust en batería, evoca la brötzmannía vandermarkisada por su energía, la continuación de las operaciones en una vena más interiorizada está guiada por el dúo de nuestro compañero bajista, este improvisador excepcional que es Marco Colonna con la presencia esclarecedora de los tambores y el saxo alto en algunas piezas. Tres piezas con Giust y Falascone (1/4/7) en cuarteto y dos en trío con el baterista, el bajo y el clarinetista. Primero, debemos destacar el notable, incluso muy original, trabajo de Stefano Giust. Cuando descubrí a este baterista, hace diez años, lo encontré demasiado pesado y recalcado de acuerdo con mi práctica personal de improvisación colectiva: si en el escenario todos somos iguales, no hay razón por la cual el percusionista sobrepase e impacte el campo sonoro por la dureza de su ataque, etc., en comparación con los otros instrumentos o la voz. Es con gran placer que estoy encantado, ya que Stefano adquirió esta delicadeza, con esta reaparición maleable que recuerda al Barry Altschul y Andrew Cyrille de nuestra juventud. En resumen, el swing y la fuerza en la ligereza. Trabajó en su instrumento tocando con músicos exigentes (Thollem McDonas, Edoardo Marraffa) para perfeccionar su práctica. Estoy muy contento porque Stefano Giust es un caso raro: no hay en Europa otro improvisador que se dedique en cuerpo y alma a un sello discográfico tan prolífico como el suyo, Setola di Maiale.
Cientos de álbumes, con un número considerable de artistas y un panel estético diverso. Por supuesto, los artistas pagan ellos mismos las copias en CDs o CDrs, pero al precio de costo y de forma transparente. Setola les ofrece una elección incomparable de opciones en términos de cantidad de copias (desde 50, 100, 150, etc. hasta 500) y características técnicas. Stefano Giust, un diseñador gráfico profesional superior, hace todo el trabajo gráfico para las portadas de forma gratuita, se asegura de los envíos él mismo y corrige de inmediato cualquier eventual error de fábrica con una conciencia profesional poco común. Él se adapta a las peticiones de los artistas con inmaculada paciencia haciendo todo él mismo. Dado el volumen de sus publicaciones (si se me permite escribirlo) y la cantidad de trabajo que esto implica, Stefano Giust es seguramente el improvisador europeo que dedica la mayor parte de su tiempo personal a otros músicos, mientras mantiene una actividad profesional no musical. Este hecho le convierte en una figura clave como John Russell con su Mopomoso, Eddie Prévost (Matchless) o Evan Parker y todos esos músicos que manejan venues [eventos], sin los cuales esta escena improvisada no existiría. También es por amistad por su trabajo que Stefano fue invitado y estas cinco piezas de La Main Qui Cherche La Lumière lo muestran con su mejor luz. El despliegue de la música atraviesa algunas áreas sombrías y campos misteriosos, donde la inspiración luminosa de Marco Colonna demuestra sus múltiples conocimientos, y descubrimos al hilo de las piezas esta mano esperanzada que busca los más tenues destellos, anunciandoras de la luz, sin la cual toda la vida sería aniquilada.
La mano izquierda atrofiada del timonel Roberto, sus regordetes dedos de la mano derecha animados por una lógica insondable se ciernen en la trama. Colonna es un excelente improvisador instantáneo cuyo instinto y experiencia se combinan para reforzar la construcción formal de una improvisación colectiva a lo largo del tiempo y la espontaneidad ante cada detalle / instante del recorrido. Tiene la habilidad de articular el más mínimo plop o Pfff de la boquilla en el instante más propicio, imprimiendo sus intervenciones fugaces por mucho tiempo en la memoria del oyente ávido de captar el proceso de improvisación en su totalidad y sus mínimos detalles. En esta sesión, Colonna improvisa ad-lib como un jazzman libre al sobrevolar la trama del bajo. Su soplo en el clarinete bajo se entrega a un sonido sedoso, capaz de un lirismo raro, reproducido en una calidad sonora óptima, o de rasgos jupiterianos y sonidos aleatorios. ¡Qué dinámica, qué timbre! En el clarinete recto, evoca de lejos a Jimmy Giuffre o Perry Robinson porque ha llegado el momento emocional. Una personalidad inteligente, compleja, una musicalidad tal que el crítico Sandro Cerini - una pluma informada y sincera de Musica Jazz, la revista nacional, y totalmente dedicado a la causa improvisada -, lo mantiene como el soplador de lengüeta número 1 en Italia con su colega Massimo Falascone, cuyo saxofón alto da respuesta en las otras dos piezas (4 y 7). Massimo, debe repetirse, es un saxofonista de alto vuelo a un nivel técnico superlativo, donde puede adivinarse el timbre y la articulación en lugar del alarde de virtuosismo. Esta discreta personalidad tiene un sonido magnífico que le convertiría, en otra vida, en un músico de estudio solicitado en Nueva York o Los Ángeles.
El contenido del CD 2 puede no ser el mejor manifiesto que estos individuos brillantes puedan lograr, pero ofrece muchos secretos placeres y momentos de felicidad. Es aquí, porque él es el único bajista, que Roberto Del Piano se sorprende de lo que aporta de manera convincente con este instrumento desprestigiado en el jazz contemporáneo, el bajo eléctrico. De hecho, ha comprendido muchas cosas cuando se trata del uso que él puede hacer en las ocurrencias imprevistas del diálogo y pulsaciones con un soplador y un baterista. Virtuosos nos critican con tópicos y clichés. Roberto encuentra la fórmula adecuada en la relación de potencia centrífuga. Un sentido de la melodía en el ritmo, la ciencia del movimiento. Una fuerza natural. Una forma de tocar inescrutable y secretos de digitación (como Django). En cierto modo, un innovador en el campo del jazz liberado y totalmente improvisado. Principios de sentido común que se pueden encontrar en Swallow, Pastorius o Phil Lesh (Grateful Dead: escuchar para aprender sobre el instrumento). Escuchar es realmente instructivo, agradable, la música cálida, investigadora, auténtica. ¡Un muy buen punto para Julien Palomo y su sello uto-atípico, Improvising Beings!" Jean-Michel Van Schouwburg, traducción de Chema Chacón para Oro Molido #54, 2020.
"(...) Le label Improvising Beings s'est assigné une noble tâche, celle de la fidélité. C'est le cas avec le saxophoniste Sonny Simmons, avec le contrebassiste Alan Silva, avec le pianiste François Tusques, avec la chanteuse Linda Sharrock ou encore avec le trompettiste Itaru Oki. Bref, avec bon nombre d'esprits libres et frappeurs qui farouchement libre qui ont nourri nos musiques et les nourrissent toujours. Ils sont parfois oubliés, en marge. Des fois, ils sont de lointains souvenirs de l'époque dorée, d'une scène, d'une ville. Parfois ils ont fait des pauses, ils reviennent, on les retrouve. Tout ceci, c'est un peu le cas du bassiste électrique Roberto Del Piano, un bassiste électrique de Milan qui dans les années 70 participait à la palpitation ambiante du Free italien. On a pu le voir, plus récemment, dans le Tai-No Orchestra qui a des allures de collectif informel, où l'on dénombre beaucoup de musiciens présent dans le disque qui nous concerne aujourd'hui. Ce n'est pas la première fois que Julien Palomo, l'âme d'Improvising Beings invite l'italien: on l'avait déjà vu dans le Trio 876 avec le chanteur Jean-Michel Von Shouwburg et Paolo Falascone au piano. On retrouve ce dernier sur le double album La main qui cherche la lumière, mais il ne joue pas de piano préparé; il joue la seconde main sur la basse de Del Piano sur le premier album, notamment sur l'explicite « Four Hands Double Bass ». La main cherche la lumière: sur le premier album, avec la chanteuse italienne Pat Moonchy et le multianchiste Massimo Falascone, la lumière est irisée, mouvante, opiacée presque. C'est la raison pour laquelle on songe beaucoup à Alan Silva, notamment sur l'étonnant « Musimprop » et ses sons étranges, vintage, où la voix est un véritable instrument. On passe dans divers univers où l'on peut parfois être rétif. La main cherche la lumière, et elle a le droit d'y aller à tâtons. D'autant que dans le second disque, qui se résume en un duo explosif avec le clarinettiste Marco Colonna, où viennent se joindre de manière épisodique les saxophones de Massimo Falascone et la batterie de Stefano Giust. Et là, à cet instant, la lumière est crue, violente, elle découpe les ombres avec un véritable contraste. La main a trouvé, et de quelle façon, un chaos salvateur. Etonnant double album, avec ses deux ambiances, enregistrées à 1 an d'intervalle. Le bassiste joue avec le son tout autant qu'il porte le fer au milieu du choeur des graves dans le magnifique "Meeting in Milan". La clarinette basse et sax baryton s'affronte au milieu de la sècheresse de la basse. On avait rencontré Colona dans le trio (In)Obediens sur le label Rudi Records, il est ici le véritable détonateur d'un album où l'improvisation collective prend tout son sens. Il ne faut pas cependant croire que tout est virulence: le très clair "Quiet Place" est un instant de douceur, de concorde, par des musiciens en liberté. Celle que seul un label comme Improvising Beings peut offrir. Bel Eventail. Et une photo qui n'a strictement rien à voir..." Franpi, Sun Ship, 2016.
"(...) Roberto Del Piano è un bassista jazz di grande spessore (non solo fisico), con alle spalle una storia musicale variegata e un'attività discografica cospicua, soprattutto negli anni '70 e '80, mai a proprio nome, ma con gruppi ormai storici come l'Idea Trio di Gaetano Liguori, il Gruppo Contemporaneo di Guido Mazzon, il Jazz Quatter Quartet con il fratello Enrico, ottimo batterista e il trombettista Mario Fragiacomo, per citarne solo alcuni. Dopo una lunga parentesi di eremitaggio musicale durata una decina d'anni e una graduale ripresa dell'attività, superata abbondantemente la sessantina ha finalmente pubblicato un disco a proprio nome, un doppio CD dal poetico titolo La Main Qui Cherche La Lumière. I due CD sono stati registrati a tre anni di distanza l'uno dall'altro - con la coppia Roberto Del Piano e Massimo Falascone (vecchio compagno di tante avventure musicali) sempre presente, tranne alcuni brani del secondo CD - e sono abbastanza diversi fra loro. Il primo è più radicale, sperimentale, aggressivo mentre il secondo è più intimistico, più fluido. Hanno contribuito alla realizzazione del primo disco anche Silvia Bolognesi al double bass, Pat Moonchy vocalist, Roberto Masotti e Robin Niko strumenti elettronici, tutti compagni d'avventura dei suddetti nel gruppo sperimentale TAI No-Orchestra. I dieci brani ivi contenuti sono molto vari e spaziano fra assonanze e dissonanze, combinazioni di sonorità che sembrano uscire da una "scatola dei rumori", effetti elettronici, guizzanti sberleffi di tipo futurista, un insieme di sperimentazioni che richiamano, per diversi spunti voluti o meno, opere classiche di musicisti come Luigi Nono, Luciano Berio, Edgard Varese, ecc.. Nei vocalizzi della bravissima Pat Moonchy ho trovato una certa assonanza, fatte le debite proporzioni, con Cathy Berberian nei Circles di Luciano Berio. Il secondo CD si avvale della collaborazione di Marco Colonna, romano classe 1978, talentuoso poli-strumentista con la predilezione per la famiglia dei clarini in versione free-jazz e avanguardia, secondo alcuni critici "uno dei migliori creatori di musica della sua generazione". In cinque brani è presente anche la batteria di Stefano Giust, altro membro della citata TAI No-Orchestra e creatore dell'etichetta molto "indipendente" Setola di maiale, che si dedica a "il suono delle minoranze rumorose". Questo disco si differenzia dal primo per un diverso approccio all'improvvisazione: più introspettiva, meno caotica (nel senso di caos creativo), con spazi di atmosfere oniriche e con elaborati dialoghi ance-basso che denotano un affiatamento anche nell'estemporaneità dell'improvvisazione. In sintesi un disco coraggioso, un po' ostico, adatto agli appassionati del genere. Una testimonianza preziosa degli sforzi di un artista di percorrere strade nuove o poco battute, in un panorama jazzistico italiano abbastanza asfittico. Mi aspetto già i quesito: ma questo è ancora jazz? In una situazione come quella odierna in cui "tutti voglion fare jazz" come i gatti di Walt Disney, in cui l'etichetta jazz viene spesso appiccicata a prodotti commerciali per cercare di nobilitarli, una domanda del genere non ha senso. Il problema eventuale è quello della fruibilità, in quanto l'ascolto non può che essere riservato a un pubblico ristretto, scelto, attento, preparato in grado di apprezzare lo sforzo creativo e di percepire l'atmosfera che circonda i musicisti talvolta in preda ad una specie di trance collettiva. Come ogni artista che cerca con la propria opera di lasciare una traccia del suo percorso di ricerca, Roberto Del Piano ha voluto imprimere su disco la sua concezione di essere musicista jazz oggi e gliene va reso merito." Gerovijazz, 2016.
"(...) Molti ritengono che la musica stia attraversando un momento travagliato: non è solo un problema di novità o di possibilità espressive, quanto piuttosto sono le direzioni che preoccupano: "giudei" della musica o falsi profeti sono all'ordine del giorno. In questa festa regale delle apparenze, una ristretta cerchia di artisti se ne distacca amaramente per l'impegno nel rimarcare un concetto oltre la musica, che sia in grado di reggere i tempi attuali e prefigurarne alcuni futuri. Vi basterebbe una sola mezz'ora di ascolto di un concerto fatta assieme a Roberto Del Piano per capire la competenza del musicista e l'esattezza nel delineare le realtà musicali a suo dinanzi, come è capitato a me. Di fronte al suo primo cd da solista, arrivato in un momento inatteso della sua carriera, tocca confrontarsi proprio per delineare prospettive: di Del Piano non devo certo esplicitare l'importanza che ha rivestito nel jazz italiano, quando negli anni settanta sorgevano compagini come il Gruppo Contemporaneo o l'Idea Trio di Gaetano Liguori, formazioni in cui Roberto ha calcato il ruolo del bassista impegnato e militante (si pensi a Aspettando i dinosauri e ai due LP Pdu Cile Libero, Cile Rosso e I signori della guerra); così nondimeno la sua figura è stata sempre presente nell'improvvisazione che conta, soprattutto quella attuata tramite progetti interdisciplinari ed ironicamente avant-garde nei combo sperimentali o tendenti alle arti perfomative (qui il riferimento è al teatro musicale dei Neem e al Musimprop), sebbene non si possa enucleare in maniera netta un contributo a lui solo ascrivibile data la natura collettiva delle esperienze. Mi limito a queste segnalazioni perché soggettivamente le considero più importanti, ma l'elenco "spatafiata" che ho ricevuto e che avrei dovuto pubblicare, penso serva solo per dimostrare quanto sia apprezzato come musicista e come uomo. Una raggiante modestia si comprende da sola! La prolungata fase di insoddisfazione degli ambienti musicali lo ha portato ad abbandonare il mondo musicale per molto tempo finché, stimolato da alcuni suoi colleghi e da una rinnovata vitalità dei modelli improvvisativi, sono ritornate le esibizioni in pubblico (il Fonosextant, i Five Roosters, gli 876+, uno splendido duo con Mazzon e la condivisione/creazione del modello Tai Orchestra). Non so quanto ci sia di vero nell'annuncio di un nuovo ritiro, ma il dato di fatto è che questo succede in concomitanza di un evento eccezionale dell'artista: la sua prima concezione discografica totalmente riferibile alla sua visuale artistica così come è aggiornata oggi. "La main qui cherche la lumiére" imposta due sets con alcuni dei suoi musicisti preferiti ed adatti al suo tipo di interazione: nel primo troviamo Massimo Falascone (con tanto di sassofoni ed live electronics), Pat Moonchy (voce e Tai Machine), Silvia Bolognesi (contrabbasso) ed alcuni manipolatori del suono e del crackle (Neko, P. Falascone, Masotti), mentre il secondo è dominato dai clarinetti di Marco Colonna, con la batteria saltuaria di Stefano Giust e, in tre brani, l'alto o il baritono di Falascone. La divisione appena accennata non è solo informativa ma corrisponde anche ad una bio-diversità emotiva dei contenuti: se c'è una mano che tenta di afferrare la verità questa circostanza può essere raggiunta in differenti modalità. Del Piano la fa sviluppare mettendo in contrapposizione il diavolo (nel primo cd una musica terribilmente aggressiva, piena di volute asperità sonore) e l'acqua santa (nel secondo cd una musica più eterea, leggiadra contaminazione genetica del jazz); in poche parole una parte esprime un vulcanico espressionismo astratto, l'altra un improbabile impressionismo da camera. La configurazione di Né cane né gatto ci introduce immediatamente in un ambiente dogmatico, che trova compimento nella parte centrale della prima parte della raccolta quando il clima generale si chiarisce in Scarliga Merlùss, che richiama in maniera subliminale uno stato pagano dell'improvvisazione, ciò che potrebbe serpeggiare in Apocalypse Now se esso fosse immerso nei panni dell'improvvisazione libera; è un'idea di atonalità completa quella proiettata dal basso di Del Piano che lavora sulle condizioni umorali dei brani e si contorce sullo strumento con veloci frammentazioni o pulsazioni del tutto anti-convenzionali, frutto della tecnica sviluppata dopo l'infortunio alla mano sinistra; fondamentale il supporto di Falascone, che indovina tutte le modificazioni di un'elettronica che va oltre la riflessività (suoni e tagli disomogenei sono al servizio di una rinnovata trasversalità dei contenuti), della Moonchy, che imposta la sua eclettica vocalità nelle terre dei pentimenti e delle preghiere, e della Bolognesi, che dividendosi tra pizzicati ed archetti contribuisce alla parte cupa ed assediata dell'esibizione; sono messaggi dell'inconscio quelli di Del Piano, che emergono trasparenti anche in Four hands double bass o nelle due stranianti dediche a Michel Waisvisz (Michel e Waisvisz appunto), che in mezzo ad effetti di elettronica brulicanti di impertinenza e autoironia, ricalcano un'interpretazione viscerale dell'elettronica applicata all'improvvisazione. E' un puntellamento del basso che simula l'azione del metter chiodi su un muro o che vuota lo stomaco grazie al collegamento degli ausili elettronici come succede in Swami katabanda, un avanzato ripensamento dell'azione del basso in un happening da epopea futuristica. Un'intermittenza sonora introduce invece la seconda parte e la collaborazione con Marco Colonna e Stefano Giust in Meeting in Milan; qui il free jazz si configura come approdo alla realtà urbana. Una forma libera che comunque fa percepire insofferenza e costruisce una voce di riflesso (il basso snocciola note senza priorità) in connessione a quelle bellissime degli altri partecipanti: in For strings and reeds le astrazioni e compulsioni di Del Piano si scontrano con le articolazioni da camera di Colonna: si entra in un compendio improvvisativo le cui caratteristiche lo evolvono in stato compositivo, quasi scrittura contemporanea che raggiunge il suo completamento nella successiva Polyphonic organization, dove si crea per magia un subdolo canone medievale; si cercano anche porti sicuri come in Quiet place o Tired blues, con basso pensoso e profondo contro clarinetto (e nel secondo caso batteria sfavillante di Giust) che riporta il jazz nel territorio del dialogo puro. Colonna, poi, sale in alto in Mirrors, ipnotica rappresentazione del flusso continuo determinato dalle tecniche di respirazione, ma anche Eyeliner scruta ottimamente i suoni reconditi del basso in un ambiente sonicamente impostato allo scopo. La main qui cherche la lumiére è un prodotto sentito in ogni sua nota, dove anche un'unghia appoggiata sullo strumento ha una sua giustificazione. Nonostante ci siano dei flashback che ricordano la free improvisation europea dei settanta (gli scorpori di elementi dell'Instant Composers Pool o delle orchestre di improvvisatori inglesi), il tutto vive di luce propria, dominato dal senso atipico creato dal basso di Del Piano, a cui non si possono nemmeno attaccare delle costanti di stile (di Pastorius c'è molto poco, per Swallow si viaggia su altri binari). Lavorato di fino, non vuole solo evidenziare le potenzialità sonore del basso elettrico in strutture alternative della musica (una ricerca che di per sé è una rarità) ma anche uno stato progettuale dell'umanità, il suo sentirsi ancora in grado di macinare arricchimenti espressivi e di guardare senza remore ai vantaggi che l'arte astratta può ancora fornire." Ettore Garzia, Percorsi Musicali, 2016.
"(...) Nel titolo e nell’artwork di questa nuova realizzazione di Roberto Del Piano dopo un suo lungo ritiro, sembrano già espressi efficacemente una coppia di concetti: protensione, non solo corporale e, quindi, anche uno spirito di fiducia, largamente accordata alla imprevedibilità della fonosfera, che possa questa sempre illuminare nuove opportunità espressive individuali e collettive. La Main Qui Cherche La LumièreNel titolo e nell’artwork di questa nuova realizzazione di Roberto Del Piano dopo un suo lungo ritiro, sembrano già espressi efficacemente una coppia di concetti: 1) protensione, non solo corporale e, quindi, anche uno spirito di 2) fiducia, largamente accordata alla imprevedibilità della fonosfera, che possa questa sempre illuminare nuove opportunità espressive individuali e collettive, a partire da una generale e ricercata condizione di ‘oscurità', dell’esito dell’esplorazione se non addirittura dell’origine dell’Intenzione. Una misteriosa corrente di “doppio” è sembrata circolare dappertutto. A cominciare dalla differenza fra suoni “esterni” e “interni” che, però, come accade nelle più soddisfacenti sintesi psicofisiche, si avverte così assottigliata da restituire una subliminale ma sensibile organicità. Nella prima sessione, quella in prevalenza elettroacustica e in quartetto, l’evidenza di quella sensazione si fa già notare nella prima delle 10 improvvisazioni collettive qui incluse, la più concisa ma di quelle ad alta densità. Né cane, né gatto si mostra appunto come una imprecisata unità bifronte di una doppia negazione, originata da una scala arpeggiata collettivamente e nel cui processo si “compongono” due forze: da una parte i vocalizzi affilati di Pat Moonchy e il fondale di Silvia Bolognesi al contrabbasso con l’archetto distendono la campitura, dall’altra i gorgoglii di Massimo Falascone e Del Piano la vanno a macchiare, ma entrambe si allineano ad una complessiva, pesante “gravità” del piano sonoro, rendendo la drammaturgia del presentimento di un minaccioso e inesorabile smottamento. Waisvisz può rappresentarne il possibile antipodo, laddove la direzione generale del movimento risulta invece essere condotta più in senso ascensionale suggerito dal passo turgido, fermo e costante imposto dalla Bolognesi da metà percorso in poi; è anche la più lunga delle improvvisazioni e l’organico impegnato è aumentato apportando con l’elettronica portatile digitale crackle dei multimediali Roberto Masotti e Robin Neko un’ulteriore espansione dell'interconnessione umano-tecnologica riunita sotto l’insegna della tattilità spontanea, insieme alla disponibilità tout court. Fra questi poli vi è tutta una sana bio-varietà (anche ironica) di strategie, interferenze e soluzioni foniche combinatorie - fra le altre, l’interessante confronto tra i due bassi (elettrico) di Del Piano e (acustico) della Bolognesi. Le altre 10 improvvisazioni della seconda sessione acustica si basano invece sulla coppia Del Piano e Marco Colonna, cui si aggiungono Stefano Giust per 2 trii e ancora Massimo Falascone per 3 quartetti. Le considerazioni generali prima esposte sono naturalmente qui estendibili, mentre, nello specifico, si vuol far presente soprattutto la piena rivelazione della sorprendente ricchezza delle possibilità espressive e creative di Marco Colonna. In Circular Worm, un trafficato duo con Del Piano, è impressionante la tensione e complicità che si genera tra la lunga, frastagliata, rapida ma estremamente sorvegliata corrente vibratoria in legato del clarinetto basso e le fantasiose interpolazioni ritmiche e timbriche del basso elettrico. Il guizzante trio di Scratch (con Giust in un pulviscolare percussionismo “sordinato”) si distingue invece per la spontanea chiarezza formale che assume, considerato che si poggia sulla pietra angolare di un minimale spasmo o brivido che regge elasticamente ogni tipo di urto e “stop and go”. In altri climi, come quello più intimo e circospetto di Ahm, si apprezza lo sviluppo lineare melodico tanto quanto nella drammatica Mirrors, anche luogo di un appassionante intervento solistico di Massimo Falascone. Roberto Del Piano è un eminente depositario delle vicende storiche della modalità espressiva in libera improvvisazione /composizione spontanea, com’è noto connotata da misteriose mappe per viaggi sonori poco o nient’affatto ‘organizzati’, dunque da una continua e resistente dedizione alla formulazione di avvincenti ipotesi, richiesta anche nell’attività della fruizione. E per consuetudine è una modalità sempre orientata verso un radicale scavo (e ripensamento) strumentale per ampliare lo spettro sonoro e quindi rendere più complesso e ricco l’intreccio di una suprema sintesi creativa. Insomma, un’attitudine che si direbbe quasi di “scienza alchemica” che, come tale, richiede un alto profilo delle personalità partecipanti per poter padroneggiare l’accentuata necessità di centratura, bilanciamento e chimica delle sue mobilissime componenti. Del Piano ha perciò riunito in questa notevole produzione due illustri formazioni, in altrettante sessioni cronologicamente distanti quasi 3 anni, entrambe registrate da Paolo Falascone nello storico studio Mu. Rec di Milano per la casa di produzione parigina di Julien Palomo. La maggior parte dei musicisti qui coinvolti sono inoltre compartecipanti in due recentissime esperienze collettive 'aperte' - quelle della TAI Orchestra e delle prime due edizioni del Clockstop Fest tenutesi a Noci (BA) in maggio 2015 e in maggio 2016 - a cui si può guardare con quello spirito di protensione e fiducia che si diceva all'inizio." Donatello Tateo, Tracce Di Jazz, 2016.
DISC ONE
01 _ Né Cane Né Gatto 2:00
02 _ Musimprop 4:37
03 _ Je m'appelle Donatien, je suis né le 2 juin 5:34
04 _ Sophisticated Sergio 2:55
05 _ Scarliga Merluss 7:45
06 _ Four Hands Double Bass 7:32
07 _ Michel 5:54
08 _ Waisviz 9:07
09 _ Swami Takabanda 6:09
10 _ In Memoria Di Riccardo Rovestelli 5:18
DISC TWO
01 _ Meeting In Milan 3:36
02 _ Scratch 4:07
03 _ For Strings And Reeds 5:01
04 _ Polyphonic Organization 5:46
05 _ Quiet Place 7:04
06 _ Tired Blues 4:03
07 _ Mirrors 6:25
08 _ Ahm 3:39
09 _ Eyeliner 8:49
10 _ Circular Worm 8:46
(C) + (P) 2016