CHIMERA
VINCENZO RAMAGLIA (Massimo Ceccarelli, Renato Ciunfrini, Stefano Giust)
(Setola di Maiale non opera come distributore. Il titolo che segue include alcuni musicisti presenti nel catalogo setolare: è questa l'unica ragione per cui lo trovate qui)
CD jewel box
Vincenzo Ramaglia _ composizione
musicisti:
Massimo Ceccarelli _ contrabbasso _ loop station
Renato Ciunfrini _ sax sopranino _ sax soprano _ sax contralto
Stefano Giust _ batteria
Vincenzo Ramaglia è un compositore di musica classica contemporanea che vive a Roma. Chimera è una composizione per contrabbasso/loop station e duo sax/batteria di improvvisazione libera. Estrapolando liberamente dalle note di copertina del libretto che accompagna il cd, si legge che "Le parti del contrabbasso - suonate e sovraincise con la loop station - sono tutte rigorosamente scritte sovrapponendo in partitura frasi che impiegano gran parte delle tecniche più ardite di produzione del suono da parte del contrabbasso, approfondite in un avido studio di Ramaglia delle pagine di Stefano Scodanibbio, il più straordinario indagatore di questo idioma. E così tremoli, trilli, bicordi, glissandi di armonici, movimenti circolari dell’arco, corde libere, remoti bordoni, posizioni anticonvenzionali dell’arco e delle mani, stilemi sonori che nelle partiture di Scodanibbio sono meravigliosamente sospesi nel vuoto, nella loro irripetibilità, qui si moltiplicano e si giustappongono in una tessitura ipnotica e rarefatta di sonorità inusuali. Grazie alla preziosa sensibilità del contrabbassista Massimo Ceccarelli nei confronti della sperimentazione sonora, Ramaglia ha aggiornato e integrato questi stilemi con ulteriori tecniche (come la percussione delle corde con una bacchetta gommata, o la produzione di sibili e rombi sfiorando la cordiera con l’arco). Il secondo espediente con cui ha cercato di contrapporre varietà a modularità consiste nel differenziare il più possibile un loop dall’altro. Quasi sempre, in Chimera, ogni singola frase è una sorpresa rispetto alla precedente e non concede indizi sulla successiva. Eppure, a livello combinatorio, funziona sia con la precedente che con la successiva (producendo, al suo sovrapporsi, una suggestione altra rispetto alle singole frasi o alla loro somma; questo procedimento è particolarmente intrigante, perché mette progressivamente in luce le potenzialità combinatorie più inaspettate e sotterranee di un loop. Se infatti una frase di armonici soffusi, lontani e irreali si combina perfettamente con un tema pizzicato dal sapore jazzistico, questo significa che entrambe le frasi nascondono inconsapevolmente l’una la possibilità dell’altra. Contengono in sé già da sempre (come direbbe Heidegger) il proprio opposto. È lo stesso principio delle “figure ambigue”: si guarda il volto barbuto e occhialuto di un uomo, e non ci si accorge che i suoi tratti celano un sensuale nudo femminile (anzi, lo sono già). La terza scelta, contro la ciclicità imposta dalla loop station, è la più coraggiosa. Almeno per un compositore abituato a prestabilire tutto sulla carta, fin nei minimi dettagli. Con Chimera, Ramaglia sperimenta infatti per la prima volta una forma mista tra partitura e improvvisazione, tra la rassicurante certezza dell’inchiostro e l’aleatorietà dell’estemporaneo, tra previsto e imprevisto. Ed ecco il mostro mitologico, la creatura di laboratorio, il fossile mal ricostruito farsi sempre più complessi, caleidoscopici, bizzarri. In ciascuno dei 7 brani – strutturalmente molto simili, quasi a portare alle estreme conseguenze un’idea – il contrabbassista costruisce pazientemente da solo (con i pedali della loop station) l’elaborato tappeto sonoro di base. Dopodichè, continuando a leggere in partitura ma senza più registrare loop, suona sopra quel tappeto frasi finalmente libere dalla modularità. È qui che intervengono sax e batteria, che contrappongono alla stratificazione dei loop (che continuano a rifrangersi come onde), la libera e vitale imprevedibilità dei percorsi che imboccano. Anche la scelta degli improvvisatori, dopo averli ascoltati dal vivo, è stata essenziale. Rispetto all’esigenza di sovvertire la ciclicità dei loop, Ramaglia ha trovato perfettamente funzionale il modo elegantemente borderline di Stefano Giust di gironzolare con la batteria intorno all’idea ritmica, suggerendola senza mai affermarla, negandola senza mai rifiutarla, intraprendendo strade sempre cangianti e avvincenti. Ramaglia ha subito individuato nell’approccio materico, instancabilmente perlustrativo ed estremo di Renato Ciunfrini ai suoi sax l’immediata traduzione in termini improvvisativi della ricerca timbrica e della riflessione sul suono approfondite sul contrabbasso in partitura. Multifonici, utilizzo della voce durante l'emissione del suono, campana appoggiata su una pelle di tamburo, strumenti suonati senza bocchino (o addirittura bocchini suonati senza strumento), più strumenti suonati contemporaneamente, oggetti vari inseriti nella campana, superacuti ottenuti poggiando la campana sul polpaccio... sono solo alcune delle tecniche utilizzate sui tre sax (sopranino, soprano e contralto), durante la registrazione. Un po’ per gioco, nell’atmosfera al tempo stesso ludica e creativa che si respirava in studio, il compositore ha suggerito un paio di parole-guida prima di ogni improvvisazione (ad esempio: “blues cubista”, “soft tribale”, “noir frivolo”, “apocalittico catartico”). La netta impressione è che questo scherzo abbia avuto delle interessantissime ripercussioni sonore. L’osmosi è avvenuta. Ne è nata una sorta di psichedelia atmosferica e (per quanto talvolta l’ascoltatore possa dubitarne) esclusivamente acustica, che racchiude elementi di minimalismo, indagine scodanibbiana, poliarmonie e poliritmie novecentesche, free jazz, arte del loop, free improvisation, ambient... Ne è nata una chimera".
"(...) “Formaldeide” era opera prima più che positiva. Albo intrigante non poco, gustoso e coraggioso, nel suo sdoganamento/svecchiamento dalla/della questione contemporanea/colta. Un'agile debutto, che probabilmente non avrà fatto drizzare le orecchie a chi si occupa di suoni integralisti di settore (talvolta due palle tante in onestà...), ma avrà intrigato (si spera...) più di un'ascoltatore, proveniente da territori altri. Allo sfoggio tedioso di mostrine e riconoscimenti appuntati sul bavero della giacca, o appesi bellamente incorniciati nello studio, Vincenzo Ramaglia sceglie l'opzione della ricerca continua e curiosa. “Chimera” è una partitura per contrabbasso e loop station ai cui lati si interviene con taglio libero. Escono di scena gli esecutori (più legati all'accademia...) di “Formaldeide”, e ci si affida a musicisti sensibili ed istintivi come Renato Ciunfrini (ai soffi), Stefano Giust (batteria) e Massimo Ceccarelli al contrabbasso. Si ottiene cosi un movimento progressivo stratificato, che genera un'unica amalgama sonora, elegante ed atmosferica, dove non s'intravedono zone d'ombra monotone. Uno svolazzo suggestivo di pulsioni, dove il blues trascolora nell'avanguardia, ed il jazz si riflette in digressioni cameristiche. Ciunfrini e Giust strattonano il corpo suono, pazientemente creato da Ceccarelli con i pedali del loop, tirandogli gentilmente i lembi della giacca. Senza invasioni, senza traumi, non saranno musicisti pluridecorati a livello istituzionale ma nell'universo impro (e non solo. Andate a sentirvi la loro produzione singola, vi strabilierà per varietà di linguaggi e forme...) siamo nel campo dell'eccellenza. Un suono noir fortemente cinematico, avvolgente e vellutato, che si piazza dalle parti di una strana, penetrante, lisergia ambientale, invero stupefacente. Ciunfrini con i suoi sax (sopranino, soprano e contralto), taglia sottili lamine di free, Giust risponde anch'esso free, e rilancia, producendosi in suggestioni afro/americane, rapide, incisive ed obliquamente cubiste, Ceccarelli pazientemente, elabora la base dalla quale poi si slega, confrontandosi libero con gli altri strumenti. Partitura, modularità ed interventi free sempre abilmente trattenuti. Il risultato è un'inebriante mistura, dove son rintracciabili influenze Mingus, Sun Ra, Scodanibbio e Badalamenti, traslati in un aliena visione oppiaceo/cameristica. Gira alla perfezione “Chimera”, ed espone una forma/composizione futuribile, che merita di esser indagata a fondo. Fra i lavori dell'anno. Complimenti Vincenzo! Complimenti Massimo, Renato e Stefano!" M. Carcasi, Kathodik 2009.
"(...) Alcuni mesi fa avevo ascoltato e recensito “Formaldeide” di Vincenzo Ramaglia e l’avevo trovato molto piacevole oltre che piuttosto interessante, ma mai più mi sarei aspettato di trovarmi a recensire un piccolo capolavoro come “Chimera”. Tanto per liberare il campo da ogni dubbio, Ramaglia esce da quello stesso conservatorio di “Santa Cecilia” famoso anche grazie ad allievi come Morricone e l’ho scritto già una volta, ma giova ricordarlo perché è ora non è vero che “siamo tutti uguali” e che “siamo tutti intelligenti e bravi”, queste sono cazzate che vanno bene per la prima elementare o per gente come Rutelli. Non è vero che basta che uno scriva “composed” per dire che un disco è composto, non è assolutamente vero che se uno menziona serialismo, minimalismo allora ha la conoscenza o le basi necessarie per poterne parlare, insomma, come diceva qualcuno: “non è vero che tutti nasciamo imparati”. Molti “imparati ci diventano” e spesso per diventarlo si passa attraverso un percorso, allo stesso tempo è vero che quel percorso molte volte non porta da nessuna parte anzi, impoverisce e brucia “le migliori menti della mia generazione” (e non cito i Nomadi). Detto questo, il lavoro di Ramaglia pur collocandosi a pieno diritto nella musica contemporanea non fa per questo parte di una di quelle mattonate soporifere che a meno che uno non sia in grado di seguirle uno spartito, allora sono scarsamente fruibili per l’orecchio di un ascoltatore “normale”. “Chimera” è molto melodico, a suo modo semplice ed a tratti quasi commovente, il disco riesce a fare dei suoi contrasti il proprio punto di forza. Si tratta di una partitura per contrabbasso e loop-station sulla quale vanno ad innestarsi degli interventi improvvisativi di batteria e di sax. Come giustamente mette in luce il compositore romano, il limite tecnico della loop-station è il confine stilistico del minimalismo, quello che in molti casi porta alla monotonia, alla noia ed all’appiattimento in funzione dell’elaborazione strutturale. Nel lavoro di Ramaglia la scelta del loop ed il contrabbassismo di Massimo Ceccarelli si sposano magnificamente così bene che spesso scaldano già a sufficienza l’esecuzione, il fatto è che su una trama già ottima Giust e Ciuffrini si inseriscono in modo favoloso, non che avessi dubbi in merito, ma a giudicare dal risultato direi che fossero in pieno stato di grazia. Proprio in virtù di questo stato di questo connubio così ben riuscito, ogni stortura, ogni piccola dissonanza suona in modo splendido facendo montare costantemente una tensione che alla fine non esplode e che forse non avrebbe senso fare sbottare. L’effetto finale ovviamente sfocia nello psichedelico ma non perde la raffinatezza dell’arrangiamento che si mantiene ad alto livello dalla prima all’ultima traccia. Premesso che le definizioni lasciano sempre il tempo che trovano (mentre un passaggio sulla sua pagina myspace potrebbe essere più illuminante di mille recensioni), in “Chimera” si incrociano musica contemporanea, scorie di jazz allo stato più avanzato, psichedelia, calore ed un fortissimo senso per la melodia." A. Ferraris, Sands-zine 2008.
"(...) Il sogno irraggiungibile e irrealizzabile, la creatura mitologica formata da diverse parti di animali, queste ed altre accezioni si possono attribuire alla parola chimera, termine che ha influenzato il secondo lavoro di Vincenzo Ramaglia. Forse sarebbe più corretto dire che ciò che ha ispirato il compositore romano non è tanto il termine di per se ma ciò che esso esprime e rappresenta: l’insieme unico e inarrivabile composto da parti differenti. Nel suo nuovo lavoro Ramaglia mette insieme elementi sonori distanti tra loro per dar vita a qualcosa di impossibile. Free-jazz, arte del loop, poliarmonie e poliritmie novecentesche, free improvvisation e tutto quello che sgorga dal suo background,non sono altro che gli elementi combinatori che danno vita alla creatura pulsante che stride e si dimena tra cuore e cervello. Si perché a differenza del suo primo lavoro (Formaldeide) , dove tutto era congelato ed ovattato, Vincenzo crea qualcosa di estremamente vivo, spigoloso, ipnotico e contraddittorio ma che incredibilmente funziona. Per dar vita alla sua musica elaborata ed introspettiva, si affida, come al solito, ad ottimi musicisti, grazie ai quali l’universo cerebrale creato da Ramaglia viene squarciato da materiche scaglie palpitanti. Chimera è una partitura per contrabbasso e loop station nella quale si innestano improvvisazioni di sax e batteria. Il segreto è proprio qui; un tappeto sonoro psichedelico, modulare e ciclico creato appunto dal contrabbasso e dall’uso della loop station di Massimo Ceccarelli, sul quale irrompono i suoni estemporanei ed estremi dei sassofoni di Renato Ciunfrini e della batteria funzionale e ricercata di Stefano Giust. Le sensazioni provate ascoltando questo cd, sono diverse e probabilmente cambiano in base all’ascoltatore.Quello che personalmente ho riscontrato è l’alto potere filosofico che questa musica riesce ad esprimere, perchè in fondo siamo tutti delle chimere, strutturati da pensieri e sentimenti diversi e a volte contrastanti tra loro, siamo le creature imperfette in continua mutazione, proiettati e persi nella continua ricerca del perfetto equilibrio tra anima e corpo. Vincenzo Ramaglia non ha fatto altro che mettere in musica la follia e la genialità dell’essere umano." Kiriku, Blogbuster, 2008.
"(...) Prosegue il cammino sperimentale per Vincenzo Ramaglia, dopo “Formaldeide” del 2007 è la volta di “Chimera”. L’artista romano realizza nuovamente un prodotto di elevata fattura musicale e culturale, dove il suono catalizza l’attenzione mentale di chi ascolta. In questo contenitore musicale partecipano musicisti come Massimo Ceccarelli (contrabbasso), Renato Ciunfrini (Fiati, basso ed oggetti vari) e Stefano Giust (batteria e componenti elettronici). Gli strumenti colloquiano fra di loro alternandosi e ritrovandosi in un susseguirsi d’improvvisazioni. Si raggiungono e si lasciano, sopra un tappeto apparentemente psichedelico. “Chimera” è suddiviso in sette tracce, tutte sulla media di sette minuti di durata. Ma cosa ci vuole raccontare l’autore con la parola Chimera? In essa si celano numerose immagini, a volte misteriose ed altre grottescamente fantasiose. Le note si amalgamano esprimendo sensazioni suggestive, ci narrano di pesci abissali, di mitologia, un insieme di molecole descritte come note. Questa parola ci suggerisce diverse immagini sonore, ma in definitiva non è altro che il principio della composizione. Sembra una sfida, un inoltrarsi in un territorio sonoro sconosciuto. In pratica “Chimera” non è altro che il proseguo strutturale incominciato l’anno scorso con “Formaldeide”. Suoni minimali ma che riescono a strappare alla nostra mente delle sensazioni visive astratte e fantasticamente bizzarre. Non siamo dunque qui a tessere le lodi di chissà quali melodie, non cercate ritornelli, non c’è da battere il piede dietro a nessun ritmo in particolare, qui c’è l’anima di un artista che come con una macchina fotografica coglie l’attimo e fotografa una sensazione. Per capire la sperimentazione al meglio, porto l’esempio di Massimo Ceccarelli, il quale (come descritto nel bell’artwork) utilizza la percussione delle corde con una bacchetta gommata, oppure produce sibili e rombi, sfiorando la cordiera con l’arco. C’è da sottolineare anche lo sforzo di Ramaglia nel cercare di unire la partitura con l’improvvisazione, cosa di non facile realizzazione. Il Sax gioca con se stesso, realizzando suoni astratti. Le percussioni sono quelle che colpiscono di più a causa del loro modo di esibirsi, intraprendono un percorso ritmico per poi lasciarlo e raggiungerlo nuovamente in diversi stadi della composizione. In conclusione vi consiglio di ascoltare “Chimera” con il proprio libretto nelle mani, in esso infatti vengono descritte chiaramente le sensazioni e la rappresentazione dei brani, in questa maniera si può godere a pieno dell’operato artistico proposto. Un encomio personale a questo artista, il quale cerca di intraprendere nuovi percorsi musicali, di catturare sensazioni che, colte nell’attimo fuggente, vengono immortalate fra i solchi ottici di questo cd." Massimo Salari, Rock-Impressions, 2008.
"(...) La Chimera del compositore romano Vincenzo Ramaglia è una curiosa creatura che si coagula in immagine astratta tramite architetture loop-based e suggestioni di paesaggi ambient dalle timbriche sciarriniane; contrappuntata dalle trame subdole e disorientanti del contrabbasso di Massimo Ceccarelli ed infine fatta deragliare da inserti improvvisati di free-jazz cubista via sax e batteria. Ma prima ancora è l'esplorazione maniacale di un'idea, rappresentata attraverso sette angolature/escursioni diverse. Le sottili cartilagini del precedente Formaldeide (di cui 3 potrebbe benissimo essere un outtake) qui si ritrovano a fronteggiare semmai un sottobosco sfuggente di suoni dispersi e accennati (2) via via sempre più frastagliato e minaccioso sino a raggiungere quasi livelli da baccanale (6). 7 è esemplificativa dell'intero programma, nel suo divagare senza meta, trascinandosi per addizioni sonore di piccoli gesti, nel suo accumulare reperti proto-musicali che sembrano provenire da un sound-check di alieni appassionati di Anthony Braxton o Eric Dolphy. E ad un tratto tutto tace. La sensazione sgradevole e al tempo stesso affascinante di essersi persi qualcosa per strada. Questa seconda, prova di Ramaglia tiene fede al suo nome soprattutto nel suo modo porsi alle orecchie altrui forzando la messa a punto di una strategia d'ascolto particolare (per inciso: una delle linee guida del Varese-pensiero) che sappia far apprezzare, sposare e far collidere la trance preziosa della musica d'ambiente, la modularità infinita di quella minimale e il fascino estemporaneo l'alea dell'evo post-jazz. Ci sono musiche che si limitano a carezzare le orecchie e basta (molto spesso si comporta così la musica pop). Altre sono così emotive – anche semplicissime – che sembrano parlare direttamente al cuore dell'uomo (come le gimnopedie di Satie); in certi casi – penso a certo death metal – pare che i musicisti vogliano addirittura stimolarne/esaltarne solo gli istinti più bassi (che gli antichi credevano avessero la loro base nel fegato). Moltissime composizioni si meritano (e ricercano, spesso) l'appellativo di cervellotiche. In maniera opposta troviamo canzoni che sono solo un pretesto per scatenare le danze. Sono stereotipi. Appunto. Che i dischi “colti” di ricerca sono (sarebbero) chiamati a far vacillare con onestà e intelletto. Il problema (e la bellezza) con questa Chimera è che non sai mai quale sia l'organo “giusto” da usare." Corrado Nizza, Artists and Bands, 2008.
"(...) La musica di Vincenzo Ramaglia si muove con l’effetto di un antidoto. Fuggendo ogni banalità, ogni possibile strada facile, con singolare purezza d’intenti trova il mirabile punto d’incontro tra jazz d’avanguardia e musica contemporanea. Musica nuova, scriveva un tempo il mio maestro, musica da non consumare. Il compositore romano, avvalendosi dello straordinario talento del multistrumentista Renato Ciunfrini, tende, declina i possibili significati del mito della chimera in sette riflessioni, ricette del pensiero, per il pensiero. In significanti assai alti, dove la poetica della musica nuova degli anni 60, da Giuseppe Logan a Vinko Globokar, dal Michel Portal con l’elmetto da esploratore, ancora bagnato dalle sacre acque darmstadiane e ricco di incensi della Foresta Nera, a Sun Ra, al Mingus in odore di santità, e poi ancora Stockhausen ebbro di riverberi ed essenze lignee… Nulla è dato per scontato in questi sette brani. E se Vincenzo nelle argute note di copertina ci ricorda tra le righe che al principio era il verbo, qui si riporta, giustappunto, il nocciolo della riflessione proprio sul significato primario, originale del verbo stesso. Troppo abituati a quella parola scritta (qui potremmo traslare in registrata, dal sapor di conserva alimentare) che come ricordava Carmelo Bene trattasi di sepoltura, tumulazione dell’orale. Qui invece, si recupera quella freschezza dell’effimera compiutezza del gesto, della foné nell’attimo stesso in cui l’oeuvre viene espletata: l’irripetibile, intenso infinito dell’attimo non già fuggente bensì fuggito. Derek Bailey ben ebbe a riflettere su tutto ciò. Osceno pesce dalle mutevoli forme zoomorfe, fuggevole creatura che visita nottetempo, archetipo dionisiaco del confine negato. Basso, come basso il ventre vuol essere, il contrabbasso qui marea in continuo moto perpetuo, come liquido assume la forma del recipiente che lo contiene, ancora in estasi nevrotica affidato al talento sorprendente e acuto, “walking bass in a road to nowhere”, di Massimo Ceccarelli. Un disco “not for the faint of the heart”, ma che può essere letto con l’innocenza di un bambino, o la competenza di un saggio. Spesso la stessa cosa. Complimenti davvero." Massimo Marchini, Ondarock 2008.
"(...) Ci vuole coraggio e caparbietà nel proporre una musica così innocente e pura e inocularla come vaccino in un mercato infetto come quello attuale. Ma tanto di cappello per un disco innovativo e schietto che ha radici nella musica improvvisata, da Gunter Hampel a Michel Portal, da Vinko Globokar a certe esperienze inebrianti targate ESP di ormai tante, troppe dacadi fa. C'è un mirabile punto d'incontro allo zenith del cielo stellato del jazz intelligente e improvvisato e della musica contemporanea. Questo lavoro rivela dedizione e competenza, idee ed emozione. Da segnalare i fiati illuminati di Renato Ciunfrini, compagno di merende musicali assai oblique che con passione delinea universi sonori arcani e antroposofici. Davvero toccante. (8)" Massimo Marchini, Rockerilla, novembre 2008.
"(...) Vincenzo Ramaglia ama viaggiare. Leggendo i post del suo blog, si capisce che il viaggio rappresenta una sua necessità culturale, esistenziale e artistica. Viaggia volentieri con i suoni , anzi: esplora. Organizza “spedizioni” trovando i musicisti “di cordata” disposti a raggiungere luoghi sonori inesplorati. Per fare un viaggio del genere, il compositore deve essere totalmente indipendente, libero, non solamente nell’atto creativo, ma anche nella realizzazione concreta del progetto, dalla registrazione fino alla produzione e distribuzione del cd (purtroppo i produttori guardano il mercato e gli sponsor i grandi numeri della società di massa). Vincenzo appartiene a quel genere di architetti che “immergono” le mani nella materia che intendono usare. Collabora con i costruttori. Non li guarda da lontano chiuso nel suo studio immacolato. Entra nell’officina sonora! Anzi crea nella stessa e, in Chimera, si spinge oltre: lascia ai musicisti Ceccarelli, Ciunfrini e Giust ampi spazi di improvvisazione. Così l’opera sfugge, volutamente, ai controlli rigorosi del creatore. Il dna è e non è nella alchimia creata, la somma di dna diversi: Chimera, appunto. Se la musica sfugge alle definizioni e, quindi, anche alle parole… non mi resta altro da dire che l’ascolto di Chimera, oltre il comune sentire, è consigliato." Valerio Loraschi, compositore, Albero della Musica 2008.
"(...) Prima di "Chimera" ho letteralmente "consumato" (termine con il quale si definiva l’uso quotidiano dei vinili 33 e 45 giri) "Formaldeide", il precedente lavoro di Vincenzo Ramaglia. L’ascolto di entrambi i lavori subito mi mette nella condizione di "percepire il mondo" salendo in una dimensione parallela come metafora credibile del reale. La musica annuncia. Come un gioco di specchi nel quale il mio e quello di vincenzo si riflettono, si definiscono, si registrano e deformano. Spesso un complesso gioco di specchi offre una ricca visione, in quanto inattesa e profetica. La musica scorre e si definisce un luogo dove cominciano i mutamenti e dove secerne la scienza. Una violenta successione di immagini-emozioni-immagini. Molto più dei colori e delle forme, i suoni plasmano le società. Con il rumore è nato il disordine e il suo contrario: il mondo. Con la musica è nato il potere e il suo contrario: la sovversione. Nel rumore si leggono i codici della vita, i rapporti fra gli uomini. Clamori, Melodia, Dissonanza, Armonia; quando è plasmato dall’uomo con strumenti specifici, quando è suono, il rumore diventa fonte di progetto e di potenza, di sogno ("Chimera"): musica. Rientro in loco, mi rimetto a terra, mi siedo. Grazie Vincenzo per la bella musica e per il viaggio donatomi." Pericle Odierna, compositore, Albero della Musica 2008.
"(...) Corpuscoli di armonici messi in loop in modo da creare forme cicliche che inseguono le parti di un contrabbasso, sporcate qua e là da interventi di un sax e una batteria. L'estetica del contrasto di Ramaglia già presente nel lavoro precedentemente recensito ("Formaldeide") si rinnova anche in questo "Chimera". L'interesse di questa visione può risiedere appunto nella compresenza di un dualismo di generi che invece di fondersi in modo scontato, si respingono o si attraggono. Qui l'improvvisazione para-jazzistica, le manipolazioni elettroniche e la scrittura "rigorosa" sono gli elementi che animano sette movimenti costruiti in forma di suite. Fulcro sonoro il contrabbasso di Massimo Ceccarelli, attorno al quale si muovono con discrezione il multisassofonista Renato Ciunfrini e Stefano Giust alla Batteria. (7/8)" Michele Coralli, Blow Up, ottobre 2008.
"(...) La nuova e curatissima autoproduzione Chimera del compositore romano Vincenzo Ramaglia, mette a confronto l'improvvisazione cangiante di sax (Renato Ciunfrini) e batteria (Stefano Giust) con partiture per contrabbasso (Massimo Ceccarelli) e loop station, creando una mutevole dissonanza fra figure libere e reiterative. Un singolare esperimento, arricchito da idee e stimoli personali dei musicisti." Vittore Baroni, Rumore, novembre 2008.
"(...) Dopo l'ottimo 'Formaldeide' continua la discesa di Vincenzo Ramaglia nell'antro della sperimentazione con un album che abbandona la musica da camera per dirigersi nel territorio di un jazz improvvisato che vede partecipi un tris d'assi di tutto rispetto composto da Massimo Ceccarelli al contrabbasso, Stefano Giust alla batteria e ai fiati di Renato Ciunfrini. Il risultato è tanto ambiguo quanto la parola che dà il titolo all'album: le note e le strutture colpiscono l'ascoltatore e gli sfuggono lasciando spazio a un continuo susseguirsi di impressioni sonore e di suggestivi ambienti musicali. 'Chimera' è un disco che nasconde una vera e propria esplosione mascherandola da calma raffinata, un ascolto non certo semplice ma che riesce a dare un'idea del favoloso lavoro di ricerca intrapreso da Ramaglia, che cattura in questo nuovo lavoro una visione tanto personale del jazz quanto aperta e libera, come dimostra l'ottimo risultato raggiunto dai musicisti coinvolti, capaci di dare vita e senso a un progetto artistico con estro e condivisione. Le sette tracce che compongono il disco sono miniera di spunti e sensazioni, specchi di uno studio sulla musica tanto accurato quanto lanciato verso il divenire della musica stessa e al quale non resta che applaudire." Daniele Guasco, Rocklab, 2008.
"(...) Vincenzo Ramaglia, trentenne compositore romano, arriva alla sua seconda registrazione con questa partitura dal titolo Chimera, opera per contrabbasso e loop station, con interventi improvvisativi di sax e batteria. Il cd è diviso in sette tracce di durata e struttura piuttosto simili. Ciascuno dei brani inizia con il contrabbasso che costruisce un tappeto sonoro di base per poi sviluppare l’idea tematica, quindi intervengono sax e batteria che si contrappongono improvvisando per lo più in modo libero e timbrico. La scelta dei tre strumentisti è tutto tranne che casuale: il “solista” Ceccarelli si dedica al lato lirico del proprio suono e all’orchestrazione digitale dei temi, mentre due noti improvvisatori dal suono personale come Ciunfrini e Giust curano il lato “imprevisto” dell’opera. Un risultato dai colori tenui con tratti psichedelici." A. Cartolari, Live Electronics 2008.
"(...) Sogno inefferrabile ed impossibile, ecco l'essenza della chimera. Ed ecco anche una delle più spietate tra le possibili definizioni del contemporaneo comporre musica. La composizione infatti oggi si configura sempre di più come la rincorsa di un'irraggiungibile illusione. (...) Non può quindi che risultare assai significativo il fatto che Vincenzo Ramaglia, compositore romano di formazione pienamente accademica ma che dall'accademia ha mantenuto un sano distacco, abbia intitolato Chimera il proprio ultimo lavoro compositivo e discografico. (...) E così nelle sette tracce del disco di Ramaglia si realizza l'unione tra elementi di natura musicale diversissima: il composto/interpretato e l'improvvisato, il predeterminato e l'imprevisto. Ogni pezzo di Chimera è una fiaba e come per tutte le fiabe ogni traccia (...) inizia con un proprio «c'era una volta». La struttura iniziale che ricorre sette volte nel disco è infatti quella per cui il contrabbasso di Massimo Ceccarelli interpreta delle frasi scritte, registrandole e sovrapponendole progressivamente con una loop station (...) su cui i sassofoni di Renato Ciunfrini e la batteria di Stefano Giust sono chiamati ad improvvisare. (...) Questi sono i contesti della favola e i tempi che l'autore ha scelto per ogni capitolo. I due personaggi che si sono trovati a viverli, però, erano completamente anarchici e l'unico controllo che l'autore ha avuto su di loro si è esaurito nell'atto della creazione. Così Ciunfrini e Giust si sono trovati a muoversi liberissimamente tra i loops di contrabbasso. E le diverse atmosfere dei vari inizi hanno ottenuto dagli improvvisatori atteggiamenti musicali anche molto distanti. Dall'aggressivo starnazzare del sax e dell'entropia ritmica della seconda traccia al melodiare sovracuto unito a una pulsazione ritmica (quasi) stabile della sesta. Per un risultato musicale cangiante e multiforme che, a rigore, ben si potrebbe definire chimerico." Zeno Gabaglio, Azione, Svizzera 2008.
01 _ 6:39
02 _ 6:36
03 _ 7:28
04 _ 7:06
05 _ 7:16
06 _ 6:13
07 _ 7:53
(C) + (P) 2008
(Setola di Maiale does not operate as an official distributor of recorded materials; some of the following artists are also contained in our music catalogue and that's the reason why you find this title in this section)
CD jewel box
Vincenzo Ramaglia _ composition
musicians:
Massimo Ceccarelli _ doublebass _ loop station
Renato Ciunfrini _ sopranino sax _ soprano sax _ alto sax
Stefano Giust _ drums
Vincenzo Ramaglia is a composer living and working in Rome. Chimera is a long composition for a doublebass/loop station player and two improvisers on sax and drums. In the booklet which accompanies the cd, Ramaglia wrote, among other things: "I have tried to conceive my personal acoustic ambient – more experimental, explorative, extreme – superimposing in score phrases which use most of the boldest techniques of sound production by the double-bass, deepened by an eager study of the pages of Stefano Scodanibbio, the most extraordinary enquirer into this idiom. So tremoli, trills, bichords, glissandi of harmonics, circular movements of the bow, open strings, remote bourdons, non-conventional bow or hands positions, sound stylemes that in Scodanibbio's scores are wonderfully suspended in space, in their uniqueness, here increase and juxtapose in a hypnotic and rarefied structure of unusual sonorousnesses. Thanks to the double-bass player Massimo Ceccarelli's precious sensitivity towards sound experimentation, I updated and integrated these stylemes with further techniques (like strings percussion by a rubber stick, or whistles and roars production by skimming the tailpiece with the bow). I tried to oppose variety to modularity with a second shift. It consists in making as different as possible a loop from another. Almost every single phrase, in Chimera, is a surprise as regards the former one and does not grant indications about the next one. Nevertheless, at combinatorial level, it works both with the former and the following (producing, in its superimposition, another suggestion in respect to single phrases or to their sum, always through that alchemical sorcery I referred to). I find this process particularly involving, because it progressively brings to light the most unexpected and secret combinatorial potentialities of a loop. In fact, if a phrase of spread, far and unreal harmonics perfectly fits in a pizzicato jazz-tasty theme, this means both phrases unconsciously hide one the possibility of the other. They always-already (as Heidegger would say) hold in themselves their own contrary. It's the same principle of "ambiguous figures": you look at a bearded face with glasses of a man and you don't realize his features hide (or better, already are) a sensual female nude. The third choice, against the cyclicity imposed by the loop station, is the most courageous. At least for a composer accustomed to pre-arrange everything on paper, even in the slightest details. With Chimera in fact I experiment for the first time a mixed form between score and improvisation, between the reassuring certainty of ink and the hazard of extemporariness, between the expected and the unexpected. And here the mythological monster, the lab creature, the badly reconstructed fossil become more and more complex, kaleidoscopic, odd. In each of the seven pieces – structurally very alike, as to bring an idea to extreme consequences – the double-bass player patiently builds alone (with the loop station pedals) the elaborate sound base carpet. After that, going on reading in score but without recording any more loops, plays on that carpet phrases at last free from modularity. Here perform sax and drums, that oppose to the stratification of the loops (which continue to be refracted like waves), the free and vital unpredictability of the ways they enter. Also the choice of the improvisators, after having listened to them live, was essential. About the necessity to subvert the loops cyclicity, I've found perfectly functional Stefano Giust's smartly borderline way to wander with the drums about the rhythmic idea, suggested but never asserted, denied but never refuted, always finding changing and fascinating ways. I've immediately discovered in Renato Ciunfrini's materic, tirelessly patrolling and extreme approach to his saxophones, the immediate translation into improvisational terms from timbre search and reflection on sound deepened in score by the double-bass. Multiphonics, use of the voice during sound emission, bell put on a drum skin, instruments played without mouthpiece (or even mouthpieces played without instrument), many instruments played at the same time, various objects put inside the bell, very high notes obtained leaning the bell on the calf... They are only some of the techniques used on the 3 saxophones (sopranino, soprano and alto) throughout recording. Just for fun, in the ludic and at the same time creative atmosphere we breathed in the studio, I suggested a couple of guide-words before every improvisation (for example: "cubist blues", "tribal soft", "frivolous noir", "apocalyptic cathartic"). My clear sensation is this joke had some very interesting sound influence. The osmosis happened. A kind of atmospheric and (even if sometimes the listener can doubt it) only acoustic psychedelia was born from it, enclosing elements of minimalism, scodanibbian investigation, free jazz, twentieth-century polyharmonies and polyrhythms, loop art, free improvisation, ambient... A chimera was born".
"(...) “Formaldeide” era opera prima più che positiva. Albo intrigante non poco, gustoso e coraggioso, nel suo sdoganamento/svecchiamento dalla/della questione contemporanea/colta. Un'agile debutto, che probabilmente non avrà fatto drizzare le orecchie a chi si occupa di suoni integralisti di settore (talvolta due palle tante in onestà...), ma avrà intrigato (si spera...) più di un'ascoltatore, proveniente da territori altri. Allo sfoggio tedioso di mostrine e riconoscimenti appuntati sul bavero della giacca, o appesi bellamente incorniciati nello studio, Vincenzo Ramaglia sceglie l'opzione della ricerca continua e curiosa. “Chimera” è una partitura per contrabbasso e loop station ai cui lati si interviene con taglio libero. Escono di scena gli esecutori (più legati all'accademia...) di “Formaldeide”, e ci si affida a musicisti sensibili ed istintivi come Renato Ciunfrini (ai soffi), Stefano Giust (batteria) e Massimo Ceccarelli al contrabbasso. Si ottiene cosi un movimento progressivo stratificato, che genera un'unica amalgama sonora, elegante ed atmosferica, dove non s'intravedono zone d'ombra monotone. Uno svolazzo suggestivo di pulsioni, dove il blues trascolora nell'avanguardia, ed il jazz si riflette in digressioni cameristiche. Ciunfrini e Giust strattonano il corpo suono, pazientemente creato da Ceccarelli con i pedali del loop, tirandogli gentilmente i lembi della giacca. Senza invasioni, senza traumi, non saranno musicisti pluridecorati a livello istituzionale ma nell'universo impro (e non solo. Andate a sentirvi la loro produzione singola, vi strabilierà per varietà di linguaggi e forme...) siamo nel campo dell'eccellenza. Un suono noir fortemente cinematico, avvolgente e vellutato, che si piazza dalle parti di una strana, penetrante, lisergia ambientale, invero stupefacente. Ciunfrini con i suoi sax (sopranino, soprano e contralto), taglia sottili lamine di free, Giust risponde anch'esso free, e rilancia, producendosi in suggestioni afro/americane, rapide, incisive ed obliquamente cubiste, Ceccarelli pazientemente, elabora la base dalla quale poi si slega, confrontandosi libero con gli altri strumenti. Partitura, modularità ed interventi free sempre abilmente trattenuti. Il risultato è un'inebriante mistura, dove son rintracciabili influenze Mingus, Sun Ra, Scodanibbio e Badalamenti, traslati in un aliena visione oppiaceo/cameristica. Gira alla perfezione “Chimera”, ed espone una forma/composizione futuribile, che merita di esser indagata a fondo. Fra i lavori dell'anno. Complimenti Vincenzo! Complimenti Massimo, Renato e Stefano!" M. Carcasi, Kathodik 2009.
"(...) Alcuni mesi fa avevo ascoltato e recensito “Formaldeide” di Vincenzo Ramaglia e l’avevo trovato molto piacevole oltre che piuttosto interessante, ma mai più mi sarei aspettato di trovarmi a recensire un piccolo capolavoro come “Chimera”. Tanto per liberare il campo da ogni dubbio, Ramaglia esce da quello stesso conservatorio di “Santa Cecilia” famoso anche grazie ad allievi come Morricone e l’ho scritto già una volta, ma giova ricordarlo perché è ora non è vero che “siamo tutti uguali” e che “siamo tutti intelligenti e bravi”, queste sono cazzate che vanno bene per la prima elementare o per gente come Rutelli. Non è vero che basta che uno scriva “composed” per dire che un disco è composto, non è assolutamente vero che se uno menziona serialismo, minimalismo allora ha la conoscenza o le basi necessarie per poterne parlare, insomma, come diceva qualcuno: “non è vero che tutti nasciamo imparati”. Molti “imparati ci diventano” e spesso per diventarlo si passa attraverso un percorso, allo stesso tempo è vero che quel percorso molte volte non porta da nessuna parte anzi, impoverisce e brucia “le migliori menti della mia generazione” (e non cito i Nomadi). Detto questo, il lavoro di Ramaglia pur collocandosi a pieno diritto nella musica contemporanea non fa per questo parte di una di quelle mattonate soporifere che a meno che uno non sia in grado di seguirle uno spartito, allora sono scarsamente fruibili per l’orecchio di un ascoltatore “normale”. “Chimera” è molto melodico, a suo modo semplice ed a tratti quasi commovente, il disco riesce a fare dei suoi contrasti il proprio punto di forza. Si tratta di una partitura per contrabbasso e loop-station sulla quale vanno ad innestarsi degli interventi improvvisativi di batteria e di sax. Come giustamente mette in luce il compositore romano, il limite tecnico della loop-station è il confine stilistico del minimalismo, quello che in molti casi porta alla monotonia, alla noia ed all’appiattimento in funzione dell’elaborazione strutturale. Nel lavoro di Ramaglia la scelta del loop ed il contrabbassismo di Massimo Ceccarelli si sposano magnificamente così bene che spesso scaldano già a sufficienza l’esecuzione, il fatto è che su una trama già ottima Giust e Ciuffrini si inseriscono in modo favoloso, non che avessi dubbi in merito, ma a giudicare dal risultato direi che fossero in pieno stato di grazia. Proprio in virtù di questo stato di questo connubio così ben riuscito, ogni stortura, ogni piccola dissonanza suona in modo splendido facendo montare costantemente una tensione che alla fine non esplode e che forse non avrebbe senso fare sbottare. L’effetto finale ovviamente sfocia nello psichedelico ma non perde la raffinatezza dell’arrangiamento che si mantiene ad alto livello dalla prima all’ultima traccia. Premesso che le definizioni lasciano sempre il tempo che trovano (mentre un passaggio sulla sua pagina myspace potrebbe essere più illuminante di mille recensioni), in “Chimera” si incrociano musica contemporanea, scorie di jazz allo stato più avanzato, psichedelia, calore ed un fortissimo senso per la melodia." A. Ferraris, Sands-zine 2008.
"(...) Il sogno irraggiungibile e irrealizzabile, la creatura mitologica formata da diverse parti di animali, queste ed altre accezioni si possono attribuire alla parola chimera, termine che ha influenzato il secondo lavoro di Vincenzo Ramaglia. Forse sarebbe più corretto dire che ciò che ha ispirato il compositore romano non è tanto il termine di per se ma ciò che esso esprime e rappresenta: l’insieme unico e inarrivabile composto da parti differenti. Nel suo nuovo lavoro Ramaglia mette insieme elementi sonori distanti tra loro per dar vita a qualcosa di impossibile. Free-jazz, arte del loop, poliarmonie e poliritmie novecentesche, free improvvisation e tutto quello che sgorga dal suo background,non sono altro che gli elementi combinatori che danno vita alla creatura pulsante che stride e si dimena tra cuore e cervello. Si perché a differenza del suo primo lavoro (Formaldeide) , dove tutto era congelato ed ovattato, Vincenzo crea qualcosa di estremamente vivo, spigoloso, ipnotico e contraddittorio ma che incredibilmente funziona. Per dar vita alla sua musica elaborata ed introspettiva, si affida, come al solito, ad ottimi musicisti, grazie ai quali l’universo cerebrale creato da Ramaglia viene squarciato da materiche scaglie palpitanti. Chimera è una partitura per contrabbasso e loop station nella quale si innestano improvvisazioni di sax e batteria. Il segreto è proprio qui; un tappeto sonoro psichedelico, modulare e ciclico creato appunto dal contrabbasso e dall’uso della loop station di Massimo Ceccarelli, sul quale irrompono i suoni estemporanei ed estremi dei sassofoni di Renato Ciunfrini e della batteria funzionale e ricercata di Stefano Giust. Le sensazioni provate ascoltando questo cd, sono diverse e probabilmente cambiano in base all’ascoltatore.Quello che personalmente ho riscontrato è l’alto potere filosofico che questa musica riesce ad esprimere, perchè in fondo siamo tutti delle chimere, strutturati da pensieri e sentimenti diversi e a volte contrastanti tra loro, siamo le creature imperfette in continua mutazione, proiettati e persi nella continua ricerca del perfetto equilibrio tra anima e corpo. Vincenzo Ramaglia non ha fatto altro che mettere in musica la follia e la genialità dell’essere umano." Kiriku, Blogbuster, 2008.
"(...) Prosegue il cammino sperimentale per Vincenzo Ramaglia, dopo “Formaldeide” del 2007 è la volta di “Chimera”. L’artista romano realizza nuovamente un prodotto di elevata fattura musicale e culturale, dove il suono catalizza l’attenzione mentale di chi ascolta. In questo contenitore musicale partecipano musicisti come Massimo Ceccarelli (contrabbasso), Renato Ciunfrini (Fiati, basso ed oggetti vari) e Stefano Giust (batteria e componenti elettronici). Gli strumenti colloquiano fra di loro alternandosi e ritrovandosi in un susseguirsi d’improvvisazioni. Si raggiungono e si lasciano, sopra un tappeto apparentemente psichedelico. “Chimera” è suddiviso in sette tracce, tutte sulla media di sette minuti di durata. Ma cosa ci vuole raccontare l’autore con la parola Chimera? In essa si celano numerose immagini, a volte misteriose ed altre grottescamente fantasiose. Le note si amalgamano esprimendo sensazioni suggestive, ci narrano di pesci abissali, di mitologia, un insieme di molecole descritte come note. Questa parola ci suggerisce diverse immagini sonore, ma in definitiva non è altro che il principio della composizione. Sembra una sfida, un inoltrarsi in un territorio sonoro sconosciuto. In pratica “Chimera” non è altro che il proseguo strutturale incominciato l’anno scorso con “Formaldeide”. Suoni minimali ma che riescono a strappare alla nostra mente delle sensazioni visive astratte e fantasticamente bizzarre. Non siamo dunque qui a tessere le lodi di chissà quali melodie, non cercate ritornelli, non c’è da battere il piede dietro a nessun ritmo in particolare, qui c’è l’anima di un artista che come con una macchina fotografica coglie l’attimo e fotografa una sensazione. Per capire la sperimentazione al meglio, porto l’esempio di Massimo Ceccarelli, il quale (come descritto nel bell’artwork) utilizza la percussione delle corde con una bacchetta gommata, oppure produce sibili e rombi, sfiorando la cordiera con l’arco. C’è da sottolineare anche lo sforzo di Ramaglia nel cercare di unire la partitura con l’improvvisazione, cosa di non facile realizzazione. Il Sax gioca con se stesso, realizzando suoni astratti. Le percussioni sono quelle che colpiscono di più a causa del loro modo di esibirsi, intraprendono un percorso ritmico per poi lasciarlo e raggiungerlo nuovamente in diversi stadi della composizione. In conclusione vi consiglio di ascoltare “Chimera” con il proprio libretto nelle mani, in esso infatti vengono descritte chiaramente le sensazioni e la rappresentazione dei brani, in questa maniera si può godere a pieno dell’operato artistico proposto. Un encomio personale a questo artista, il quale cerca di intraprendere nuovi percorsi musicali, di catturare sensazioni che, colte nell’attimo fuggente, vengono immortalate fra i solchi ottici di questo cd." Massimo Salari, Rock-Impressions, 2008.
"(...) La Chimera del compositore romano Vincenzo Ramaglia è una curiosa creatura che si coagula in immagine astratta tramite architetture loop-based e suggestioni di paesaggi ambient dalle timbriche sciarriniane; contrappuntata dalle trame subdole e disorientanti del contrabbasso di Massimo Ceccarelli ed infine fatta deragliare da inserti improvvisati di free-jazz cubista via sax e batteria. Ma prima ancora è l'esplorazione maniacale di un'idea, rappresentata attraverso sette angolature/escursioni diverse. Le sottili cartilagini del precedente Formaldeide (di cui 3 potrebbe benissimo essere un outtake) qui si ritrovano a fronteggiare semmai un sottobosco sfuggente di suoni dispersi e accennati (2) via via sempre più frastagliato e minaccioso sino a raggiungere quasi livelli da baccanale (6). 7 è esemplificativa dell'intero programma, nel suo divagare senza meta, trascinandosi per addizioni sonore di piccoli gesti, nel suo accumulare reperti proto-musicali che sembrano provenire da un sound-check di alieni appassionati di Anthony Braxton o Eric Dolphy. E ad un tratto tutto tace. La sensazione sgradevole e al tempo stesso affascinante di essersi persi qualcosa per strada. Questa seconda, prova di Ramaglia tiene fede al suo nome soprattutto nel suo modo porsi alle orecchie altrui forzando la messa a punto di una strategia d'ascolto particolare (per inciso: una delle linee guida del Varese-pensiero) che sappia far apprezzare, sposare e far collidere la trance preziosa della musica d'ambiente, la modularità infinita di quella minimale e il fascino estemporaneo l'alea dell'evo post-jazz. Ci sono musiche che si limitano a carezzare le orecchie e basta (molto spesso si comporta così la musica pop). Altre sono così emotive – anche semplicissime – che sembrano parlare direttamente al cuore dell'uomo (come le gimnopedie di Satie); in certi casi – penso a certo death metal – pare che i musicisti vogliano addirittura stimolarne/esaltarne solo gli istinti più bassi (che gli antichi credevano avessero la loro base nel fegato). Moltissime composizioni si meritano (e ricercano, spesso) l'appellativo di cervellotiche. In maniera opposta troviamo canzoni che sono solo un pretesto per scatenare le danze. Sono stereotipi. Appunto. Che i dischi “colti” di ricerca sono (sarebbero) chiamati a far vacillare con onestà e intelletto. Il problema (e la bellezza) con questa Chimera è che non sai mai quale sia l'organo “giusto” da usare." Corrado Nizza, Artists and Bands, 2008.
"(...) La musica di Vincenzo Ramaglia si muove con l’effetto di un antidoto. Fuggendo ogni banalità, ogni possibile strada facile, con singolare purezza d’intenti trova il mirabile punto d’incontro tra jazz d’avanguardia e musica contemporanea. Musica nuova, scriveva un tempo il mio maestro, musica da non consumare. Il compositore romano, avvalendosi dello straordinario talento del multistrumentista Renato Ciunfrini, tende, declina i possibili significati del mito della chimera in sette riflessioni, ricette del pensiero, per il pensiero. In significanti assai alti, dove la poetica della musica nuova degli anni 60, da Giuseppe Logan a Vinko Globokar, dal Michel Portal con l’elmetto da esploratore, ancora bagnato dalle sacre acque darmstadiane e ricco di incensi della Foresta Nera, a Sun Ra, al Mingus in odore di santità, e poi ancora Stockhausen ebbro di riverberi ed essenze lignee… Nulla è dato per scontato in questi sette brani. E se Vincenzo nelle argute note di copertina ci ricorda tra le righe che al principio era il verbo, qui si riporta, giustappunto, il nocciolo della riflessione proprio sul significato primario, originale del verbo stesso. Troppo abituati a quella parola scritta (qui potremmo traslare in registrata, dal sapor di conserva alimentare) che come ricordava Carmelo Bene trattasi di sepoltura, tumulazione dell’orale. Qui invece, si recupera quella freschezza dell’effimera compiutezza del gesto, della foné nell’attimo stesso in cui l’oeuvre viene espletata: l’irripetibile, intenso infinito dell’attimo non già fuggente bensì fuggito. Derek Bailey ben ebbe a riflettere su tutto ciò. Osceno pesce dalle mutevoli forme zoomorfe, fuggevole creatura che visita nottetempo, archetipo dionisiaco del confine negato. Basso, come basso il ventre vuol essere, il contrabbasso qui marea in continuo moto perpetuo, come liquido assume la forma del recipiente che lo contiene, ancora in estasi nevrotica affidato al talento sorprendente e acuto, “walking bass in a road to nowhere”, di Massimo Ceccarelli. Un disco “not for the faint of the heart”, ma che può essere letto con l’innocenza di un bambino, o la competenza di un saggio. Spesso la stessa cosa. Complimenti davvero." Massimo Marchini, Ondarock 2008.
"(...) Ci vuole coraggio e caparbietà nel proporre una musica così innocente e pura e inocularla come vaccino in un mercato infetto come quello attuale. Ma tanto di cappello per un disco innovativo e schietto che ha radici nella musica improvvisata, da Gunter Hampel a Michel Portal, da Vinko Globokar a certe esperienze inebrianti targate ESP di ormai tante, troppe dacadi fa. C'è un mirabile punto d'incontro allo zenith del cielo stellato del jazz intelligente e improvvisato e della musica contemporanea. Questo lavoro rivela dedizione e competenza, idee ed emozione. Da segnalare i fiati illuminati di Renato Ciunfrini, compagno di merende musicali assai oblique che con passione delinea universi sonori arcani e antroposofici. Davvero toccante. (8)" Massimo Marchini, Rockerilla, novembre 2008.
"(...) Vincenzo Ramaglia ama viaggiare. Leggendo i post del suo blog, si capisce che il viaggio rappresenta una sua necessità culturale, esistenziale e artistica. Viaggia volentieri con i suoni , anzi: esplora. Organizza “spedizioni” trovando i musicisti “di cordata” disposti a raggiungere luoghi sonori inesplorati. Per fare un viaggio del genere, il compositore deve essere totalmente indipendente, libero, non solamente nell’atto creativo, ma anche nella realizzazione concreta del progetto, dalla registrazione fino alla produzione e distribuzione del cd (purtroppo i produttori guardano il mercato e gli sponsor i grandi numeri della società di massa). Vincenzo appartiene a quel genere di architetti che “immergono” le mani nella materia che intendono usare. Collabora con i costruttori. Non li guarda da lontano chiuso nel suo studio immacolato. Entra nell’officina sonora! Anzi crea nella stessa e, in Chimera, si spinge oltre: lascia ai musicisti Ceccarelli, Ciunfrini e Giust ampi spazi di improvvisazione. Così l’opera sfugge, volutamente, ai controlli rigorosi del creatore. Il dna è e non è nella alchimia creata, la somma di dna diversi: Chimera, appunto. Se la musica sfugge alle definizioni e, quindi, anche alle parole… non mi resta altro da dire che l’ascolto di Chimera, oltre il comune sentire, è consigliato." Valerio Loraschi, composer, Albero della Musica 2008.
"(...) Prima di "Chimera" ho letteralmente "consumato" (termine con il quale si definiva l’uso quotidiano dei vinili 33 e 45 giri) "Formaldeide", il precedente lavoro di Vincenzo Ramaglia. L’ascolto di entrambi i lavori subito mi mette nella condizione di "percepire il mondo" salendo in una dimensione parallela come metafora credibile del reale. La musica annuncia. Come un gioco di specchi nel quale il mio e quello di vincenzo si riflettono, si definiscono, si registrano e deformano. Spesso un complesso gioco di specchi offre una ricca visione, in quanto inattesa e profetica. La musica scorre e si definisce un luogo dove cominciano i mutamenti e dove secerne la scienza. Una violenta successione di immagini-emozioni-immagini. Molto più dei colori e delle forme, i suoni plasmano le società. Con il rumore è nato il disordine e il suo contrario: il mondo. Con la musica è nato il potere e il suo contrario: la sovversione. Nel rumore si leggono i codici della vita, i rapporti fra gli uomini. Clamori, Melodia, Dissonanza, Armonia; quando è plasmato dall’uomo con strumenti specifici, quando è suono, il rumore diventa fonte di progetto e di potenza, di sogno ("Chimera"): musica. Rientro in loco, mi rimetto a terra, mi siedo. Grazie Vincenzo per la bella musica e per il viaggio donatomi." Pericle Odierna, composer, Albero della Musica 2008.
"(...) Corpuscoli di armonici messi in loop in modo da creare forme cicliche che inseguono le parti di un contrabbasso, sporcate qua e là da interventi di un sax e una batteria. L'estetica del contrasto di Ramaglia già presente nel lavoro precedentemente recensito ("Formaldeide") si rinnova anche in questo "Chimera". L'interesse di questa visione può risiedere appunto nella compresenza di un dualismo di generi che invece di fondersi in modo scontato, si respingono o si attraggono. Qui l'improvvisazione para-jazzistica, le manipolazioni elettroniche e la scrittura "rigorosa" sono gli elementi che animano sette movimenti costruiti in forma di suite. Fulcro sonoro il contrabbasso di Massimo Ceccarelli, attorno al quale si muovono con discrezione il multisassofonista Renato Ciunfrini e Stefano Giust alla Batteria. (7/8)" Michele Coralli, Blow Up, ottobre 2008.
"(...) La nuova e curatissima autoproduzione Chimera del compositore romano Vincenzo Ramaglia, mette a confronto l'improvvisazione cangiante di sax (Renato Ciunfrini) e batteria (Stefano Giust) con partiture per contrabbasso (Massimo Ceccarelli) e loop station, creando una mutevole dissonanza fra figure libere e reiterative. Un singolare esperimento, arricchito da idee e stimoli personali dei musicisti." Vittore Baroni, Rumore, novembre 2008.
"(...) Dopo l'ottimo 'Formaldeide' continua la discesa di Vincenzo Ramaglia nell'antro della sperimentazione con un album che abbandona la musica da camera per dirigersi nel territorio di un jazz improvvisato che vede partecipi un tris d'assi di tutto rispetto composto da Massimo Ceccarelli al contrabbasso, Stefano Giust alla batteria e ai fiati di Renato Ciunfrini. Il risultato è tanto ambiguo quanto la parola che dà il titolo all'album: le note e le strutture colpiscono l'ascoltatore e gli sfuggono lasciando spazio a un continuo susseguirsi di impressioni sonore e di suggestivi ambienti musicali. 'Chimera' è un disco che nasconde una vera e propria esplosione mascherandola da calma raffinata, un ascolto non certo semplice ma che riesce a dare un'idea del favoloso lavoro di ricerca intrapreso da Ramaglia, che cattura in questo nuovo lavoro una visione tanto personale del jazz quanto aperta e libera, come dimostra l'ottimo risultato raggiunto dai musicisti coinvolti, capaci di dare vita e senso a un progetto artistico con estro e condivisione. Le sette tracce che compongono il disco sono miniera di spunti e sensazioni, specchi di uno studio sulla musica tanto accurato quanto lanciato verso il divenire della musica stessa e al quale non resta che applaudire." Daniele Guasco, Rocklab, 2008.
"(...) Vincenzo Ramaglia, trentenne compositore romano, arriva alla sua seconda registrazione con questa partitura dal titolo Chimera, opera per contrabbasso e loop station, con interventi improvvisativi di sax e batteria. Il cd è diviso in sette tracce di durata e struttura piuttosto simili. Ciascuno dei brani inizia con il contrabbasso che costruisce un tappeto sonoro di base per poi sviluppare l’idea tematica, quindi intervengono sax e batteria che si contrappongono improvvisando per lo più in modo libero e timbrico. La scelta dei tre strumentisti è tutto tranne che casuale: il “solista” Ceccarelli si dedica al lato lirico del proprio suono e all’orchestrazione digitale dei temi, mentre due noti improvvisatori dal suono personale come Ciunfrini e Giust curano il lato “imprevisto” dell’opera. Un risultato dai colori tenui con tratti psichedelici." A. Cartolari, Live Electronics 2008.
"(...) Sogno inefferrabile ed impossibile, ecco l'essenza della chimera. Ed ecco anche una delle più spietate tra le possibili definizioni del contemporaneo comporre musica. La composizione infatti oggi si configura sempre di più come la rincorsa di un'irraggiungibile illusione. (...) Non può quindi che risultare assai significativo il fatto che Vincenzo Ramaglia, compositore romano di formazione pienamente accademica ma che dall'accademia ha mantenuto un sano distacco, abbia intitolato Chimera il proprio ultimo lavoro compositivo e discografico. (...) E così nelle sette tracce del disco di Ramaglia si realizza l'unione tra elementi di natura musicale diversissima: il composto/interpretato e l'improvvisato, il predeterminato e l'imprevisto. Ogni pezzo di Chimera è una fiaba e come per tutte le fiabe ogni traccia (...) inizia con un proprio «c'era una volta». La struttura iniziale che ricorre sette volte nel disco è infatti quella per cui il contrabbasso di Massimo Ceccarelli interpreta delle frasi scritte, registrandole e sovrapponendole progressivamente con una loop station (...) su cui i sassofoni di Renato Ciunfrini e la batteria di Stefano Giust sono chiamati ad improvvisare. (...) Questi sono i contesti della favola e i tempi che l'autore ha scelto per ogni capitolo. I due personaggi che si sono trovati a viverli, però, erano completamente anarchici e l'unico controllo che l'autore ha avuto su di loro si è esaurito nell'atto della creazione. Così Ciunfrini e Giust si sono trovati a muoversi liberissimamente tra i loops di contrabbasso. E le diverse atmosfere dei vari inizi hanno ottenuto dagli improvvisatori atteggiamenti musicali anche molto distanti. Dall'aggressivo starnazzare del sax e dell'entropia ritmica della seconda traccia al melodiare sovracuto unito a una pulsazione ritmica (quasi) stabile della sesta. Per un risultato musicale cangiante e multiforme che, a rigore, ben si potrebbe definire chimerico." Zeno Gabaglio, Azione, Svizzera 2008.
01 _ 6:39
02 _ 6:36
03 _ 7:28
04 _ 7:06
05 _ 7:16
06 _ 6:13
07 _ 7:53
(C) + (P) 2008