FRACTURE
FRACTURE (Luciano Margorani, Luca Pissavini, Andrea Quattrini)
SOLD OUT
Luciano Margorani _ chitarra elettrica _ dispositivi
Luca Pissavini _ basso elettrico _ pedale Eko bass
Andrea Quattrini _ batteria
Free jazz con influenze rock da questi ottimi musicisti italiani, dei quali si continuerà certamente a parlare. Luciano Margorani è nome ben noto agli appassionati delle musiche eterodosse: nel 1980 fonda il duo La 1919 che ha fatto parte della Cooperativa L’Orchestra di Milano e con il quale ha suonato al prestigioso FIMAV (Festival Internationale de Musique Actuelle de Victoriaville) che si tiene annualmente in Quèbec. Nel corso degli anni ha collaborato in studio e suonato in concerto con vari musicisti italiani e stranieri tra i quali Chris Cutler, Henry Kaiser, John Oswald, Ferdinand Richard, Bruno Meillier, Charles Hayward, Franco Fabbri, Derek Bailey, Roberto Zorzi, Elliott Sharp, Roberto Zanisi, Eugène Chadbourne, Giorgio Casadei, Nick Didkovsky e molti altri. L'album è stato registrato all'EDAC Studio, Fino Mornasco (Co) il 12 luglio 2010. Tutta la musica di queste registrazioni è liberamente improvvisata (o spontaneamente composta) senza sovraincisioni.
"(...) Da quella magica "scatola delle sorprese" che è la nostra cassetta della posta stavolta salta fuori una sorpresa che più sorpresa non si può: un "Italian power trio" (precisiamo tra un istante) che sembra giungere dal passato portando con sé musica sorprendentemente fresca. Confezione spartana, e un titolo (è anche il nome del gruppo) cui fa da spiritoso pendant l'immagine di copertina (un ginocchio?). Ma basta scorrere i nomi dei musicisti e leggere quello del chitarrista Luciano Margorani per ipotizzare che al nome prescelto non debba essere estranea un'eco crimsoniana. Sarà vero? Ci disponiamo all'ascolto. Sorprende non poco leggere in copertina che quest'album è stato registrato (bene, in studio, da Davide Lasala ed Emiliano Baragiola) in sole tre ore e che tutti i brani sono stati "liberamente improvvisati (o spontaneamente composti)" dai tre musicisti, ai quali non deve evidentemente fare difetto una certa dose di telepatia, tanto sembrano programmati certi millimetrici "stop" e certi repentini cambi d'atmosfera. Se Margorani è per chi scrive una vecchia conoscenza, e in più contesti, questa è la prima volta che incontriamo il bassista (elettrico) Luca Pissavini e il batterista Andrea Quattrini, buoni strumentisti. Aleggia un'aria che non è difficile definire "Rock in Opposition", circostanza che visti i trascorsi di Margorani non potrà sorprendere. Per precisare la cornice di riferimento si potrebbero citare nomi quali i Massacre (un altro trio), e (in misura decisamente minore) i Last Exit (a tratti il basso ci suonava come se Bill Laswell eseguisse le proprie idee sullo strumento di Jack Bruce). Non mancano rimandi al Robert Fripp "classico", fa di tanto in tanto capolino un'esuberanza che potrebbe essere riferita a un chitarrista quale René Lussier. Ma attenzione: questi nomi vengono qui citati solo per dire che questa è musica che ha una storia, non per sottolineare quanto essa sia derivativa. Curiosamente, è una musica che dieci o vent'anni fa avremmo definito "fuori tempo", nel senso (tecnico) di "vecchia", ma che oggi - e proprio per le stesse ragioni - non possiamo che definire "senza tempo", nel senso di "classica". O, se vogliamo, il caso dell'autobus che passa due volte. L'ultima cosa che poteva essere detta di Margorani era di essere un chitarrista mediocre, ma qui il musicista ci è sembrato suonare più sciolto e "chiaro" di come lo ricordavamo; la convinzione di solito non gli fa difetto - questo al di là dei risultati -, ma la dimensione "nuda" del trio sembra trovarlo qui decisamente in forma. Pissavini è indubbiamente un buon bassista, e il suo apporto da secondo strumento solista - riff, contrappunti, linee melodiche distorte - è senz'altro degno di lode. Più "caffeinica" (e - a tratti - "cutleriana") l'impostazione batteristica di Quattrini, secca e vivace, con buon uso dei piatti e una cordiera del rullante che rivela un tocco felice (ma è un raro piacere, ché spesso prevale un "bìng" che associamo solitamente ai rullanti in ottone). L'album è vario e sorprendentemente accessibile (chi trova gli assolo di Jimi Hendrix "autoindulgenti" si esclude da sé). Anche se siamo coscienti delle difficoltà del momento, ci piacerebbe che l'ascolto facesse da apripista a un buon numero di concerti (possibilmente al di fuori del "circuito della nostalgia", ma qui forse chiediamo veramente troppo). Un veloce dettaglio. "Vendetta!" ha un inizio chiaro - tre colpi di bacchette, cassa, rullante -, rimandi frithiani, bella grinta da parte del trio, momenti "telepatici" nello svolgimento e un rarissimo ricordo blues (Gary Green?) (6' 20" - 6' 30" ca.). Pedali di basso e frammenti radio introducono Radiodramma, con tema non poco frippiano e rimandi a The Talking Drum. Bella uscita ("canadese"? - è a 5' 49") di Margorani. Tempo e basso "walking" sono ovvi elementi per "Toilet Jazz", con chitarra in accordi ed efficace uso del plettro. (Pur coscienti che rivolgere questo appunto a dei musicisti ci espone al rischio di ricevere in regalo il volume Il ritmo in dieci lezioni, non possiamo non notare che in più punti sull'album basso e batteria sembrano sincronizzasi più sulla chitarra che tra di loro, con una "pulsazione" che a tratti abbiamo trovato "indecisa".) "Parassita" suona non poco "etnica", con plettro dietro il ponte, armonici con eco, percussioni; il brano prende gradualmente vita, con echi e piatti in evidenza. "Half Past Nine" inizia "spaziale", con qualche ricordo floydiano (Ummagumma?). Poi la batteria imposta il tempo, tema per basso distorto con accompagnamento di chitarra, una bella performance. "Complotto" sfrutta bene una lunga prima parte con accordatura - prima per armonici, poi per accordi - degli strumenti. Basso melodico-tematico, chitarra "rumorista", un momento frippiano (a 5' 50"), bella entrata di eco "stretto", batteria serrata, e una decisa accelerazione (a partire da 10') a portare il brano a un'efficace conclusione. Definiremmo "Blackswanbat" doom metal - se solo sapessimo cos'è! In ogni caso, un mid-tempo "rumoristico" che porta l'album a conclusione." Beppe Colli, Clouds And Clocks 2011.
"(...) Il trio Fracture è composto da tre figure cardine dell'improvvisazione radicale milanese: Luciano Margorani, Luca Pissavini, Andrea Quattrini. Dopo appena una session comune, i tre si riuniscono in studio e registrano questo disco in sole tre ore. I riff di Luca Pissavini, al basso, pur granitici non rinunciano ad una agilità esecutiva eclettica ed ispirata, attenta al colore del suono in tutte le sue derive. La batteria di Andrea Quattrini è di contro liquida, sfuggente, estremamente tecnica ma mai invadente, quasi aerea, anche quando articolata in contrappunti matematici. A Luciano Margorani il compito di dirigere le trame del suono. La sua chitarra dalle chiare influenze frippiane e frithiane, si manifesta più per l'attenzione al suono che non al fraseggio, nervoso e spezzato, su intervalli vicini e dissonanti o organizzato in progressioni minimali e ossessive. Il nome del progetto appare una citazione della traccia conclusiva di “Starless And The Bible Black” dei King Crimson, disco nato da improvvisazioni live e uno dei manifesti del jazz rock evoluto degli anni settanta. Il disco si presenta netto e risoluto e pian piano incontra dinamiche sempre più rarefatte e riflessive, sensibili, per quanto non sempre in grado di catturare l'attenzione di chi ascolta. Ad aprire, una splendida “Vendetta!”, per chi scrive l'apice del disco, brano che coniuga in maniera energica, brillante e vitale il percorso dei King Crimson di “Red” e il suo dramma, minimalista, evocativo e ossessivo ad un suono più noise. In questa traccia si coglie la capacità di “comunicare”, di imbastire un filo del discorso attraverso gli strumenti in campo, coerente, diretto, emozionale ed efficace, pur attraverso valanghe di contorsioni, dettate da una tensione emotiva tenuta a livelli altissimi. I brani che seguono invece, più che trasmettere un senso di compiutezza, sembrano nascere dalla ricerca di un territorio comune al trio. Se “Radiodramma” mostra geometrie trasversali coniugate ad un suono noise, “Toilet Jazz”, imbastardisce il linguaggio afroamericano con il rumore europeo, tocca un tasto ma non lo sviluppa fino in fondo. “Parassita”, nelle progressioni di Margorani trova un felice terreno per un post rock evoluto di tutto rispetto. “Half Past Nine”, è davvero rarefatta nei suoi colori psichedelici, così tanto da apparire sfuggente. Così i primi minuti di “Complotto”, che pian piano trova un'energia maggiore nel finale, ma non una risoluzione decisa. “Blackswanbat” è assieme alla prima la migliore traccia incisa dal combo. Su un fondale monolitico di distorsioni care al doom, al metal nordico e al seminato di John Zorn, si innesta la batteria di Quattrini, davvero irrefrenabile nel creare metastasi di un suono devastante quanto fascinoso. Chiara dunque l'alternanza di intuizioni estemporanee completamente a fuoco ad altre in via di definizione, che si spera trovino sviluppo in incisioni future. Un suono, quello dei Fracture, che risulta più convincente nelle soluzioni più agili, ossessive e scure, capaci di creare un autentico magma nero pece, di un'identità forte per quanto non facilmente collocabile, cosa che rende solo onore a queste tre carismatiche figure. Un plauso anche alla bella grafica di Stefano Giust di Setola di Maiale, che produce il dischetto, per quanto come non di rado capita con la produzione di alcuni cd-r, non tutti i lettori sono in grado di leggerne i contenuti, costringendo chi ascolta a ripiegare in un ascolto low-fi su computer. Poco male, data la qualità dei contenuti, la poetica ma anche la poesia, che accompagna tanto il progetto che la scelta di produzione." Claudio Milano, Stereo Invaders 2011.
01 _ Vendetta! 07:24
02 _ Radiodramma 08:08
03 _ Toilet Jazz 04:24
04 _ Parassita 05:39
05 _ Half Past Nine 08:13
06 _ Complotto 11:56
07 _ BlackSwanBat 04:36
(C) + (P) 2011
SOLD OUT
Luciano Margorani _ electric guitar _ devices
Luca Pissavini _ electric bass _ Eko bass pedal
Andrea Quattrini _ drums
Free jazz from these very good italian musicians. Luciano Margorani is well known: in 1980 he founded the duo La 1919 (they have been part of the Cooperativa L'Orchestra di Milano) and with whom he played at the prestigious FIMAV (Festival International de Musique Actuelle de Victoriaville) that held annually in Québec. Over the years he has worked in the studio and performed in concert with various Italian and foreign musicians including Chris Cutler, Henry Kaiser, John Oswald, Ferdinand Richard, Bruno Meillier, Charles Hayward, Franco Fabbri, Derek Bailey, Roberto Zorzi, Elliott Sharp Roberto Zanisi, Eugene Chadbourne, Giorgio Casadei, Nick Didkovsky and many others. The album has been recorded at EDAC Studio, Fino Mornasco (Co) on July 12th 2010. All music on this recordings is freely improvised (or spontaneously composed) by the musicians, with no overdubs.
"(...) Da quella magica "scatola delle sorprese" che è la nostra cassetta della posta stavolta salta fuori una sorpresa che più sorpresa non si può: un "Italian power trio" (precisiamo tra un istante) che sembra giungere dal passato portando con sé musica sorprendentemente fresca. Confezione spartana, e un titolo (è anche il nome del gruppo) cui fa da spiritoso pendant l'immagine di copertina (un ginocchio?). Ma basta scorrere i nomi dei musicisti e leggere quello del chitarrista Luciano Margorani per ipotizzare che al nome prescelto non debba essere estranea un'eco crimsoniana. Sarà vero? Ci disponiamo all'ascolto. Sorprende non poco leggere in copertina che quest'album è stato registrato (bene, in studio, da Davide Lasala ed Emiliano Baragiola) in sole tre ore e che tutti i brani sono stati "liberamente improvvisati (o spontaneamente composti)" dai tre musicisti, ai quali non deve evidentemente fare difetto una certa dose di telepatia, tanto sembrano programmati certi millimetrici "stop" e certi repentini cambi d'atmosfera. Se Margorani è per chi scrive una vecchia conoscenza, e in più contesti, questa è la prima volta che incontriamo il bassista (elettrico) Luca Pissavini e il batterista Andrea Quattrini, buoni strumentisti. Aleggia un'aria che non è difficile definire "Rock in Opposition", circostanza che visti i trascorsi di Margorani non potrà sorprendere. Per precisare la cornice di riferimento si potrebbero citare nomi quali i Massacre (un altro trio), e (in misura decisamente minore) i Last Exit (a tratti il basso ci suonava come se Bill Laswell eseguisse le proprie idee sullo strumento di Jack Bruce). Non mancano rimandi al Robert Fripp "classico", fa di tanto in tanto capolino un'esuberanza che potrebbe essere riferita a un chitarrista quale René Lussier. Ma attenzione: questi nomi vengono qui citati solo per dire che questa è musica che ha una storia, non per sottolineare quanto essa sia derivativa. Curiosamente, è una musica che dieci o vent'anni fa avremmo definito "fuori tempo", nel senso (tecnico) di "vecchia", ma che oggi - e proprio per le stesse ragioni - non possiamo che definire "senza tempo", nel senso di "classica". O, se vogliamo, il caso dell'autobus che passa due volte. L'ultima cosa che poteva essere detta di Margorani era di essere un chitarrista mediocre, ma qui il musicista ci è sembrato suonare più sciolto e "chiaro" di come lo ricordavamo; la convinzione di solito non gli fa difetto - questo al di là dei risultati -, ma la dimensione "nuda" del trio sembra trovarlo qui decisamente in forma. Pissavini è indubbiamente un buon bassista, e il suo apporto da secondo strumento solista - riff, contrappunti, linee melodiche distorte - è senz'altro degno di lode. Più "caffeinica" (e - a tratti - "cutleriana") l'impostazione batteristica di Quattrini, secca e vivace, con buon uso dei piatti e una cordiera del rullante che rivela un tocco felice (ma è un raro piacere, ché spesso prevale un "bìng" che associamo solitamente ai rullanti in ottone). L'album è vario e sorprendentemente accessibile (chi trova gli assolo di Jimi Hendrix "autoindulgenti" si esclude da sé). Anche se siamo coscienti delle difficoltà del momento, ci piacerebbe che l'ascolto facesse da apripista a un buon numero di concerti (possibilmente al di fuori del "circuito della nostalgia", ma qui forse chiediamo veramente troppo). Un veloce dettaglio. "Vendetta!" ha un inizio chiaro - tre colpi di bacchette, cassa, rullante -, rimandi frithiani, bella grinta da parte del trio, momenti "telepatici" nello svolgimento e un rarissimo ricordo blues (Gary Green?) (6' 20" - 6' 30" ca.). Pedali di basso e frammenti radio introducono Radiodramma, con tema non poco frippiano e rimandi a The Talking Drum. Bella uscita ("canadese"? - è a 5' 49") di Margorani. Tempo e basso "walking" sono ovvi elementi per "Toilet Jazz", con chitarra in accordi ed efficace uso del plettro. (Pur coscienti che rivolgere questo appunto a dei musicisti ci espone al rischio di ricevere in regalo il volume Il ritmo in dieci lezioni, non possiamo non notare che in più punti sull'album basso e batteria sembrano sincronizzasi più sulla chitarra che tra di loro, con una "pulsazione" che a tratti abbiamo trovato "indecisa".) "Parassita" suona non poco "etnica", con plettro dietro il ponte, armonici con eco, percussioni; il brano prende gradualmente vita, con echi e piatti in evidenza. "Half Past Nine" inizia "spaziale", con qualche ricordo floydiano (Ummagumma?). Poi la batteria imposta il tempo, tema per basso distorto con accompagnamento di chitarra, una bella performance. "Complotto" sfrutta bene una lunga prima parte con accordatura - prima per armonici, poi per accordi - degli strumenti. Basso melodico-tematico, chitarra "rumorista", un momento frippiano (a 5' 50"), bella entrata di eco "stretto", batteria serrata, e una decisa accelerazione (a partire da 10') a portare il brano a un'efficace conclusione. Definiremmo "Blackswanbat" doom metal - se solo sapessimo cos'è! In ogni caso, un mid-tempo "rumoristico" che porta l'album a conclusione." Beppe Colli, Clouds And Clocks 2011.
"(...) Il trio Fracture è composto da tre figure cardine dell'improvvisazione radicale milanese: Luciano Margorani, Luca Pissavini, Andrea Quattrini. Dopo appena una session comune, i tre si riuniscono in studio e registrano questo disco in sole tre ore. I riff di Luca Pissavini, al basso, pur granitici non rinunciano ad una agilità esecutiva eclettica ed ispirata, attenta al colore del suono in tutte le sue derive. La batteria di Andrea Quattrini è di contro liquida, sfuggente, estremamente tecnica ma mai invadente, quasi aerea, anche quando articolata in contrappunti matematici. A Luciano Margorani il compito di dirigere le trame del suono. La sua chitarra dalle chiare influenze frippiane e frithiane, si manifesta più per l'attenzione al suono che non al fraseggio, nervoso e spezzato, su intervalli vicini e dissonanti o organizzato in progressioni minimali e ossessive. Il nome del progetto appare una citazione della traccia conclusiva di “Starless And The Bible Black” dei King Crimson, disco nato da improvvisazioni live e uno dei manifesti del jazz rock evoluto degli anni settanta. Il disco si presenta netto e risoluto e pian piano incontra dinamiche sempre più rarefatte e riflessive, sensibili, per quanto non sempre in grado di catturare l'attenzione di chi ascolta. Ad aprire, una splendida “Vendetta!”, per chi scrive l'apice del disco, brano che coniuga in maniera energica, brillante e vitale il percorso dei King Crimson di “Red” e il suo dramma, minimalista, evocativo e ossessivo ad un suono più noise. In questa traccia si coglie la capacità di “comunicare”, di imbastire un filo del discorso attraverso gli strumenti in campo, coerente, diretto, emozionale ed efficace, pur attraverso valanghe di contorsioni, dettate da una tensione emotiva tenuta a livelli altissimi. I brani che seguono invece, più che trasmettere un senso di compiutezza, sembrano nascere dalla ricerca di un territorio comune al trio. Se “Radiodramma” mostra geometrie trasversali coniugate ad un suono noise, “Toilet Jazz”, imbastardisce il linguaggio afroamericano con il rumore europeo, tocca un tasto ma non lo sviluppa fino in fondo. “Parassita”, nelle progressioni di Margorani trova un felice terreno per un post rock evoluto di tutto rispetto. “Half Past Nine”, è davvero rarefatta nei suoi colori psichedelici, così tanto da apparire sfuggente. Così i primi minuti di “Complotto”, che pian piano trova un'energia maggiore nel finale, ma non una risoluzione decisa. “Blackswanbat” è assieme alla prima la migliore traccia incisa dal combo. Su un fondale monolitico di distorsioni care al doom, al metal nordico e al seminato di John Zorn, si innesta la batteria di Quattrini, davvero irrefrenabile nel creare metastasi di un suono devastante quanto fascinoso. Chiara dunque l'alternanza di intuizioni estemporanee completamente a fuoco ad altre in via di definizione, che si spera trovino sviluppo in incisioni future. Un suono, quello dei Fracture, che risulta più convincente nelle soluzioni più agili, ossessive e scure, capaci di creare un autentico magma nero pece, di un'identità forte per quanto non facilmente collocabile, cosa che rende solo onore a queste tre carismatiche figure. Un plauso anche alla bella grafica di Stefano Giust di Setola di Maiale, che produce il dischetto, per quanto come non di rado capita con la produzione di alcuni cd-r, non tutti i lettori sono in grado di leggerne i contenuti, costringendo chi ascolta a ripiegare in un ascolto low-fi su computer. Poco male, data la qualità dei contenuti, la poetica ma anche la poesia, che accompagna tanto il progetto che la scelta di produzione." Claudio Milano, Stereo Invaders 2011.
01 _ Vendetta! 07:24
02 _ Radiodramma 08:08
03 _ Toilet Jazz 04:24
04 _ Parassita 05:39
05 _ Half Past Nine 08:13
06 _ Complotto 11:56
07 _ BlackSwanBat 04:36
(C) + (P) 2011