ECHOES FROM THE PLANET
ROBERTO FEGA
SOLD OUT
Roberto Fega _ elettronica digitale _ campionamenti
Musica elettronica composta nell'agosto 2018 e nel gennaio 2019. La musica di questo disco nasce dallo sconforto condivisibile del musicista per i fatti legati alla tragedia dell'immigrazione e dei suoi morti in mare. Di conseguenza si denuncia la squallida gestione politica del problema – un discorso lungo e penoso, per niente semplificabile – che dovrebbe invece, sempre e comunque, riconoscere nei diritti umani la base di qualsiasi provvedimento e azione politica.
Per maggiori informazioni:
http://robertofega.wix.com/robertfega
"(...) Un’apocalisse domestica, sorvegliata, la rivolta che inizia dentro la stanza del compositore, contro la realizzazione delle profezie di 1984 di Orwell: “Tutto svaniva nella nebbia. Il passato veniva cancellato, la cancellazione dimenticata, e la menzogna diventava verità”.
Bruciamo tutti al fuoco dello schermo nell’epoca (che uno scrittore di cui ero amico ha definito in modo puntuale) dell’autismo corale. Bruciamo tutti in una lenta agonia che poco ha di epico, mentre il mondo fuori è ancora e sempre in fiamme. Suona come una lama questo lavoro del sound artist e polistrumentista Roberto Fega, incastonata nella roccia dell’attualità. Creature fantastiche, voci catturate nella realtà e ricontestualizzate in una selva elettronica rarefatta ed onirica, una raccolta di, appunto, echi dal pianeta Terra, come un audiogiornale o un blob in cui la parte video spetta alla nostra immaginazione. Aprire gli occhi, chiuderli verso dentro, come suggeriva il poeta messicano Octavio Paz: e allora macerie, ipermercati come templi della desolazione americana, la democrazia (?) che avanza come il cemento, sirene, fumogeni, guerra, pubblicità. Come se su un vhs dove sono state registrati talk show, telefilm, news, il tempo avesse imposto il suo inesorabile dominio di ruggine e deriva, lasciando echi, distorsioni, ombre, apparizioni.
Un uso personale e non didascalico delle voci umane, come suoni trovati, e un’architettura mobile eppure solida e coesa delle composizioni, tutte basate esclusivamente sull’uso di campionamenti e digitale, rendono questo ascolto un viaggio. Un volo in quota sulle rovine dell’Anthropocene (ottima la traccia omonima), senza pose hipster da elettronica in alta definizione e senza l’ansia di suonare per forza attuale, riuscendo comunque a esserlo grazie a una ricerca personale e al rovistare nelle discariche per costruire, utilizzando sibili, rimbrotti, apnee da batterie esauste, fibrillazioni: un lavoro ecologico e politico, dove a farla da padrone sono libertà creativa, economia di mezzi ed una lingua sobria, asciutta, in grado di portarti ad osservare voragini che paiono stranamente accoglienti. E così ci sporgiamo sul bordo di un abisso familiare, rassicurante, di disastri che già sappiamo (perché intimo e universali insieme), cullati da questi nove dispacci dal fronte, quasi cronache di resistenza al dominio dell’oppressore e dell’ovvio, come se l’ambient, l’elettroacustica, il dub ed il punk trovassero un inaudito punto di contatto proprio qui, in questo disco anarchico, magnetico, ribelle e lirico: un magnifico prototipo di elettronica in opposition, un manuale su come far suonare caldo e vivo il glitch." Nazim Comunale, The New Noise, 2019.
"(...) In un mercato inflazionato come quello dell’elettronica, si fa fatica a concepire il talento che può esserci dietro ad un’artista. Nel momento in cui siamo stati tutti messi in grado di utilizzare campionamenti e manipolare suoni grazie ad un computer casalingo, si è scatenata una sorta di ricerca dell’oggetto del sapere che se da una parte ha portato frutti eccellenti (vedi le operazioni degli scultori di suoni o le canalizzazioni come la folktronica), dall’altra ha reso più difficile la valutazione dell’artista e della loro creatività da parte degli operatori, perché questi elementi si sono spesso spostati sul mezzo (le capacità e la potenza dei software). Per questa via, un’artista come Roberto Fega, in possesso di un proprio concetto di creatività, corre il serio rischio di restare in un angolo della memoria; il suo ultimo lavoro per Setola, dal titolo Echoes from the planet, è un ottimo modo di dimostrare il contrario, perché ha tutte le carte in regola per diventare un prodotto d’ascolto elitario in un settore esteticamente confuso. Fega si concentra teoricamente su immigrati, presi sui due maggior fronti mondiali (quelli da Africa e Medioriente verso Europa e i sudamericani sul confine tra Messico e Stati Uniti), sui minatori italiani deceduti in Belgio e in generale sul disadattamento sociale a cui non corrisponde mai un’eguale risposta politica: la musica di Echoes from the planet è così costruita su un piano altero, fatto di battiti, di vari patterns vocali ricostruiti al computer e di parecchie estensioni glitch, in un modo che non vi farebbe mai pensare che si sta parlando di certi temi. Il bel cd di Fega richiede perciò un salto qualitativo nell’ascoltatore, come tanta musica contemporanea, perché solo in questo modo è possibile trasferire subliminalmente le differenti armi che può utilizzare un musicista di elettronica del ventunesimo secolo. Nel caso di Fega, ci sono tutti i presupposti per restarne attratti." Ettore Garzia, Percorsi Musicali, 2019.
"(...) Roberto Fega parla attraverso i suoni. Composto tra Agosto 2018 e Gennaio 2019, Echoes From The Planet è il nuovo lavoro di Roberto Fega, pubblicato nel Luglio 2019 da Setola di Maiale.
Il musicista nativo di Formia, da sempre attivo nella ricerca di nuove forme artistiche espressive, ha fatto parte di formazioni quali Cervello A Sonagli, Circ.a, e attualmente di Iato e Ixem, oltre ad essere membro del trio di improvvisazione elettronica e elettro-acustico Taxonomy con Elio Martusciello e Graziano Lella.
Innumerevoli le sue collaborazioni: Fega suona il sax tenore / soprano, clarinetto basso e campionatori.
Echoes From The Planet è un album complesso nato dal condivisibile scoraggiamento del musicista in seguito ai fatti connessi alla tragedia dell'immigrazione e dei suoi morti in mare. Viene implicitamente denunciata la squallida gestione politica del problema - un discorso lungo e doloroso, per nulla semplificabile - che dovrebbe in ogni caso riconoscere i diritti umani come base per qualsiasi provvedimento e azione politica.
Sebbene la divulgazione della Musica Colta, quale la musica acusmatica, in Italia sia ancora un miraggio, questa nuova frontiera è ben rappresentata dai musicisti italiani come Fega che col suo album lascia “all’udito la totale responsabilità di una percezione che normalmente si appoggia ad altre testimonianze sensibili” citando il compositore francese Pierre Schaffer nel suo Traité des objets musicaux.
È proprio dietro le nove tracce del disco che attraverso l’utilizzo dei suoni si cela un messaggio profondo. Rumori, modulazioni, ma soprattutto sample e field recordings già dalla prima traccia, 8 August 1956 – 18 April 2015, vengono utilizzati da Fega per narrare la sua indignazione verso la tragedia dell’immigrazione e dei morti in mare. I suoni metallici si agitano creando tensione tramite l’intervento del musicista che si avvale di sequenze elettroniche e campioni vocali per elaborare progressivamente la sua opera.
In Anthropocene i suoni si fanno pulsanti e stratificati con Fega che li plasma a suo piacimento come se suonasse libero da qualsiasi vincolo e struttura. I suoi squarci sonori sono paragonabili ai tagli di Lucio Fontana e, come nel caso del pittore italiano i tagli venivano letti come metafore, così le increspature elettroniche (riproposte anche nella seguente Gender Revolution In Rojava) possono essere analizzate come la metafora della ferita della nostra società: ferita provocata appunto dalle tragiche morti in mare.
Più esplicite sono le armonie di Rome 24 August 2018 più vicina ad Aphex Twin e Autechre piuttosto che a Schaeffer, nonostante ciò le composizioni di Fega risuonano in modo tale da riconoscere sempre il
contenuto semantico delle sue opere.
Interessante il lavoro di incastri tra parte ritmica e field recordings in Extinctions che danno un connotato atmosferico alla traccia colorata dai synth in costante evoluzione.
Echoes From The Planet è un album che necessita di attenzione, ricco di passaggi diversi frutto di improvvisazione e utilizzo di differenti tecniche. Nonostante la complessità sonora e il forte messaggio, il disco è fresco ed attuale, con la peculiarità di non risultare pesante e poco fruibile, ma soprattutto realizzato in modo da potersi incastrare con altre forme artistiche." Mario Ariano, Radioaktiv.it, 2019.
"(...) A distanza di ben sette anni da Daily Vision e cinque dal MonkTronik insieme ad Innarella [vedi SM2660], il nuovo album del musicista romano è più che un avvenimento. Musica-narrazione dell'uomo e del mondo, disco politico, riprende ed espande, in visione ed orizzonte, quanto raccontato con Vite Che Non Possiamo Permetterci e Europe Is Burning. Fega struttura e plasma il materiale digitale in composizioni di alta visualità, con precise sceneggiature e la caratterizzazione fa dei suoi personaggi, scenari, eventi. Ad esempio, Anthropocene ha a che fare più con lo spirito di un Bozzetto o del Pannonia Film Studio che con l'elettronica della Warp o il vintage colto di James Ferraro. Il suono, apparentemente minuto, cesellato e quasi giocoso, si insinua perfido, iniettando memorie storiche ci tragedie (8 August 1956 – 18 April 2015). La sapienza nel trattare patches e manopole ricorda attitudini lontane-vicine, come quelle di area Lovely, John Bischoff, Paul De Marinis, certo Blue Gene Tyranny (Disparches From Rojava). La musica si fa commento laterale (Rome 24 August 2018), analisi sonico-molecolare dei fenomeni. Social Disintegration meriggia a bassa pressione, con scampoli di un cha-cha-cha accidioso e quasi residui di scritture automatiche (Extinction). Lavoro per sottrazione, più asciutto dei più asciutti Ultra-Red, ci lascia con sottili rasoiate all'anima (Echos From Chiapas). (8)." Dionisio Capuano, Blow Up, 2019.
"(...) Il contemporaneo, con tutta la sua marcescenza che se ne sbatte di te, di me, di parecchi altri in giro per il mondo, presi a calci in culo senza nulla aver fatto.
Voci e storie di oppressi, che nell'espressione di Roberto Fega han sempre trovato un valido amplificatore (anch'esso contemporaneo).
Che in modalità all'apparenza leggera e sbarazzina al primo impatto, col sorriso t'avvelena il pozzo.
Preciso e millimetrico, con la calma di chi il tempo di osservar l'andazzo se lo prende, eccome se se lo prende.
Non in balbettamento adeguato all'estetica del momento, nossignori, chiaro e preciso concetto vien qui espresso, in lingua universale che daje e daje, perfida s'insinua sottopelle.
Cagatine in ammicco manco a parlarne.
Una cinematica osservazione granulare degli accadimenti, che non s'impigrisce ma resta in percezione sensibile e rilancia.
Poi ora Fega s'inabisserà di nuovo restando sintonizzato col circostante, prima che questo accada procuratevi “Echoes From The Planet”. Marco Carcasi, Kathodik, 2019.
"(...) Il difficile e nobile percorso creativo di Roberto Fega sboccia questa volta in un concept incentrato sul drammatico (e spesso tragico) percorso dei migranti e delle implicazioni politiche che la cronaca ci puntualizza. Dell’ artista laziale vogliamo ricordare almeno l’emozionante collaborazione con Pasquale Innarella (Monktronic) anche se questa volta siamo su tutt’altre coordinate. Il musicista infatti ci regala atmosfere più vicina all’elettronica colta della Warp che al jazz ricercato: un viatico in punta di forchetta e perennemente sospeso su una linea dell’orizzonte che non materializza mai la terra. Una sospensione ansiosa che giustifica gli strumenti non convenzionali e la perpetua ricerca dell’artista nella sonorizzazione della materia. Album non facile e che necessita diversi e attenti ascolti: un prisma che ogni volta apre camere inaspettate e affascinanti. Un altro centro dalla Setola di Maiale che oggi più che mai si rivela tra le più intelligenti e coraggiose etichette nostrane, ma non solo." Marco Giorcelli, Sodapop, 2020.
01 _ 8 August 1956 – 18 April 2015
02 _ Nameless, Without Identity
03 _ Anthropocene
04 _ Gender Revolution In Rojava
05 _ Dispatches From Rojava
06 _ Rome 24 August 2018
07 _ Social Disintegration
08 _ Extinctions
09 _ Echoes From Chiapas
(C) + (P) 2019
SOLD OUT
Roberto Fega _ digital electronics _ sampling
Electronic music composed in August 2018 and January 2019. The music of this album comes from the sharable discouragement of the musician for the facts related to the tragedy of immigration and its dead at sea. Implicitly is denounced the squalid political management of the problem – a long and painful speech, not at all simplified – which should, however and always in any case, recognize human rights as the basis for any provision and political action.
For more information:
http://robertofega.wix.com/robertfega
"(...) Un’apocalisse domestica, sorvegliata, la rivolta che inizia dentro la stanza del compositore, contro la realizzazione delle profezie di 1984 di Orwell: “Tutto svaniva nella nebbia. Il passato veniva cancellato, la cancellazione dimenticata, e la menzogna diventava verità”.
Bruciamo tutti al fuoco dello schermo nell’epoca (che uno scrittore di cui ero amico ha definito in modo puntuale) dell’autismo corale. Bruciamo tutti in una lenta agonia che poco ha di epico, mentre il mondo fuori è ancora e sempre in fiamme. Suona come una lama questo lavoro del sound artist e polistrumentista Roberto Fega, incastonata nella roccia dell’attualità. Creature fantastiche, voci catturate nella realtà e ricontestualizzate in una selva elettronica rarefatta ed onirica, una raccolta di, appunto, echi dal pianeta Terra, come un audiogiornale o un blob in cui la parte video spetta alla nostra immaginazione. Aprire gli occhi, chiuderli verso dentro, come suggeriva il poeta messicano Octavio Paz: e allora macerie, ipermercati come templi della desolazione americana, la democrazia (?) che avanza come il cemento, sirene, fumogeni, guerra, pubblicità. Come se su un vhs dove sono state registrati talk show, telefilm, news, il tempo avesse imposto il suo inesorabile dominio di ruggine e deriva, lasciando echi, distorsioni, ombre, apparizioni.
Un uso personale e non didascalico delle voci umane, come suoni trovati, e un’architettura mobile eppure solida e coesa delle composizioni, tutte basate esclusivamente sull’uso di campionamenti e digitale, rendono questo ascolto un viaggio. Un volo in quota sulle rovine dell’Anthropocene (ottima la traccia omonima), senza pose hipster da elettronica in alta definizione e senza l’ansia di suonare per forza attuale, riuscendo comunque a esserlo grazie a una ricerca personale e al rovistare nelle discariche per costruire, utilizzando sibili, rimbrotti, apnee da batterie esauste, fibrillazioni: un lavoro ecologico e politico, dove a farla da padrone sono libertà creativa, economia di mezzi ed una lingua sobria, asciutta, in grado di portarti ad osservare voragini che paiono stranamente accoglienti. E così ci sporgiamo sul bordo di un abisso familiare, rassicurante, di disastri che già sappiamo (perché intimo e universali insieme), cullati da questi nove dispacci dal fronte, quasi cronache di resistenza al dominio dell’oppressore e dell’ovvio, come se l’ambient, l’elettroacustica, il dub ed il punk trovassero un inaudito punto di contatto proprio qui, in questo disco anarchico, magnetico, ribelle e lirico: un magnifico prototipo di elettronica in opposition, un manuale su come far suonare caldo e vivo il glitch." Nazim Comunale, The New Noise, 2019.
"(...) In un mercato inflazionato come quello dell’elettronica, si fa fatica a concepire il talento che può esserci dietro ad un’artista. Nel momento in cui siamo stati tutti messi in grado di utilizzare campionamenti e manipolare suoni grazie ad un computer casalingo, si è scatenata una sorta di ricerca dell’oggetto del sapere che se da una parte ha portato frutti eccellenti (vedi le operazioni degli scultori di suoni o le canalizzazioni come la folktronica), dall’altra ha reso più difficile la valutazione dell’artista e della loro creatività da parte degli operatori, perché questi elementi si sono spesso spostati sul mezzo (le capacità e la potenza dei software). Per questa via, un’artista come Roberto Fega, in possesso di un proprio concetto di creatività, corre il serio rischio di restare in un angolo della memoria; il suo ultimo lavoro per Setola, dal titolo Echoes from the planet, è un ottimo modo di dimostrare il contrario, perché ha tutte le carte in regola per diventare un prodotto d’ascolto elitario in un settore esteticamente confuso. Fega si concentra teoricamente su immigrati, presi sui due maggior fronti mondiali (quelli da Africa e Medioriente verso Europa e i sudamericani sul confine tra Messico e Stati Uniti), sui minatori italiani deceduti in Belgio e in generale sul disadattamento sociale a cui non corrisponde mai un’eguale risposta politica: la musica di Echoes from the planet è così costruita su un piano altero, fatto di battiti, di vari patterns vocali ricostruiti al computer e di parecchie estensioni glitch, in un modo che non vi farebbe mai pensare che si sta parlando di certi temi. Il bel cd di Fega richiede perciò un salto qualitativo nell’ascoltatore, come tanta musica contemporanea, perché solo in questo modo è possibile trasferire subliminalmente le differenti armi che può utilizzare un musicista di elettronica del ventunesimo secolo. Nel caso di Fega, ci sono tutti i presupposti per restarne attratti." Ettore Garzia, Percorsi Musicali, 2019.
"(...) Roberto Fega parla attraverso i suoni. Composto tra Agosto 2018 e Gennaio 2019, Echoes From The Planet è il nuovo lavoro di Roberto Fega, pubblicato nel Luglio 2019 da Setola di Maiale.
Il musicista nativo di Formia, da sempre attivo nella ricerca di nuove forme artistiche espressive, ha fatto parte di formazioni quali Cervello A Sonagli, Circ.a, e attualmente di Iato e Ixem, oltre ad essere membro del trio di improvvisazione elettronica e elettro-acustico Taxonomy con Elio Martusciello e Graziano Lella.
Innumerevoli le sue collaborazioni: Fega suona il sax tenore / soprano, clarinetto basso e campionatori.
Echoes From The Planet è un album complesso nato dal condivisibile scoraggiamento del musicista in seguito ai fatti connessi alla tragedia dell'immigrazione e dei suoi morti in mare. Viene implicitamente denunciata la squallida gestione politica del problema - un discorso lungo e doloroso, per nulla semplificabile - che dovrebbe in ogni caso riconoscere i diritti umani come base per qualsiasi provvedimento e azione politica.
Sebbene la divulgazione della Musica Colta, quale la musica acusmatica, in Italia sia ancora un miraggio, questa nuova frontiera è ben rappresentata dai musicisti italiani come Fega che col suo album lascia “all’udito la totale responsabilità di una percezione che normalmente si appoggia ad altre testimonianze sensibili” citando il compositore francese Pierre Schaffer nel suo Traité des objets musicaux.
È proprio dietro le nove tracce del disco che attraverso l’utilizzo dei suoni si cela un messaggio profondo. Rumori, modulazioni, ma soprattutto sample e field recordings già dalla prima traccia, 8 August 1956 – 18 April 2015, vengono utilizzati da Fega per narrare la sua indignazione verso la tragedia dell’immigrazione e dei morti in mare. I suoni metallici si agitano creando tensione tramite l’intervento del musicista che si avvale di sequenze elettroniche e campioni vocali per elaborare progressivamente la sua opera.
In Anthropocene i suoni si fanno pulsanti e stratificati con Fega che li plasma a suo piacimento come se suonasse libero da qualsiasi vincolo e struttura. I suoi squarci sonori sono paragonabili ai tagli di Lucio Fontana e, come nel caso del pittore italiano i tagli venivano letti come metafore, così le increspature elettroniche (riproposte anche nella seguente Gender Revolution In Rojava) possono essere analizzate come la metafora della ferita della nostra società: ferita provocata appunto dalle tragiche morti in mare.
Più esplicite sono le armonie di Rome 24 August 2018 più vicina ad Aphex Twin e Autechre piuttosto che a Schaeffer, nonostante ciò le composizioni di Fega risuonano in modo tale da riconoscere sempre il
contenuto semantico delle sue opere.
Interessante il lavoro di incastri tra parte ritmica e field recordings in Extinctions che danno un connotato atmosferico alla traccia colorata dai synth in costante evoluzione.
Echoes From The Planet è un album che necessita di attenzione, ricco di passaggi diversi frutto di improvvisazione e utilizzo di differenti tecniche. Nonostante la complessità sonora e il forte messaggio, il disco è fresco ed attuale, con la peculiarità di non risultare pesante e poco fruibile, ma soprattutto realizzato in modo da potersi incastrare con altre forme artistiche." Mario Ariano, Radioaktiv.it, 2019.
"(...) A distanza di ben sette anni da Daily Vision e cinque dal MonkTronik insieme ad Innarella [vedi SM2660], il nuovo album del musicista romano è più che un avvenimento. Musica-narrazione dell'uomo e del mondo, disco politico, riprende ed espande, in visione ed orizzonte, quanto raccontato con Vite Che Non Possiamo Permetterci e Europe Is Burning. Fega struttura e plasma il materiale digitale in composizioni di alta visualità, con precise sceneggiature e la caratterizzazione fa dei suoi personaggi, scenari, eventi. Ad esempio, Anthropocene ha a che fare più con lo spirito di un Bozzetto o del Pannonia Film Studio che con l'elettronica della Warp o il vintage colto di James Ferraro. Il suono, apparentemente minuto, cesellato e quasi giocoso, si insinua perfido, iniettando memorie storiche ci tragedie (8 August 1956 – 18 April 2015). La sapienza nel trattare patches e manopole ricorda attitudini lontane-vicine, come quelle di area Lovely, John Bischoff, Paul De Marinis, certo Blue Gene Tyranny (Disparches From Rojava). La musica si fa commento laterale (Rome 24 August 2018), analisi sonico-molecolare dei fenomeni. Social Disintegration meriggia a bassa pressione, con scampoli di un cha-cha-cha accidioso e quasi residui di scritture automatiche (Extinction). Lavoro per sottrazione, più asciutto dei più asciutti Ultra-Red, ci lascia con sottili rasoiate all'anima (Echos From Chiapas). (8)." Dionisio Capuano, Blow Up, 2019.
"(...) Il contemporaneo, con tutta la sua marcescenza che se ne sbatte di te, di me, di parecchi altri in giro per il mondo, presi a calci in culo senza nulla aver fatto.
Voci e storie di oppressi, che nell'espressione di Roberto Fega han sempre trovato un valido amplificatore (anch'esso contemporaneo).
Che in modalità all'apparenza leggera e sbarazzina al primo impatto, col sorriso t'avvelena il pozzo.
Preciso e millimetrico, con la calma di chi il tempo di osservar l'andazzo se lo prende, eccome se se lo prende.
Non in balbettamento adeguato all'estetica del momento, nossignori, chiaro e preciso concetto vien qui espresso, in lingua universale che daje e daje, perfida s'insinua sottopelle.
Cagatine in ammicco manco a parlarne.
Una cinematica osservazione granulare degli accadimenti, che non s'impigrisce ma resta in percezione sensibile e rilancia.
Poi ora Fega s'inabisserà di nuovo restando sintonizzato col circostante, prima che questo accada procuratevi “Echoes From The Planet”. Marco Carcasi, Kathodik, 2019.
"(...) Il difficile e nobile percorso creativo di Roberto Fega sboccia questa volta in un concept incentrato sul drammatico (e spesso tragico) percorso dei migranti e delle implicazioni politiche che la cronaca ci puntualizza. Dell’ artista laziale vogliamo ricordare almeno l’emozionante collaborazione con Pasquale Innarella (Monktronic) anche se questa volta siamo su tutt’altre coordinate. Il musicista infatti ci regala atmosfere più vicina all’elettronica colta della Warp che al jazz ricercato: un viatico in punta di forchetta e perennemente sospeso su una linea dell’orizzonte che non materializza mai la terra. Una sospensione ansiosa che giustifica gli strumenti non convenzionali e la perpetua ricerca dell’artista nella sonorizzazione della materia. Album non facile e che necessita diversi e attenti ascolti: un prisma che ogni volta apre camere inaspettate e affascinanti. Un altro centro dalla Setola di Maiale che oggi più che mai si rivela tra le più intelligenti e coraggiose etichette nostrane, ma non solo." Marco Giorcelli, Sodapop, 2020.
01 _ 8 August 1956 – 18 April 2015
02 _ Nameless, Without Identity
03 _ Anthropocene
04 _ Gender Revolution In Rojava
05 _ Dispatches From Rojava
06 _ Rome 24 August 2018
07 _ Social Disintegration
08 _ Extinctions
09 _ Echoes From Chiapas
(C) + (P) 2019