APNEA
LUCIANO CARUSO / IVAN PILAT / FRED CASADEI / STEFANO GIUST
SOLD OUT
Luciano Caruso _ sax soprano curvo
Ivan Pilat _ sax baritono
Fred Casadei _ contrabbasso
Stefano Giust _ batteria _ piatti _ percussione
Questo quartetto si è incontrato il 13 gennaio 2016 alla Cantina Cenci di Tarzo (Treviso), dove hanno registrato professionalmente questo disco in concerto. La musica è liberamente improvvisata e trasuda di free jazz, ma raramente iconoclasta, incline semmai ad auto-strutturarsi continuamente, con un senso melodico che pervade tutta la registrazione. Lirico e comunicativo, seppure non disposto al compromesso. Un disco che vede musicisti attivi da decenni in questi ambiti musicali: Luciano Caruso vanta innumerevoli collaborazioni ed è una figura leggendaria del jazz creativo veneto e friulano, insieme a musicisti come Massimo De Mattia e Giovanni Maier, con i quali ha registrato e suonato moltissimo. È questo il suo primo disco setolare e qui ne siamo molto felici! Fred Casadei, Ivan Pilat e Stefano Giust sono presenti in catalogo anche insieme, in varie formazioni, fin dal 1995.
Per maggiori informazioni:
https://en.wikipedia.org/wiki/Luciano_Caruso
http://www.autrecords.com/project/ivan-pilat
www.fredcasadei.net
www.stefanogiust.it
"(...) Lo confesso molto volentieri: l'ascolto di questa musica ha suscitato in me un duplice, profondo piacere. Il primo, per me essenziale, consiste nel constatare che anche da noi crescono musicisti improvvisatori che coraggiosamente hanno optato per una pratica e un approccio all'improvvisazione che rifuggono da un consunto impiego della stessa che la confina in proposte corrette, tecnicamente ineccepibili ma standardizzate e risapute, così privandola della sua caratteristica fondamentale, quella di animare una musica della sorpresa.
Musicisti che vanno dritti per la loro strada, ritagliandosi un pubblico attento con cui instaurare un rapporto empatico che costituisce la base essenziale della produzione e della fruizione del fatto musicale.
Il secondo tipo di piacere consiste nello scoprire musicisti dotati e sopratutto in possesso di idee chiare, sia a livello progettuale che attuativo. Non siamo in presenza di una proposta velleitaria, fine a se stessa: qui la musica è di qualità, scorre conseguenziale, lucida senza nulla togliere al valore della performance spontanea che esalta sentimenti e pensieri, che non poggia più sui parametri classificativi di un conveniente supermercato. Una musica che si sviluppa quale un continuo gioco di specchi sonori che si riflettono vicendevolmente, si incrociano, si sovrappongono confrontandosi e completandosi e che creano un affascinante puzzle di sequenze libere e di atmosfere variate, da quelle più impalpabili e astratte a quelle più carnali dei collettivi dove si bilanciano le sonorità monastiche del soprano lacyano di Caruso a quelle più vigorose e cuprigne del baritono di Pilat , il tutto sorretto, animato, integrato dal lavoro prezioso del basso profondo di Casadei, efficacissimo sia con l'archetto che col pizzicato, e della batteria di Giust, il quale non è il consueto rhythm maker ma un autentico creatore di suoni e di climax, a pari livello e compartecipe al processo improvvisativo, nel quale immette a tratti umori etnici, quasi tribali, sostenendo e rilanciando il lavoro collettivo.
Un disco che merita sicuramente un ascolto partecipe, una sorta, a modo suo, di suite in cinque parti, ciascuna di valore in sé ma essenziale alla definizione del quadro d'assieme; una musica palpitante che può contribuire ad un auspicabile ampliamento delle vostre capacità emotive e ricettive." Stefano Arcangeli (Musica Jazz, Pisa Jazz, CRIM-Centro per la Ricerca sull’Improvvisazione Musicale), 2017.
"(...) Una grande lezione di jazz in libertà. Ecco un disco che avrebbe meritato di più, ma escono tanti di quei dischi di alta qualità ed è assolutamente impossibile mettere tutti in top-position! Registrato in concerto, quindi in presa diretta senza trucchi né inganni, “Apnea” ci offre sia uno splendido risultato d’insieme, grande impro collettiva incastrata nella tradizione free, sia ottime performance da parte dei quattro musicisti coinvolti (tutti talenti già dotati di un importante curriculum).
Molto interessanti gli incastri fra i due strumenti a fiato, ora in contrappunto e ora in call & response, con Luciano Caruso che sembra prendere il sopravvento su Ivan Pilat, non tanto per una sua più alta maestria, o per una sua posizione di preminenza all’interno del quartetto, quanto per la maggiore agilità del suo strumento (un sax soprano) rispetto a quello del suo compagno (un sax baritono). Ivan Pilat, d’altro canto, oltre che un ruolo solista sembra qualche volta assumere anche quello di rafforzamento della sezione ritmica. Quest’ultima è impeccabile e, in più d’un occasione, esula dal suo ruolo prestabilito per farsi soggetto solista. Giust eccelle, come sempre, con il suo batterismo pieno che gioca più sulle geometrie che sui colori. Casadei è presenza costante e si prende i suoi spazi, sempre felicemente utilizzati, sia nel pizzicato sia con l’archetto. L’acquisto del disco è altamente raccomandato, così come raccomandata, qualora fosse possibile, è la presenza a un concerto del quartetto.
Grazie a Caruso, Casadei e Pilat, e un doppio grazie a Stefano Giust, per la musica e per il disco che la contiene. La nota finale è infatti indirizzata a ribadire il ruolo fondamentale svolto dalla “Setola di Maiale” nella documentazione di quanto il fertile humus dell’improvvisazione va producendo in Italia." Alberto Raile, Sands-zine, 2016.
"(...) Apnea è un'esibizione fatta alla Cantina Cenci di Treviso nel gennaio di quest'anno con quartetto formato da Luciano Caruso (curved soprano sax), Ivan Pilat (baritone sax), Fred Casadei (cb) e Stefano Giust (batteria): il disegno grafico che domina l'aspetto del cd è anche indicativo del tipo di soluzioni che si vogliono rappresentare: sono ragnatele di linee colorate libere e non geometriche, dove è possibile anche scorgere ad un certo punto una conglomerazione, una matassa che sembra un occhio che vigila sull'impianto visivo. L'improvvisazione qui segue lo stesso percorso: è un free jazz scomposto, che ad un certo punto si concentra nelle attenzioni dei solisti (succede ad esempio a beneficio di Casadei nell'intro riflessivo di Untitled Flower, nella carambola percussiva di Giust in Untitled Skies, a Caruso nelle legature progressive del finale di Untitled State, a Pilat nell'entrata in Entitled Person dove nel frattempo l'ambiente è virato nel pirotecnico). In Apnea ci sono elementi a iosa per quantificare e certificare l'astrazione potente della musica: i due sax riscuotono i loro momenti migliori nel legarsi in sintonie prive di riscontro armonico, ma l'impressione è che sia il reparto ritmico ad avere il predominio delle operazioni. Con un intraprendente Casadei al contrabbasso ed un Giust in gran spolvero, smagliante nel proporre una trama poliritmica, assecondata da giochi percussivi e caratterizzazioni personali, non c'è dubbio che si stesse proprio bene in quella cantina, quel giorno. Quanto a Giust sarebbe arrivato il momento di sbilanciarsi nuovamente in una prova totalmente solistica, guidata comunque dall'aspetto percussivo, in cui materializzare l'esperienza e i risultati acquisiti in una carriera eclettica a cui manca (l'ho detto forse altre volte, ma lo ripeto!) solo il riconoscimento internazionale." Ettore Garzia, Percorsi Musicali, 2016.
"(...) Apnea è sinceramente bello, ci sono momenti molto poetici davvero". Enzo Rocco, musicista, 2016.
"(...) Excellent album!" Craig Premo (Improvised, 2017)
"(...) Registrato in presa diretta presso Cantina Cenci di Tarzo, nel gennaio 2016, “Apnea” vede protagonisti Luciano Caruso al sassofono soprano curvo, Ivan Pilat al baritono, Fred Casadei al contrabbasso e Stefano Giust alla batteria. Si tratta di una sessione basata sull’improvvisazione d’insieme, dalla quale derivano cinque tracce dal profondo senso di libertà, dove ognuno dei musicisti coinvolti è chiamato al reciproco scambio d’idee, tra rimandi, contrappunti, dialoghi e tangenti soliste. Un’estetica free form – che in certi casi provoca grovigli sonori, in altri passaggi dal profilo più delineato - che conosce anche momenti leggibili, costruiti attraverso piccole citazioni, gruppi di note, astrattismi e forza espressiva." Roberto Paviglianiti, Strategie Oblique, 2017.
"(...) È bellissimo! La cosa che più mi è parsa interessante è che sembra un disco di molti anni fa... questo ovviamente non per dire che non è contemporaneo, ma gli ho trovato una forza, un carattere e un sapore che mi hanno portato a un passato ideale che neppure io ho vissuto, però fortemente ancorato al presente." Alessandra Novaga, musicista, 2017.
"(...) Veniamo a una delle etichette più "spinte", sul piano estetico, del panorama nazionale, la friulana Setola di Maiale. Apnea, con uno dei massimi cultori dell'eredità di Steve Lacy, Luciano Caruso (sax soprano, ovviamente), Ivan Pilat al baritono, Fred Casadei al contrabbasso e Stefano Giust, deus ex machina di Setola di Maiale, alla batteria. Una musica di sicuro spessore, frutto di improvvisazione totale ma da parte di gente che ben conosce (e quindi gestisce) la materia. Una piccola gemma." Alberto Bazzurro, L'Isola, 2016.
"(...) Apnea è tra i dischi 'Menzione d'Onore' del 2016, secondo Maurizio Zorzi su Free Fall Jazz.
"(...) Cinque saette di suono libero riprese dal vivo in quel della Cantina Cenci di Tarzo (Treviso) nel Gennaio del 2016. Due sax (soprano e baritono, Caruso / Pilat), una sezione ritmica da sconquasso (Giust /batteria, Casadei /contrabbasso). Esperienza, inventiva, eleganza ed urgenza. Che s'apre con l'archetto di Casadei ad introdurre una carezzevole mareggiata di cruda spiritualità free, con i due sax che s'aggrovigliano tra cenni afroamericani e poliritmi noir frenetici, poi rintocca un gong e gli spazi si ampliano. Un'arcaica contemplazione di visi e terra cotti dal sole nella pulsazione sincronica di corde pizzicate e rantoli metallici in sferraglio organizzato, del bop nel mezzo e nel fondo. Ci si incita vicendevolmente, si barrisce all'unisono in un fremito che scuote corpo e coppino, una zuffa amichevole, di quelle che alzano polvere, rilasciando sudore a profusione e qualche livido, poi, a colpi di glottide, bacchette su pelli, legni e metalli, archetti e qualche rantolo, s'individua un nuovo orizzonte da indagare/forzare, mentre un richiamo ornitologico si vibra a mezz'aria. Giunge da lontano e travolge, un ciclo ritmico implacabile, figlio delle periferie del mondo, che a tratti par quasi motorizzato nella sua deragliante traiettoria, lampi e avvitamenti che affettano, mentre geometrie di corde trattengono il tutto sui binari e poi a collassar di volume, intenzionalmente, come una scia di carburante combusto che appare, tremola e scompare nel cielo. Puzza di tabacco, sudore e uno gnignino di vino rosso, stremati faccia a terra in una memoria blues fatta di una vibrazione incerta. E che gli dici? Niente. Strabuzzi gli occhi e ringrazi mentre tutto si spezza." Marco Carcasi, Kathodik, 2017.
"(...) Torno a scrivere, dopo una pausa lunga in cui lo scrivere non era certo la cosa che più cercavo. Condivido con voi l'esperimento di scrivere mentre ascolto un lavoro di quattro musicisti che conosco bene. Fred Casadei, Stefano Giust, Luciano Caruso e Ivan Pilat.
Il titolo del disco mi ha suggerito questa sorta di esperimento, e vuoi per sottoscrivere la non recensione e vuoi perchè così mi obbligo ad ascoltare intensamente e chiudere di fuori il Mondo che mai come ora non sembra essere molto educato.
L'archettato di Fred apre il disco, che meraviglia di suono che ha quel ragazzo... Immagino la terra riarsa dal sole, quasi polverosa fra le sue corde... Subito la batteria dichiara una mobilità estrema, con attacco decisivo e perentorio, che crea la struttura su cui poi compare prima il soprano di Caruso seguito come ombra inquietante dal baritono di Ivan Pilat. Ha una caratteristica acquatica questa apertura, tesa ma mobile, si infrange sulle rocce del pizzicato di Casadei che spinge l'intensità in alto, trasforma il brano in un urbana improvvisazione che si squarcia nel solo del baritono. La batteria continua a pulsare mobile e frenetica, ma ancorata al beat come se fosse un respiro necessario.
Il contrabbasso richiama ordine con un ostinato a bicordi... e l'aria entra nel brano invocando quiete, e da questa quiete che scaturiscono i fraseggi di Luciano Caruso, mantenendo angolarità raccolta dalle bacchette di Giust. Si agglomera l'energia sotto il leading del soprano. Lo slap tongue del baritono entra in collisione con la batteria e la cavata del contrabbasso è polo di attrazione forte a cui tutti tentano di resistere, fino ad un sipario in duo dei fiati. In cui multifonici e voce aprono lo spazio per il contrabbasso che si è trasformato in bendhir e i piatti di Giust creano ancora una volta lo spazio di una transizione verso il colpo finale di gong.
Gong che apre il secondo brano come se non ci fosse interruzione (e probabilmente non c'è stata)... Tutto il mediterraneo di Fred Casadei compare sulla scena con il bordone grave lasciato risuonare e le melodie disegnano volute arcaiche. Rimane solo a cantare... E come specchi i piatti entrano nello spazio sonoro. Il soprano trasforma l'intuizione del contrabbasso spostando tutto su interpolazioni lontanissime dal messaggio iniziale. Quasi come in una lotta contrabbasso e soprano avanzano a ricercare una sintesi. Questo movimento monta di energia e tensione grazie alla batteria che divide frammenta polverizza il tempo. Ci siamo allontanati dal mediterraneo direi... siamo arrivati più alle esplorazioni di una certa cultura americana. Non c'è energia antica, ma ricerca di una soluzione. Vociferano i quattro a lle prese con uno sghembo walkin' di basso... La soluzione è di nuovo la stasi... l'ostinato del basso, la batteria che allarga le sue divisioni, il soprano che getta note lunghe a richiamare anche il baritono... E all'improvviso ci si ritrova in una stanza dei giocattoli, dove il tempo assume una dimensione quasi grottesca ed il baritono con i suoi scoppiettìi e alterazioni timbriche è al centro della scena... Il grottesco diviene inquietudine... Ribattuti arano il suono... Gli armonici del contrabbasso sprofondano e risalgono verso l'aria. Di nuovo la batteria costruisce la rete in cui cercare di definire il tutto... Finisce con un fade out...
Sono i due fiati ad aprire la scena del terzo brano. Insistenza del soprano su intervalli ampli sui tremoli del baritono. Insieme la ritmica entra e trasforma tutto in una rutilante macchina il cui movimento mi fa pensare alle navi volanti di Myazaki. Un meccanismo magico, rumoristico e affascinante. I timbri della batteria risuonano di armonici e di metalli che emergono dal suono delle pelli, del rullante senza cordiera, il contrabbasso anima lo spazio e dopo un intervento del baritono ecco che rimangono da soli. Ma la batteria questa volta canta. Sembra un Gamelan passato alla pressa, e ancora una volta angoli di melodie vengono proposti dal soprano. Troppo forte la distanza fra i due, cede la batteria... Che apre sui piatti e flirta con i bicordi del contrabbasso, compare un movimento armonico, due poli che risolvono sulle singole note gravi. Il soprano si è preso la scena. Quanto controllo delle idee... Il suono è plastico, seguendo percorsi a crome immaginarie. Melodicamente c'è un profondo lavoro di variazione di una matrice, che cambia quando la batteria lo stimola all'imitazione, ma torna dichiarando la necessità di affermare, di dire cosa si è. Immagino che i vari brani appartengano ad un unica seduta di improvvisazione. I materiali sono simili nello scorrere del tempo. Ma adesso che entra il baritono di nuovo si ha l'impressione di energia di una tensione verso l'alto (non spiritualmente, ma proprio come un indicatore v meter quando schizza verso il rosso) Il baritono raccoglie l'energia e accumula frenesia e suono lacerante. Effetto deja vu... Ho già ascoltato questa situazione... Ma so che improvvisare necessita schemi di architettura... Voluti o no, cercati o meno, compaiono a definire la musica stessa. E creano quel valore, quella chiave di accessibilità, basata sul riconoscimento psicologico del suono. Si è aperta la quarta traccia sulle ceneri della precedente. Qui il contrabbasso spinge potentemente verso un walkin' e la batteria frammenta mentre il soprano evolve le idee precedenti. Frammenti di pentatoniche nella melodia improvvisata dal soprano. Che prende con autorità il suo spazio. Il contrabbasso è diventato quasi cavalcante. Quasi si riconosce Solar fra i fraseggi del soprano, e quasi frammenti di giri armonici, intervalli sepolti nella memoria. Rimangono in duo il soprano e la batteria. Di nuovo si accende una battaglia fra le due idee proposte. C'è assolutamente comunione ora, lo sviluppo è compiuto. Il senso di costruzione dei tamburi, la variazione continua di accenti e posizione delle figure. Quasi come un ombra compare anche Monk nelle note del soprano per il capitolare del pezzo.
Ultima traccia, la quinta, che si apre con il contrabbasso di Fred Casadei. Qui il suo modo di articolare le note è jazz... mi ricorda gli interludi di A LOVE SUPREME. Che bello sentire qualcuno che tossisce!!! Adoro le registrazioni fatte per la musica, che non hanno bisogno di un suono di plastica e perfetto per comunicare quello che sono... Di nuovo trio, con il soprano lead. L'acquaticità ritorna. E di nuovo il rigore della variazione. Del soprano della batteria... più aereo il contrabbasso che propone, si ritira, avanza e si ritrae, pronto a raccogliere i segnali lasciati dagli altri due.
Rimangono in trio a a costruire e a far impennare la pressione sonora... ma improvvisamente c'è un alternanza. Il soprano si ritira e lasca spazio al baritono che non fa mancare il suo grido lacerato. Che innesca la batteria... E' un crescendo emozionante di alcuni minuti gestito con capacità... Il contrabbasso che aveva declinato aprendo ritmicamente ed in questo modo costruendo una cornice ampia catalizza l'attenzione degli altri e diviene da cornice colonna vertebrale del brano. Quasi liquefatto il suono avanza e rallenta, diminuisce di dinamica fino all'ultimo colpo, sul piatto, plastico e risolutivo.
Finisce così l'ascolto.
Un momento fermato per l'ascolto. E alla fine mi viene da pensare ad una frase del poeta Alberto Masala che mi riporta al titolo del disco.
NON COLTIVIAMO UN SOGNO... IN APNEA LO SIAMO." Marco Colonna, Geografie di Resistenza, 2016
"(...) Registrato dal vivo nel gennaio del 2016 a Tarzo, in provincia di Treviso ("Northeast Italy," riporta la copertina), Apnea inanella cinque improvvisazioni realizzate da un quartetto di musicisti assai adusi a questo genere musicale. Una formazione che affianca a due sassofoni timbricamente opposti quali il soprano ricurvo di Luciano Caruso e il baritono di Ivan Pilat una ritmica "classica," con Fred Casadei al contrabbasso e Stefano Giust (anima dell'etichetta Setola di Maiale che pubblica il CD) alla batteria.
L'andamento della musica è, ovviamente, classicamente proprio dell'improvvisazione radicale: dialogo serrato a partire dagli spunti offerti da uno dei musicisti—all'avvio l'onore e l'onere spetta a Casadei—e poi sviluppato attraverso il progressivo intervento degli altri, singolarmente o assieme.
Quel che ne viene fuori è un discorso prolungato, suddiviso in cinque tracce ma palesemente privo di una soluzione di continuità, dotato di un forte spessore drammaturgico e di grande comunicativa emotiva: ci si trova a muoversi, quasi a ballare sulle linee, per quanto sghembe, disegnate dal soprano ricurvo di Caruso—tematicamente il protagonista in un quartetto comunque paritetico—sostenuto dal cangiante battito del contrabbasso di Casadei, e ci si sorprende fisicamente scossi dagli scoppiettanti interventi del baritono di Pilat e dalle evoluzioni ritmiche della batteria di Giust.
Può sembrar strano, visto che la musica non è mai né lineare, né prevedibile, anzi è sempre inquieta e priva di riferimenti: ma è viva, palpitante, basta attenzione e ti cattura.
Ascoltando dischi così viene da chiedersi quanti siano oggi, specie in Italia, gli ascoltatori in grado di seguire e godere di questo genere di musica; la quale, però, non ha nulla di "difficile" o di criptico, non richiede una speciale preparazione per essere ascoltata, ma è solo un genere di musica completamente diverso da quello che si è soliti ascoltare alla radio, in TV, nei festival—inclusi ahinoi quelli di jazz. Una musica inaudita, della quale bisognerebbe richiedere fosse insegnato l'ascolto ai bambini fin dalle scuole elementari. Che scelgano dopo cosa preferire, ma consapevoli che esiste anch'essa e sapendo come ascoltarla. Oggi non è così, e molti si perdono qualcosa, nella musica e non solo in essa." Neri Pollastri, All About Jazz, 2017.
"(...) Stefano Giust, le batteur du groupe est l’infatigable cheville ouvrière du label alternatif Setola di Maiale dont le catalogue débordant rassemble tous les noms de presque tous ceux qui sont impliqués dans les musiques expérimentales, free jazz, improvisées radicales etc..d’Italie. Ahurissant travail de fourmi. La qualité graphique des centaines de CDr ou CD, souvent emballés dans des digipacks minimalistes, est remarquablement soignée. Il trouve le temps de prêter main forte à des camarades provenant de toutes les régions d’Italie avec son drive énergique et sa capacité d’intégrer les projets les plus divers avec sincérité et une réelle justesse de ton. Ici dans la Cantina Cenci de Tarzi, Treviso, il propulse les souffleurs Ivan Pilat (sax baryton) et Luciano Caruso (sax soprano incurvé) avec la contrebasse de Fred Casadei. Un beau moment fait de sincérité, d’énergies croisées, du souffle de Caruso qui évoque Steve Lacy ou mieux les accents de Steve Potts et se découpe sur la succession de vagues et de ressacs. Enthousiasmant, chaleureux, le son du blues. Même si les souffleurs ne sont pas des «tueurs», l’émotion est indéniable. L’axe du free-jazz souffleurs – basse – batterie dans un dimension tout-à-fait improvisée sans pour autant casser les codes de cette configuration instrumentale. Un bon point. Ce qui compte aussi pour Stefano, c’est de jouer avec de vrais potes aussi allumés que lui sans se poser de questions. Le jazz par essence est la musique de l’instant qui frôle l’éternité. C’est bien le sentiment qu’ils parviennent à partager!" Jean-Michel Van Schouwburg, Orynx-Improv'andsounds, 2016.
"(...) Stefano Giust, el baterista del grupo, es el eje incansable del sello alternativo Setola di Maiale, cuyo desbordante catálogo reúne todos los nombres de casi todos los involucrados en la música experimental, el free jazz, los improvisadores radicales, etc. de Italia. Alucinante trabajo de hormiga. La calidad gráfica de los cientos de CDr o CDs, a menudo embalados en digipacks minimalistas, está esmerada al máximo. Encuentra el momento de echar una mano a compañeros de todas las regiones de Italia con su enérgico impulso y su capacidad para integrar los proyectos más diversos con sinceridad y una verdadera corrección. Aquí en la Cantina Cenci de Tarzi, Treviso, él propulsa a los sopladores Ivan Pilat (saxo barítono) y Luciano Caruso (saxo soprano curvo) con el contrabajo de Fred Casadei. Un hermoso momento hecho de sinceridad, de energías cruzadas, del soplido de Caruso que evoca a Steve Lacy o mejor los acentos de Steve Potts y se destaca en la sucesión de oleadas y resacas. Entusiasta, cálido, el sonido del blues. A pesar de que los sopladores no son "asesinos", la emoción es innegable. El eje de los sopladores del free jazz - bajo - batería en una dimensión completamente improvisada sin romper los códigos de esta configuración instrumental. Un buen punto. Lo que también importa para Stefano es tocar con amigos reales tan brillantes como él: sin hacer preguntas. El jazz, por esencia, es la música del momento que roza con la eternidad. ¡Es la sensación que logran compartir!" Jean-Michel Van Schouwburg, traducción de Chema Chacón para Oro Molido #54, 2020.
01 _ Untitled Men 12:30
02 _ Untitled Flower 11:38
03 _ Untitled Skies 11:01
04 _ Untitled State 6:45
05 _ Entitled Person 9:40
(C) + (P) 2016
SOLD OUT
Luciano Caruso _ curved soprano sax
Ivan Pilat _ baritone sax
Fred Casadei _ double bass
Stefano Giust _ drums _ cymbals _ percussion
This quartet met on January 13rd, 2016, at the Cantina Cenci in Tarzo (Treviso, Italy), where they professionally recorded this record, live in concert. The music is free improvisation and exudes great free jazz, rarely iconoclastic, more inclined to structure itself continually, with melodic sense that pervades the entire recording. Lyrical and communicative, although not willing to compromise. This album sees musicians active for decades in these areas of creative music: Luciano Caruso boasts countless collaborations, a legendary figure of the North-East Italy who has worked a lot with musicians such as Massimo De Mattia and Giovanni Maier with whom he has recorded and performed a lot. This is his first album on this label and here we are very happy! Fred Casadei, Ivan Pilat and Stefano Giust are in the catalog together, in different configurations, since 1995.
For more info:
https://en.wikipedia.org/wiki/Luciano_Caruso
http://www.autrecords.com/project/ivan-pilat
www.fredcasadei.net
www.stefanogiust.it
"(...) Apnea was selected in the 'honorable mention' category in 2016, by Maurizio Zorzi for Free Jazz Fall.
"(...) Stefano Giust, le batteur du groupe est l’infatigable cheville ouvrière du label alternatif Setola di Maiale dont le catalogue débordant rassemble tous les noms de presque tous ceux qui sont impliqués dans les musiques expérimentales, free jazz, improvisées radicales etc..d’Italie. Ahurissant travail de fourmi. La qualité graphique des centaines de CDr ou CD, souvent emballés dans des digipacks minimalistes, est remarquablement soignée. Il trouve le temps de prêter main forte à des camarades provenant de toutes les régions d’Italie avec son drive énergique et sa capacité d’intégrer les projets les plus divers avec sincérité et une réelle justesse de ton. Ici dans la Cantina Cenci de Tarzi, Treviso, il propulse les souffleurs Ivan Pilat (sax baryton) et Luciano Caruso (sax soprano incurvé) avec la contrebasse de Fred Casadei. Un beau moment fait de sincérité, d’énergies croisées, du souffle de Caruso qui évoque Steve Lacy ou mieux les accents de Steve Potts et se découpe sur la succession de vagues et de ressacs. Enthousiasmant, chaleureux, le son du blues. Même si les souffleurs ne sont pas des «tueurs», l’émotion est indéniable. L’axe du free-jazz souffleurs – basse – batterie dans un dimension tout-à-fait improvisée sans pour autant casser les codes de cette configuration instrumentale. Un bon point. Ce qui compte aussi pour Stefano, c’est de jouer avec de vrais potes aussi allumés que lui sans se poser de questions. Le jazz par essence est la musique de l’instant qui frôle l’éternité. C’est bien le sentiment qu’ils parviennent à partager!" Jean-Michel Van Schouwburg, Orynx-Improv'andsounds, 2016.
"(...) Stefano Giust, el baterista del grupo, es el eje incansable del sello alternativo Setola di Maiale, cuyo desbordante catálogo reúne todos los nombres de casi todos los involucrados en la música experimental, el free jazz, los improvisadores radicales, etc. de Italia. Alucinante trabajo de hormiga. La calidad gráfica de los cientos de CDr o CDs, a menudo embalados en digipacks minimalistas, está esmerada al máximo. Encuentra el momento de echar una mano a compañeros de todas las regiones de Italia con su enérgico impulso y su capacidad para integrar los proyectos más diversos con sinceridad y una verdadera corrección. Aquí en la Cantina Cenci de Tarzi, Treviso, él propulsa a los sopladores Ivan Pilat (saxo barítono) y Luciano Caruso (saxo soprano curvo) con el contrabajo de Fred Casadei. Un hermoso momento hecho de sinceridad, de energías cruzadas, del soplido de Caruso que evoca a Steve Lacy o mejor los acentos de Steve Potts y se destaca en la sucesión de oleadas y resacas. Entusiasta, cálido, el sonido del blues. A pesar de que los sopladores no son "asesinos", la emoción es innegable. El eje de los sopladores del free jazz - bajo - batería en una dimensión completamente improvisada sin romper los códigos de esta configuración instrumental. Un buen punto. Lo que también importa para Stefano es tocar con amigos reales tan brillantes como él: sin hacer preguntas. El jazz, por esencia, es la música del momento que roza con la eternidad. ¡Es la sensación que logran compartir!" Jean-Michel Van Schouwburg, traducción de Chema Chacón para Oro Molido #54, 2020.
"(...) Lo confesso molto volentieri: l'ascolto di questa musica ha suscitato in me un duplice, profondo piacere. Il primo, per me essenziale, consiste nel constatare che anche da noi crescono musicisti improvvisatori che coraggiosamente hanno optato per una pratica e un approccio all'improvvisazione che rifuggono da un consunto impiego della stessa che la confina in proposte corrette, tecnicamente ineccepibili ma standardizzate e risapute, così privandola della sua caratteristica fondamentale, quella di animare una musica della sorpresa.
Musicisti che vanno dritti per la loro strada, ritagliandosi un pubblico attento con cui instaurare un rapporto empatico che costituisce la base essenziale della produzione e della fruizione del fatto musicale.
Il secondo tipo di piacere consiste nello scoprire musicisti dotati e sopratutto in possesso di idee chiare, sia a livello progettuale che attuativo. Non siamo in presenza di una proposta velleitaria, fine a se stessa: qui la musica è di qualità, scorre conseguenziale, lucida senza nulla togliere al valore della performance spontanea che esalta sentimenti e pensieri, che non poggia più sui parametri classificativi di un conveniente supermercato. Una musica che si sviluppa quale un continuo gioco di specchi sonori che si riflettono vicendevolmente, si incrociano, si sovrappongono confrontandosi e completandosi e che creano un affascinante puzzle di sequenze libere e di atmosfere variate, da quelle più impalpabili e astratte a quelle più carnali dei collettivi dove si bilanciano le sonorità monastiche del soprano lacyano di Caruso a quelle più vigorose e cuprigne del baritono di Pilat , il tutto sorretto, animato, integrato dal lavoro prezioso del basso profondo di Casadei, efficacissimo sia con l'archetto che col pizzicato, e della batteria di Giust, il quale non è il consueto rhythm maker ma un autentico creatore di suoni e di climax, a pari livello e compartecipe al processo improvvisativo, nel quale immette a tratti umori etnici, quasi tribali, sostenendo e rilanciando il lavoro collettivo.
Un disco che merita sicuramente un ascolto partecipe, una sorta, a modo suo, di suite in cinque parti, ciascuna di valore in sé ma essenziale alla definizione del quadro d'assieme; una musica palpitante che può contribuire ad un auspicabile ampliamento delle vostre capacità emotive e ricettive." Stefano Arcangeli (Musica Jazz, Pisa Jazz, CRIM-Centro per la Ricerca sull’Improvvisazione Musicale), 2017.
"(...) Una grande lezione di jazz in libertà. Ecco un disco che avrebbe meritato di più, ma escono tanti di quei dischi di alta qualità ed è assolutamente impossibile mettere tutti in top-position! Registrato in concerto, quindi in presa diretta senza trucchi né inganni, “Apnea” ci offre sia uno splendido risultato d’insieme, grande impro collettiva incastrata nella tradizione free, sia ottime performance da parte dei quattro musicisti coinvolti (tutti talenti già dotati di un importante curriculum).
Molto interessanti gli incastri fra i due strumenti a fiato, ora in contrappunto e ora in call & response, con Luciano Caruso che sembra prendere il sopravvento su Ivan Pilat, non tanto per una sua più alta maestria, o per una sua posizione di preminenza all’interno del quartetto, quanto per la maggiore agilità del suo strumento (un sax soprano) rispetto a quello del suo compagno (un sax baritono). Ivan Pilat, d’altro canto, oltre che un ruolo solista sembra qualche volta assumere anche quello di rafforzamento della sezione ritmica. Quest’ultima è impeccabile e, in più d’un occasione, esula dal suo ruolo prestabilito per farsi soggetto solista. Giust eccelle, come sempre, con il suo batterismo pieno che gioca più sulle geometrie che sui colori. Casadei è presenza costante e si prende i suoi spazi, sempre felicemente utilizzati, sia nel pizzicato sia con l’archetto. L’acquisto del disco è altamente raccomandato, così come raccomandata, qualora fosse possibile, è la presenza a un concerto del quartetto.
Grazie a Caruso, Casadei e Pilat, e un doppio grazie a Stefano Giust, per la musica e per il disco che la contiene. La nota finale è infatti indirizzata a ribadire il ruolo fondamentale svolto dalla “Setola di Maiale” nella documentazione di quanto il fertile humus dell’improvvisazione va producendo in Italia." Alberto Raile, Sands-zine, 2016.
"(...) Apnea è un'esibizione fatta alla Cantina Cenci di Treviso nel gennaio di quest'anno con quartetto formato da Luciano Caruso (curved soprano sax), Ivan Pilat (baritone sax), Fred Casadei (cb) e Stefano Giust (batteria): il disegno grafico che domina l'aspetto del cd è anche indicativo del tipo di soluzioni che si vogliono rappresentare: sono ragnatele di linee colorate libere e non geometriche, dove è possibile anche scorgere ad un certo punto una conglomerazione, una matassa che sembra un occhio che vigila sull'impianto visivo. L'improvvisazione qui segue lo stesso percorso: è un free jazz scomposto, che ad un certo punto si concentra nelle attenzioni dei solisti (succede ad esempio a beneficio di Casadei nell'intro riflessivo di Untitled Flower, nella carambola percussiva di Giust in Untitled Skies, a Caruso nelle legature progressive del finale di Untitled State, a Pilat nell'entrata in Entitled Person dove nel frattempo l'ambiente è virato nel pirotecnico). In Apnea ci sono elementi a iosa per quantificare e certificare l'astrazione potente della musica: i due sax riscuotono i loro momenti migliori nel legarsi in sintonie prive di riscontro armonico, ma l'impressione è che sia il reparto ritmico ad avere il predominio delle operazioni. Con un intraprendente Casadei al contrabbasso ed un Giust in gran spolvero, smagliante nel proporre una trama poliritmica, assecondata da giochi percussivi e caratterizzazioni personali, non c'è dubbio che si stesse proprio bene in quella cantina, quel giorno. Quanto a Giust sarebbe arrivato il momento di sbilanciarsi nuovamente in una prova totalmente solistica, guidata comunque dall'aspetto percussivo, in cui materializzare l'esperienza e i risultati acquisiti in una carriera eclettica a cui manca (l'ho detto forse altre volte, ma lo ripeto!) solo il riconoscimento internazionale." Ettore Garzia, Percorsi Musicali, 2016.
"(...) Apnea è sinceramente bello, ci sono momenti molto poetici davvero". Enzo Rocco, musician, 2016.
"(...) Excellent album!" Craig Premo (Improvised, 2017)
"(...) Registrato in presa diretta presso Cantina Cenci di Tarzo, nel gennaio 2016, “Apnea” vede protagonisti Luciano Caruso al sassofono soprano curvo, Ivan Pilat al baritono, Fred Casadei al contrabbasso e Stefano Giust alla batteria. Si tratta di una sessione basata sull’improvvisazione d’insieme, dalla quale derivano cinque tracce dal profondo senso di libertà, dove ognuno dei musicisti coinvolti è chiamato al reciproco scambio d’idee, tra rimandi, contrappunti, dialoghi e tangenti soliste. Un’estetica free form – che in certi casi provoca grovigli sonori, in altri passaggi dal profilo più delineato - che conosce anche momenti leggibili, costruiti attraverso piccole citazioni, gruppi di note, astrattismi e forza espressiva." Roberto Paviglianiti, Strategie Oblique, 2017.
"(...) È bellissimo! La cosa che più mi è parsa interessante è che sembra un disco di molti anni fa... questo ovviamente non per dire che non è contemporaneo, ma gli ho trovato una forza, un carattere e un sapore che mi hanno portato a un passato ideale che neppure io ho vissuto, però fortemente ancorato al presente." Alessandra Novaga, musician, 2017.
"(...) Veniamo a una delle etichette più "spinte", sul piano estetico, del panorama nazionale, la friulana Setola di Maiale. Apnea, con uno dei massimi cultori dell'eredità di Steve Lacy, Luciano Caruso (sax soprano, ovviamente), Ivan Pilat al baritono, Fred Casadei al contrabbasso e Stefano Giust, deus ex machina di Setola di Maiale, alla batteria. Una musica di sicuro spessore, frutto di improvvisazione totale ma da parte di gente che ben conosce (e quindi gestisce) la materia. Una piccola gemma." Alberto Bazzurro, L'Isola, 2016.
"(...) Cinque saette di suono libero riprese dal vivo in quel della Cantina Cenci di Tarzo (Treviso) nel Gennaio del 2016. Due sax (soprano e baritono, Caruso / Pilat), una sezione ritmica da sconquasso (Giust /batteria, Casadei /contrabbasso). Esperienza, inventiva, eleganza ed urgenza. Che s'apre con l'archetto di Casadei ad introdurre una carezzevole mareggiata di cruda spiritualità free, con i due sax che s'aggrovigliano tra cenni afroamericani e poliritmi noir frenetici, poi rintocca un gong e gli spazi si ampliano. Un'arcaica contemplazione di visi e terra cotti dal sole nella pulsazione sincronica di corde pizzicate e rantoli metallici in sferraglio organizzato, del bop nel mezzo e nel fondo. Ci si incita vicendevolmente, si barrisce all'unisono in un fremito che scuote corpo e coppino, una zuffa amichevole, di quelle che alzano polvere, rilasciando sudore a profusione e qualche livido, poi, a colpi di glottide, bacchette su pelli, legni e metalli, archetti e qualche rantolo, s'individua un nuovo orizzonte da indagare/forzare, mentre un richiamo ornitologico si vibra a mezz'aria. Giunge da lontano e travolge, un ciclo ritmico implacabile, figlio delle periferie del mondo, che a tratti par quasi motorizzato nella sua deragliante traiettoria, lampi e avvitamenti che affettano, mentre geometrie di corde trattengono il tutto sui binari e poi a collassar di volume, intenzionalmente, come una scia di carburante combusto che appare, tremola e scompare nel cielo. Puzza di tabacco, sudore e uno gnignino di vino rosso, stremati faccia a terra in una memoria blues fatta di una vibrazione incerta. E che gli dici? Niente. Strabuzzi gli occhi e ringrazi mentre tutto si spezza." Marco Carcasi, Kathodik, 2017.
"(...) Torno a scrivere, dopo una pausa lunga in cui lo scrivere non era certo la cosa che più cercavo. Condivido con voi l'esperimento di scrivere mentre ascolto un lavoro di quattro musicisti che conosco bene. Fred Casadei, Stefano Giust, Luciano Caruso e Ivan Pilat.
Il titolo del disco mi ha suggerito questa sorta di esperimento, e vuoi per sottoscrivere la non recensione e vuoi perchè così mi obbligo ad ascoltare intensamente e chiudere di fuori il Mondo che mai come ora non sembra essere molto educato.
L'archettato di Fred apre il disco, che meraviglia di suono che ha quel ragazzo... Immagino la terra riarsa dal sole, quasi polverosa fra le sue corde... Subito la batteria dichiara una mobilità estrema, con attacco decisivo e perentorio, che crea la struttura su cui poi compare prima il soprano di Caruso seguito come ombra inquietante dal baritono di Ivan Pilat. Ha una caratteristica acquatica questa apertura, tesa ma mobile, si infrange sulle rocce del pizzicato di Casadei che spinge l'intensità in alto, trasforma il brano in un urbana improvvisazione che si squarcia nel solo del baritono. La batteria continua a pulsare mobile e frenetica, ma ancorata al beat come se fosse un respiro necessario.
Il contrabbasso richiama ordine con un ostinato a bicordi... e l'aria entra nel brano invocando quiete, e da questa quiete che scaturiscono i fraseggi di Luciano Caruso, mantenendo angolarità raccolta dalle bacchette di Giust. Si agglomera l'energia sotto il leading del soprano. Lo slap tongue del baritono entra in collisione con la batteria e la cavata del contrabbasso è polo di attrazione forte a cui tutti tentano di resistere, fino ad un sipario in duo dei fiati. In cui multifonici e voce aprono lo spazio per il contrabbasso che si è trasformato in bendhir e i piatti di Giust creano ancora una volta lo spazio di una transizione verso il colpo finale di gong.
Gong che apre il secondo brano come se non ci fosse interruzione (e probabilmente non c'è stata)... Tutto il mediterraneo di Fred Casadei compare sulla scena con il bordone grave lasciato risuonare e le melodie disegnano volute arcaiche. Rimane solo a cantare... E come specchi i piatti entrano nello spazio sonoro. Il soprano trasforma l'intuizione del contrabbasso spostando tutto su interpolazioni lontanissime dal messaggio iniziale. Quasi come in una lotta contrabbasso e soprano avanzano a ricercare una sintesi. Questo movimento monta di energia e tensione grazie alla batteria che divide frammenta polverizza il tempo. Ci siamo allontanati dal mediterraneo direi... siamo arrivati più alle esplorazioni di una certa cultura americana. Non c'è energia antica, ma ricerca di una soluzione. Vociferano i quattro a lle prese con uno sghembo walkin' di basso... La soluzione è di nuovo la stasi... l'ostinato del basso, la batteria che allarga le sue divisioni, il soprano che getta note lunghe a richiamare anche il baritono... E all'improvviso ci si ritrova in una stanza dei giocattoli, dove il tempo assume una dimensione quasi grottesca ed il baritono con i suoi scoppiettìi e alterazioni timbriche è al centro della scena... Il grottesco diviene inquietudine... Ribattuti arano il suono... Gli armonici del contrabbasso sprofondano e risalgono verso l'aria. Di nuovo la batteria costruisce la rete in cui cercare di definire il tutto... Finisce con un fade out...
Sono i due fiati ad aprire la scena del terzo brano. Insistenza del soprano su intervalli ampli sui tremoli del baritono. Insieme la ritmica entra e trasforma tutto in una rutilante macchina il cui movimento mi fa pensare alle navi volanti di Myazaki. Un meccanismo magico, rumoristico e affascinante. I timbri della batteria risuonano di armonici e di metalli che emergono dal suono delle pelli, del rullante senza cordiera, il contrabbasso anima lo spazio e dopo un intervento del baritono ecco che rimangono da soli. Ma la batteria questa volta canta. Sembra un Gamelan passato alla pressa, e ancora una volta angoli di melodie vengono proposti dal soprano. Troppo forte la distanza fra i due, cede la batteria... Che apre sui piatti e flirta con i bicordi del contrabbasso, compare un movimento armonico, due poli che risolvono sulle singole note gravi. Il soprano si è preso la scena. Quanto controllo delle idee... Il suono è plastico, seguendo percorsi a crome immaginarie. Melodicamente c'è un profondo lavoro di variazione di una matrice, che cambia quando la batteria lo stimola all'imitazione, ma torna dichiarando la necessità di affermare, di dire cosa si è. Immagino che i vari brani appartengano ad un unica seduta di improvvisazione. I materiali sono simili nello scorrere del tempo. Ma adesso che entra il baritono di nuovo si ha l'impressione di energia di una tensione verso l'alto (non spiritualmente, ma proprio come un indicatore v meter quando schizza verso il rosso) Il baritono raccoglie l'energia e accumula frenesia e suono lacerante. Effetto deja vu... Ho già ascoltato questa situazione... Ma so che improvvisare necessita schemi di architettura... Voluti o no, cercati o meno, compaiono a definire la musica stessa. E creano quel valore, quella chiave di accessibilità, basata sul riconoscimento psicologico del suono. Si è aperta la quarta traccia sulle ceneri della precedente. Qui il contrabbasso spinge potentemente verso un walkin' e la batteria frammenta mentre il soprano evolve le idee precedenti. Frammenti di pentatoniche nella melodia improvvisata dal soprano. Che prende con autorità il suo spazio. Il contrabbasso è diventato quasi cavalcante. Quasi si riconosce Solar fra i fraseggi del soprano, e quasi frammenti di giri armonici, intervalli sepolti nella memoria. Rimangono in duo il soprano e la batteria. Di nuovo si accende una battaglia fra le due idee proposte. C'è assolutamente comunione ora, lo sviluppo è compiuto. Il senso di costruzione dei tamburi, la variazione continua di accenti e posizione delle figure. Quasi come un ombra compare anche Monk nelle note del soprano per il capitolare del pezzo.
Ultima traccia, la quinta, che si apre con il contrabbasso di Fred Casadei. Qui il suo modo di articolare le note è jazz... mi ricorda gli interludi di A LOVE SUPREME. Che bello sentire qualcuno che tossisce!!! Adoro le registrazioni fatte per la musica, che non hanno bisogno di un suono di plastica e perfetto per comunicare quello che sono... Di nuovo trio, con il soprano lead. L'acquaticità ritorna. E di nuovo il rigore della variazione. Del soprano della batteria... più aereo il contrabbasso che propone, si ritira, avanza e si ritrae, pronto a raccogliere i segnali lasciati dagli altri due.
Rimangono in trio a a costruire e a far impennare la pressione sonora... ma improvvisamente c'è un alternanza. Il soprano si ritira e lasca spazio al baritono che non fa mancare il suo grido lacerato. Che innesca la batteria... E' un crescendo emozionante di alcuni minuti gestito con capacità... Il contrabbasso che aveva declinato aprendo ritmicamente ed in questo modo costruendo una cornice ampia catalizza l'attenzione degli altri e diviene da cornice colonna vertebrale del brano. Quasi liquefatto il suono avanza e rallenta, diminuisce di dinamica fino all'ultimo colpo, sul piatto, plastico e risolutivo.
Finisce così l'ascolto.
Un momento fermato per l'ascolto. E alla fine mi viene da pensare ad una frase del poeta Alberto Masala che mi riporta al titolo del disco.
NON COLTIVIAMO UN SOGNO... IN APNEA LO SIAMO." Marco Colonna, Geografie di Resistenza, 2016
"(...) Registrato dal vivo nel gennaio del 2016 a Tarzo, in provincia di Treviso ("Northeast Italy," riporta la copertina), Apnea inanella cinque improvvisazioni realizzate da un quartetto di musicisti assai adusi a questo genere musicale. Una formazione che affianca a due sassofoni timbricamente opposti quali il soprano ricurvo di Luciano Caruso e il baritono di Ivan Pilat una ritmica "classica," con Fred Casadei al contrabbasso e Stefano Giust (anima dell'etichetta Setola di Maiale che pubblica il CD) alla batteria.
L'andamento della musica è, ovviamente, classicamente proprio dell'improvvisazione radicale: dialogo serrato a partire dagli spunti offerti da uno dei musicisti—all'avvio l'onore e l'onere spetta a Casadei—e poi sviluppato attraverso il progressivo intervento degli altri, singolarmente o assieme.
Quel che ne viene fuori è un discorso prolungato, suddiviso in cinque tracce ma palesemente privo di una soluzione di continuità, dotato di un forte spessore drammaturgico e di grande comunicativa emotiva: ci si trova a muoversi, quasi a ballare sulle linee, per quanto sghembe, disegnate dal soprano ricurvo di Caruso—tematicamente il protagonista in un quartetto comunque paritetico—sostenuto dal cangiante battito del contrabbasso di Casadei, e ci si sorprende fisicamente scossi dagli scoppiettanti interventi del baritono di Pilat e dalle evoluzioni ritmiche della batteria di Giust.
Può sembrar strano, visto che la musica non è mai né lineare, né prevedibile, anzi è sempre inquieta e priva di riferimenti: ma è viva, palpitante, basta attenzione e ti cattura.
Ascoltando dischi così viene da chiedersi quanti siano oggi, specie in Italia, gli ascoltatori in grado di seguire e godere di questo genere di musica; la quale, però, non ha nulla di "difficile" o di criptico, non richiede una speciale preparazione per essere ascoltata, ma è solo un genere di musica completamente diverso da quello che si è soliti ascoltare alla radio, in TV, nei festival—inclusi ahinoi quelli di jazz. Una musica inaudita, della quale bisognerebbe richiedere fosse insegnato l'ascolto ai bambini fin dalle scuole elementari. Che scelgano dopo cosa preferire, ma consapevoli che esiste anch'essa e sapendo come ascoltarla. Oggi non è così, e molti si perdono qualcosa, nella musica e non solo in essa." Neri Pollastri, All About Jazz, 2017.
01 _ Untitled Men 12:30
02 _ Untitled Flower 11:38
03 _ Untitled Skies 11:01
04 _ Untitled State 6:45
05 _ Entitled Person 9:40
(C) + (P) 2016