REDSHIFT
EDOARDO MARRAFFA / ALBERTO BRAIDA
SOLD OUT
Edoardo Marraffa _ sax tenore _ sax sopranino
Alberto Braida _ pianoforte
Musica d'improvvisazione per questo eccellente duo che non ha bisogno di presentazione. Entrambi sono musicisti internazionali attivissimi, sia concertisticamente sia con pubblicazioni di dischi che li riguarda (incluso tra gli altri il catalogo setolare). La musica prodotta qui è stata registrata in studio ed è estremamente dialogante, mai troppo ostica: un ottimo passo per conoscere da vicino le sonorità e il talento di questi due grandi musicisti italiani!
"(...) Non so se Braida e Marraffa avessero avuto già modo d'incontrarsi prima di queste incisioni, delle quali non vengono precisati luogo e data. Sta di fatto che il loro dialogo improvvisativo funziona; c'è sintonia fra loro sia sotto il profilo dell'approccio tecnico ai rispettivi strumenti, sia per quanto riguarda lo spirito interpretativo e il risultato estetico da perseguire. Braida evita le caratteristiche peculiari del pianoforte: un classico ed ampio codice armonico, una strutturata concatenazione narrativa, una diteggiatura sgranata e nitida... Privilegia invece gli aspetti più foschi, frastagliati, non lineari, aggrovigliati e imprevedibili delle possibilità espressive dello strumento. Certo, nel suo pianismo emergono inflessioni e lacerti che rimandano necessariamente agli insegnamenti di maestri del passato: un Borah Bergman reso ancor più divagante, una coriacea e tumultuosa insistenza derivata da Cecil Taylor... all'inizio di "Fame" scaturiscono perfino un tocco ed un periodare monkiani. Ma questi riferimenti vengono distillati e stravolti da un'esigenza espressiva personale, determinata in primo luogo dall'istantaneo dialogare col sassofonista. Quest'ultimo raccoglie i frutti della coerente ricerca tecnico-espressiva che lo caratterizza dai suoi esordi e che in questi ultimi anni lo ha portato a risultati di notevole spessore e originalità, sia al soprano che al tenore. Anche in questo caso si esclude una pronuncia pulita e un eloquio lineare, per esasperare le qualità sonore e dinamiche insite negli strumenti ad ancia. Si parte da un soffio umorale che via via si fa materia viva, porosa o compatta, di natura minerale, vegetale o carnale; fonemi o vocaboli sparsi prendono lentamente l'impalcatura di un enunciato rabbioso o suadente, o più spesso di una confessione borbottata fra sé e sé. Le improvvisazioni create dai due presumono un atteggiamento mentale vicino a quello di buona parte dell'improvvisazione radicale europea, escludendone però i risvolti più rarefatti, algidi e sofisticatamente marginali, per recuperare piuttosto la lirica partecipazione e la corporeità sfrangiata di certo free. Dal loro linguaggio sono comunque banditi l'ironia esplicita, la citazione riconoscibile e accattivante, il ricorso a stili jazzistici codificati, il virtuosismo esibizionistico, la cantabilità melodica troppo evidente e compiaciuta. Soprattutto, la loro ricerca, che scava nel materiale sonoro dall'interno con paziente insistenza, comporta un esercizio tanto rigoroso quanto eminentemente privato e autorelegato; risponde cioè ad una necessità creativa intima e di confronto, di profonda onestà, ma che prescinde dalla comunicazione di messaggi ad un ascoltatore più o meno ricettivo. Anzi quest'ultimo può anche non esistere, non costituisce il destinatario indispensabile. Ci troviamo di fronte ad un comportamento esistenziale e creativo che può essere assimilato a quello di un autore di un altro periodo storico e di un diverso ambito musicale. Mi riferisco a Franco Donatoni, che in un'intervista concessami nel 1971 con grande cinismo ebbe a dire: "Del pubblico ho bisogno solamente perché altrimenti l'acustica della sala non sarebbe buona!". Libero Farné, All About Jazz 2012.
01 _ Lavori 9:12
02 _ Acqua 18:13
03 _ Il Gioco 15:41
04 _ Fame 8:33
(C) + (P) 2010
SOLD OUT
Edoardo Marraffa _ tenor sax _ sopranino sax
Alberto Braida _ piano
Improvised music from this excellent duo!
"(...) Non so se Braida e Marraffa avessero avuto già modo d'incontrarsi prima di queste incisioni, delle quali non vengono precisati luogo e data. Sta di fatto che il loro dialogo improvvisativo funziona; c'è sintonia fra loro sia sotto il profilo dell'approccio tecnico ai rispettivi strumenti, sia per quanto riguarda lo spirito interpretativo e il risultato estetico da perseguire. Braida evita le caratteristiche peculiari del pianoforte: un classico ed ampio codice armonico, una strutturata concatenazione narrativa, una diteggiatura sgranata e nitida... Privilegia invece gli aspetti più foschi, frastagliati, non lineari, aggrovigliati e imprevedibili delle possibilità espressive dello strumento. Certo, nel suo pianismo emergono inflessioni e lacerti che rimandano necessariamente agli insegnamenti di maestri del passato: un Borah Bergman reso ancor più divagante, una coriacea e tumultuosa insistenza derivata da Cecil Taylor... all'inizio di "Fame" scaturiscono perfino un tocco ed un periodare monkiani. Ma questi riferimenti vengono distillati e stravolti da un'esigenza espressiva personale, determinata in primo luogo dall'istantaneo dialogare col sassofonista. Quest'ultimo raccoglie i frutti della coerente ricerca tecnico-espressiva che lo caratterizza dai suoi esordi e che in questi ultimi anni lo ha portato a risultati di notevole spessore e originalità, sia al soprano che al tenore. Anche in questo caso si esclude una pronuncia pulita e un eloquio lineare, per esasperare le qualità sonore e dinamiche insite negli strumenti ad ancia. Si parte da un soffio umorale che via via si fa materia viva, porosa o compatta, di natura minerale, vegetale o carnale; fonemi o vocaboli sparsi prendono lentamente l'impalcatura di un enunciato rabbioso o suadente, o più spesso di una confessione borbottata fra sé e sé. Le improvvisazioni create dai due presumono un atteggiamento mentale vicino a quello di buona parte dell'improvvisazione radicale europea, escludendone però i risvolti più rarefatti, algidi e sofisticatamente marginali, per recuperare piuttosto la lirica partecipazione e la corporeità sfrangiata di certo free. Dal loro linguaggio sono comunque banditi l'ironia esplicita, la citazione riconoscibile e accattivante, il ricorso a stili jazzistici codificati, il virtuosismo esibizionistico, la cantabilità melodica troppo evidente e compiaciuta. Soprattutto, la loro ricerca, che scava nel materiale sonoro dall'interno con paziente insistenza, comporta un esercizio tanto rigoroso quanto eminentemente privato e autorelegato; risponde cioè ad una necessità creativa intima e di confronto, di profonda onestà, ma che prescinde dalla comunicazione di messaggi ad un ascoltatore più o meno ricettivo. Anzi quest'ultimo può anche non esistere, non costituisce il destinatario indispensabile. Ci troviamo di fronte ad un comportamento esistenziale e creativo che può essere assimilato a quello di un autore di un altro periodo storico e di un diverso ambito musicale. Mi riferisco a Franco Donatoni, che in un'intervista concessami nel 1971 con grande cinismo ebbe a dire: "Del pubblico ho bisogno solamente perché altrimenti l'acustica della sala non sarebbe buona!". Libero Farné, All About Jazz 2012.
01 _ Lavori 9:12
02 _ Acqua 18:13
03 _ Il Gioco 15:41
04 _ Fame 8:33
(C) + (P) 2010